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Il libro di Antonio Spagnuolo “Più volte sciolto”… di Domenico Pisana

Una poetica che scorre tra ricerca di senso del tempo e mistero della vita, memoria e nostalgia, fragilità e precarietà esistenziale
Tempo di lettura: 2 minuti

Una poesia che si dipana tra le pieghe dell’esistenza esplorando temi universali con una voce autentica e profondamente introspettiva, è quella del poeta napoletano Antonio Spagnuolo.
E’ questa la prima impressione all’impatto con la sua raccolta poetica dal titolo Più volte sciolto, La valle del tempo, 2024, ove la versificazione si connota come un flusso di pensieri e sentimenti continuo e avvincente, quasi una conversazione intima che il poeta intrattiene con se stesso e con il lettore.
Antonio Spagnuolo, tradotto in francese, inglese, greco moderno, iugoslavo, spagnolo, rumeno, arabo, turco, è un autore con un nutrito percorso letterario alle spalle, atteso che ha pubblicato 45 libri di poesie, 4 volumi di narrativa tra racconti e romanzi, e 3 volumi di teatro, e che di lui si sono occupati i maggiori critici della Letteratura italiana, fra i quali A. Asor Rosa che lo ospita nel suo “Dizionario della letteratura italiana del novecento” e nella “Letteratura italiana” edizioni Einaudi; Carmine Di Biase nel volume “La letteratura come valore”; Matteo d’Ambrosio nel volume “La poesia a Napoli dal 1940 al 1987”; Plinio Perilli in “Come l’ombra di una nuvola sull’acqua”; Mario Fresa nel suo “Dizionario critico della poesia italiana”, oltre a Giuliano Manacorda, Nazario Pardini, Carlangelo Mauro, Silvio Perrella e molti altri.

Ricerca di senso del tempo e mistero della vita

Già dal titolo del libro, si coglie la dichiarazione di poetica dell’autore, centrata sul tema dello “scioglimento”, della frammentazione e della ricomposizione, un ciclo continuo che caratterizza l’esperienza umana incarnata in un dato tempo e in un dato luogo. I versi di Antonio Spagnuolo non sono mai statici; fluiscono, si dissolvono e poi si ricompongono in nuove forme, rispecchiando la natura mutevole dei sentimenti e dei ricordi. Questa fluidità si traduce in un linguaggio che, pur essendo spesso denso di immagini, mantiene una sorprendente chiarezza e accessibilità, come appare subito dalla prima poesia del volume:

Il tempo non si allenta per l’essenza
che ha un suono suo nel buio,
come punto distorto dal respiro,
o quando gli occhi vorrebbero rincorrere
accenti ed aliti di antiche presenze.
Batte la bianca meridiana al galoppo
per una stagione che grugnisce,
oltre spensieratezze giovanili,
oltre i monotoni affanni
rivolti a rimembrare le scosse
di ogni ora che passa.
Inutile conchiglia la sfida delle attese
nel passo felpato della nostalgia,
nella provvisoria prudenza
delle ceneri, quando il fuoco
di una lunga agonia ha sfigurato
l’incerto sembiante. p.7.

Questa poesia è un sentito canto elegiaco sulla condizione umana, sulla lotta contro un tempo che non concede tregua e sulla malinconia intrinseca al ricordo di ciò che è stato e non tornerà. Significativa, nella seconda strofa, la percezione del tempo come forza inarrestabile; il poeta, con la “bianca meridiana” che “batte al galoppo”, costruisce un’immagine vivida e ossimorica: la meridiana, strumento di misurazione statica del tempo, qui galoppa, quasi a sottolineare la sua velocità implacabile, un galoppo che il poeta vede protrarsi “per una stagione che grugnisce”, dando una personificazione quasi animalesca della vita che avanza oltre le “spensieratezze giovanili”. Nell’ultima strofa Antonio Spagnuolo esprime poi un sentimento di profonda rassegnazione; definisce una “inutile conchiglia” la “sfida delle attese”, quasi a voler rimarcare che il tempo non attende più e le speranze sono destinate a infrangersi, come sembra del resto trasparire dal verso “nel passo felpato della nostalgia”, immagine che suggerisce la natura silenziosa e insidiosa del ricordo che si insinua senza preavviso.
Anche la “provvisoria prudenza / delle ceneri” evoca la fragilità e la transitorietà della vita dopo la fine di qualcosa di importante; le ceneri, per il poeta, sono ciò che resta, la materia inerte dopo che “il fuoco / di una lunga agonia ha sfigurato / l’incerto sembiante”. Quest’ultima immagine aggiunge poi un altro tassello di forte intensità semantica: la lunga agonia non solo consuma, ma deforma e cancella l’identità, il “sembiante” che, già di per sé “incerto”, viene definitivamente alterato dalla sofferenza e dal passare del tempo.

La memoria e la nostalgia

La versificazione di Antonio Spagnuolo riesce a trasformare l’ordinario in straordinario, posando lo sguardo su momenti di quotidianità, su paesaggi interiori ed esteriori, incontri e assenze e mettendo il tempo in una costante correlazione con la memoria e la nostalgia:

“Ogni giorno noi siamo il passato / perché ognuno di noi è il passato!”, p.8;
– “…L’istante svanisce col passare delle ore / mentre il sassofono ha il ritmo / di quelle occasioni melodiose / segnate nel taccuino”, p.13;
– “Improvvisa giunge la vecchiaia. / Poi conti gli anni, / poi conti i mesi, / poi conti le settimane, / poi conti i giorni, / poi conti le ore / e ti accorgi che il tempo scorre / sempre più veloce / sulla tua pelle / sul tuo intelletto incatenato. / Avverti la Falce Nera / alle tue spalle / e attendi che prima o poi qualcosa “potrà incidere la parola fine”, p. 15;
– “…Mancheranno i ricordi / intessuti molte volte tra rose e viole, / e collane di perle, che ornavano / la piena gioia del nettare…”, p. 36;
– “…Giunto il momento della verità riaccendo / memorie incasellate e quei pensieri / accantonati in ordine precario / tra gli abissi cangianti e le rovine / del solito dubbi”, p.49.

Attraverso una circolarità ermeneutica tra memoria e nostalgia, il poeta si confronta con il passato, con le “antiche presenze” e con le “scosse di ogni ora che passa” che si sedimentano nell’animo; la nostalgia emerge come un sentimento dominante, un “passo felpato” che accompagna la rievocazione di ciò che è stato. La poesia diventa insomma per Antonio Spagnuolo un mezzo per “rimembrare” e cercare di riafferrare frammenti del vissuto, mediante i quali riporta nel presente vissuti incancellabili, trasformando quasi il famoso detto cartesiano “Cogito, ergo sum” in “Memini, ergo sum”, “Ricordo, dunque sono”, e applicando altresì a se stesso quel che diceva Freud nel suo libro “Il sogno”: “Se io riesco a ricordarmi un avvenimento anche molto tempo dopo che è accaduto, questa permanenza nella memoria mi prova il fatto che quell’avvenimento ha esercitato allora una profonda impressione su di me”.
Il poeta non ha paura di affrontare le zone d’ombra dell’animo, la malinconia e la perdita, ma lo fa sempre con una dignità e una delicatezza che lasciano spazio alla speranza e alla resilienza.

La bellezza dell’amore e la dimensione della fede

I valori dell’amore e della bellezza, capaci di riscattare l’uomo dalla sofferenza e dalla solitudine, emergono con forza dalla poesia Dono, ove già nella prima strofa c’è un’immagine sinestetica e avvolgente: “Come l’abbraccio tenero parla in colori, / che avviluppano membra incise al tarlo”. L’amore è inteso dal poeta come un abbraccio tenero che si manifesta non solo con il contatto fisico, ma anche attraverso una dimensione cromatica, visiva; le “membra incise al tarlo” suggeriscono una condizione di consunzione, di fragilità o di dolore profondo, da cui l’abbraccio amorevole riesce a liberare. Le “sembianze” dell’altro, intese come presenza ed essenza, hanno il potere di “scolpire / una tregua ad esistenze avverse”, offrendo un momento di pace e sollievo in vite segnate dalle difficoltà. Il poeta conclude la lirica con un verso di grande impatto e speranza: “Ed è subito un passo che fiorisce”, quasi a sottolineare la potenza rigeneratrice dell’esperienza descritta. Dopo il dolore, la fragilità e la lotta, il dono dell’amore e della parola porta a una rinascita immediata, un’apertura alla vita che si manifesta con la bellezza e la vitalità di un fiore che sboccia:

“…Abbracciami! Mi sento troppo fragile!
Uno scatto ed il tuo viso appare come incanto,
ma gli spigoli di vetro hanno sangue aggrumato,
per la porta sbarrata che respinge
le bizzarrie dal fondo del cervello.
Pronunciavo il tuo nome, monella,
con l’ultimo strattone di una lacrima
intessuta in un papavero zoppicante.”, p.29.

Molto bella anche la poesia Avvento, ove Antonio Spagnuolo offre una riflessione profonda e complessa sulla figura di Cristo e il suo impatto, sia storico che spirituale, sull’umanità. Il tono è di ammirazione per la sua grandezza, ma anche di sgomento per la costante incapacità dell’uomo di recepire pienamente il suo messaggio. La poesia mette il lettore di fronte alla natura trascendente e misteriosa di Cristo (“Egli è l’inafferrabile!”) che, anche dopo la crocifissione, prolunga incessantemente nel tempo la sua missione di redenzione, continuando a generare speranza, a toccare le corde più intime dell’animo umano e a rivelare una “necessità” profonda di bene e compassione. Antonio Spagnuolo mette poi questa speranza a confronto con la dura realtà del mondo contemporaneo: “ma scontra – dice il poeta – avverso guerre fratricide / e nella falsità delle parole.” Nonostante il messaggio d’amore e di pace di Gesù Cristo, il poeta sottolinea come l’umanità continua a perdersi nella violenza e nell’inganno, dimostrando una persistente incapacità di vivere secondo i suoi insegnamenti:

“…Un Cristo che dalla croce lignea
cerca, duemila anni, di lacerare
le tenebre che attanagliano il mondo”.

La poesia è senza dubbio una rilevante meditazione sulla figura di Cristo come forza inarrestabile di bene e speranza, ma anche come richiamo amaro all’eterna lotta dell’uomo contro le proprie tenebre, l’incapacità di abbracciare pienamente la luce del suo messaggio, e la conseguente tragedia di una storia umana ancora segnata da violenza e falsità.
Nella raccolta Più volte sciolto, emergono ancora tanti altri temi che si muovono tra incompiutezza e illusione, se è vero che i versi del poeta scorrono tra “inganni, illusioni, disvelamenti”, accettando l’incompiutezza del sogno e del desiderio; si avviluppano dentro una dialettica luce/ombra all’interno della quale i versi si dipanano tra “bagliori di ricerca” e la coscienza del proprio limite che “contrappone la luce al baratro”, e dove la natura e i colori diventano metafora di stati d’animo, suggestioni e ricordi con richiami a sfumature come l’azzurro e il cobalto: “… Esplode il blu in tutte le varianti / nel breve rammagliare le figure, / il profilo che staglia suggestioni e ricordi. / Anche sbiadito il tocco non si muta / tra gli spazi lucenti degli azzurri, / tra le incursioni del cobalto o d’oltremare, / e torna negli accenti delle bozze / per il fervido raggio della luce…”, p. 22.
Anche una sottile vena di dolore legata alla perdita e all’assenza permea tante altre liriche del poeta non diventando disperazione, ma anzi trasformazione di stati d’animo in un sentimento di amore eterno.
Concludendo, possiamo affermare che la poesia di Antonio Spagnuolo, come strumento espressivo, assume un ruolo fondamentale, perché attraverso i suoi versi egli riesce a dare forma al “fiume infinito di idee e di pensieri / che investono la mente in maniera confusa”, rivelando “l’aspetto più genuino e introspettivo dell’io”; la sua silloge si immerge nelle profondità dell’animo umano, esplorando la natura mutevole dell’io e la ricerca di significato di fronte alla perdita e alla precarietà, il tutto espresso con una voce autentica e originale.
La struttura del testo non segue un percorso lineare, ma procede per associazioni e rimandi, creando una fitta rete di significati che si svelano progressivamente. Ogni componimento è un tassello che contribuisce a formare un quadro più ampio, in cui l’io lirico si confronta con il mondo, con gli altri e con la propria interiorità. La musicalità dei versi, sebbene non sempre evidente a una prima lettura, emerge con forza man mano che ci si addentra, rivelando un attento lavoro sulla lingua e sul ritmo.
Più volte sciolto è una silloge che richiede di essere letta con attenzione, di essere assaporata lentamente, per coglierne tutte le sfumature; è una raccolta che parla di noi, delle nostre fragilità e delle nostre forze, della nostra capacità di reinventarci e di trovare bellezza anche nella precarietà, e dove Antonio Spagnuolo ci offre una poesia che è al tempo stesso confessione e interrogazione, lasciando al lettore lo spazio per una propria risonanza emotiva.
Molto bella la poesia che chiude il volume, dal titolo Sogno. Il componimento si apre con una visione quasi tattile: “Nel sogno riappare la tua carne. / Io con violenza la palpo / per accertarmi che sei di nuovo viva…”, p. 57, Qui, la violenza del gesto non è aggressività, ma l’urgenza disperata di chi vuole verificare la realtà di una presenza amata, che evidentemente è assente nella vita reale; il sogno diventa il luogo privilegiato dove l’impossibile si rende possibile, dove la persona amata, forse perduta o lontana, torna in vita. La descrizione “nuda tra i cuscini roventi” suggerisce un’intimità e una passione che bruciano, anche se solo oniriche.
Nel complesso, questa poesia di chiusura è un’ode al potere del sogno di rianimare l’amore e la passione, superando i limiti della realtà e dell’assenza; è il riverbero di una malinconia latente per ciò che non è reale, ma anche una gioia profonda nella possibilità di rivivere quell’intimità, anche se solo nel mondo onirico; è un’esplorazione del desiderio, della memoria e della ricerca di un contatto che trascende la fisicità:

Nel sogno riappare la tua carne.
Io con violenza la palpo
per accertarmi che sei di nuovo viva,
nuda tra i cuscini roventi.
Quasi per celia l’invito di un sorriso
offre l’amplesso ed io affondo
senza più il timore, già fatto galeotto.
Aspettavo il momento in cui adornavi
il crepuscolo malandrino e complice,
ed accettavi il lento brusio dell’abbandono.
Il trabocchetto ormai rivela gesti abbaglianti
spartiti con la mia accortezza.
(Sogno)

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