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Il piano di Trump contro l’odio: Hamas non è solo a Gaza…l’opinione di Rita Faletti

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La prima fase del piano di pace per Gaza sarà conclusa quando le salme dei 28 ostaggi israeliani saranno restituite alle famiglie per la sepoltura. Finora Hamas ne ha consegnate 8. In Israele, i famigliari attendono la restituzione dei loro poveri morti, con pazienza, sapendo che bisogna avere la certezza dell’identità di ognuno. Dei primi quattro restituiti lunedì, infatti, uno era un cittadino palestinese. Pazienza dei parenti ma irritazione da parte del governo israeliano e dello stesso Trump che hanno accusato Hamas di non lavorare abbastanza per attuare un punto del piano fondamentale e che il gruppo ha sottoscritto nella consapevolezza delle conseguenze nel caso non vengano rispettati i termini. “Ci sarà l’inferno”, ha detto il presidente americano, che ha autorizzato Netanyahu a riprendere la guerra. E’ fondato il sospetto che il gruppo terroristico abbia tutto l’interesse a dilazionare la restituzione dei morti per guadagnare tempo e rafforzarsi all’interno della Striscia prima del passaggio alla fase 2, che stabilisce, tra gli altri punti, il disarmo dei miliziani e la rinuncia a partecipare al potere a Gaza. Difficile che Hamas accetti. Intanto temporeggia e spera in un compromesso che gli consenta la sopravvivenza nella Striscia. Israele vigila e sa che almeno 10 salme sono nelle mani del gruppo che lamenta le difficoltà nel localizzare i corpi sotto cumuli di macerie. Per questo è stata costituita una task force da Turchia e Egitto. La Croce Rossa, tanto compiacente verso Hamas quanto insensibile, nei due anni di guerra, alle ripetute richieste dei famigliari degli ostaggi sulle condizioni di salute dei loro cari (su ordine di Albanese?) offre un alibi ai terroristi: “E’ quasi impossibile trovare tutti i corpi”. Trascurabile impegno di fronte all’intento di mobilitare nuovi miliziani e ricordare agli oppositori chi tuttora comanda nella Striscia. Ci sono clip che mostrano le esecuzioni in piazza di palestinesi accusati di collaborazionismo con Israele e di membri di clan armati rivali. Alla restituzione dei corpi con il contagocce, il governo di Israele risponde aumentando la pressione sul gruppo terroristico e tenendo chiuso il valico di Rafah, che separa la Striscia dall’Egitto, riducendo così il numero di aiuti che entrano nella Striscia. Gli ostacoli creati da Hamas nuocciono ai palestinesi ma non offuscano il piano di Trump, determinato a farlo rispettare con la cooperazione dei Paesi arabi che sostengono la necessità di disarmare il gruppo ed escluderlo dall’amministrazione futura di Gaza. Senonché, mentre tutto il mondo ha espresso apprezzamento per il piano del presidente americano, il primo nella storia che avvicini  l’obiettivo di dare ai palestinesi un loro Stato, c’è chi ancora, in Italia, manifesta, esibisce striscioni ignobili e attacca le forze dell’ordine. Perché se non per delusione verso una tregua che interrompe il flusso di odio contro Israele e toglie forza alla volontà genocidaria esternata nello slogan “Palestina libera dal fiume al mare”? La cancellazione dello Stato ebraico, inscritta nello statuto di Hamas, è condivisa non solo a Gaza, dove un gruppo di attivisti palestinesi ha pubblicato un’immagine in lutto per la morte di Saleh al Jafarawi, noto influencer che aveva apertamente celebrato l’attacco del 7 ottobre: “Morte all’occupazione. Morte al sionismo. Morte a tutti i collaborazionisti”. Esiste un filo tra quegli attivisti e le manifestazioni “pacifiche” che hanno invaso l’Italia e ripetuto quello slogan. Molti manifestanti non erano filo palestinesi ma anti israeliani e anti ebraici, altrimenti, dopo la presentazione del piano di pace e il cessate il fuoco, nelle piazze si festeggerebbe. Non festeggia lo star system, rimasto in silenzio, non festeggiano il Pd, Avs e Conte, che si sono fermati a una cauta soddisfazione, ma a denti stretti, privati ormai dell’appoggio dei cortei arruffati di cui hanno bisogno, che trasudano il neoantisemitismo. L’estremismo della sinistra riposa finché è al governo, affiora dopo qualche mese di astinenza dal potere ed esplode dopo prolungata astinenza, vissuta come affronto ai propri moralismi. Andrea Orlando ha disapprovato l’esclusione di Hamas a Sharm el Sheikh: non c’era una vera rappresentanza dei palestinesi senza il gruppo terroristico. Una posizione oltranzista, antitetica a quella dei Paesi arabi musulmani e perfino della Turchia e dell’Olp, concordi nel ritenere Hamas l’ostacolo alla pace a Gaza e alla stabilizzazione del Medio oriente. Secondo Orlando, i terroristi che hanno scatenato la guerra con il pogrom del 7 ottobre, che hanno tenuto in ostaggio il popolo di Gaza, che l’hanno usato come scudo, dovrebbero continuare a far pesare la loro presenza nella formazione di un futuro governo. Orlando sottovaluta la natura e la vera ragione di esistere di Hamas, o pensa che il gruppo, ridimensionato e fiaccato dalle bombe israeliane sia cambiato? Uno Stato palestinese con Hamas dentro? Una visione malata. La retrocessione a una situazione precedente al cessate il fuoco, la ripresa della guerra, il blocco del processo di pace, l’impossibilità di ricostruzione perché nessun governo, né occidentale, né arabo, finanzierebbe un’impresa gigantesca in un territorio gestito da un governo terrorista. Una visione che condannerebbe Gaza alla dittatura e non contribuirebbe alla vittoria delle sinistre.

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