
Un’opera di saggistica letteraria di forte spessore critico, che esplora con profondità e rigore scientifico una delle tematiche centrali e affascinanti della letteratura del Novecento. Parliamo del libro “La crisi del personaggio novecentesco: Smarrimento, libertà e ricerca di senso”, Aracne editrice, 2025, di cui è autrice l’italo-egiziana Christine Samir Girgis, figura accademica specializzata in letteratura italiana del XX secolo, con particolare attenzione ai legami tra letteratura e filosofia, e attualmente Professore Associato di Letteratura italiana novecentesca presso la Badr University in Cairo, nonché scrittrice prolifica con numerosi articoli su riviste prestigiose, tra cui Philology Magazine e Transulcutural Journal for Humanities and Social Sciences, e membro dell’Associazione Degli Italianisti.
Già il titolo dell’opera, complesso e suggestivo, contiene una dichiarazione epistemologica che indica i tre orizzonti speculativi dentro i quali si articola lo studio dell’autrice: la trasformazione del personaggio letterario, il senso di disorientamento e la necessità di autodeterminazione. Con il termine crisi, poi, Christine Samir Girgis rivela la profonda mutazione del personaggio nella letteratura del ‘900 rispetto ai modelli precedenti, mentre il termine “Smarrimento” suggerisce l’idea che i personaggi analizzati sono figure che non hanno punti di riferimento stabili ma che vivono in preda a dubbi esistenziali, alienati, incapaci di trovare un posto chiaro nel mondo o di comprendere pienamente sé stessi.
La “libertà” e la “ricerca di senso” evidenziano, infine, come il fulcro del volume stia tutto nell’ indagine dei personaggi (e, per estensione, dell’essere umano novecentesco), che tentano di trovare un significato alla propria vita in un’epoca in cui i valori tradizionali sono stati messi in discussione, e che affrontano, altresì, le sfide esistenziali e psicologiche riflettendo sulle conseguenze delle grandi crisi sociali e culturali di un’ epoca con profonde trasformazioni.
La struttura del libro poggia su quattro capitoli che prendono in esame gli autori Ugo Betti, Federigo Tozzi, Carlo Emilio Gadda e Antonio Tabucchi, e che si integrano nell’unità di un discorso critico nel quale il “personaggio novecentesco” che emerge dalle pagine della Girgis è raffigurato nella sua crisi d’identità, nell’incapacità di agire in modo autonomo e risolutivo, e segnato da una vita contraddittoria, priva di punti di riferimento stabili e costretta a confrontarsi con un mondo in rapida evoluzione che mette in discussione ogni verità acquisita:
“… Il personaggio novecentesco – si legge nel volume – sente che la realtà attorno a lui non fa altro che prendersi gioco di lui e la sua inafferrabilità è il risultato della condizione di un uomo che si trova immerso in un mondo in cui non riesce ad agire e in cui si sente solo. Di fronte alla vita, la quale può essere paragonata a una tela, il personaggio prova un sentimento di spaesamento, risultato della condizione di “gettatezza” esistenziale: egli sembra quasi paralizzato alla tela, non è in grado di tracciarvi nemmeno un segno, anche se insignificante, perché sa di non avere alcun rapporto con nessun oggetto; l’essere venuto al mondo in una realtà sconosciuta ha suscitato in lui un sentimento di vuoto, di indifferenza e di perenne spaesamento…, p.13.
La natura umana e la responsabilità individuale e collettiva in Ugo Betti
Nel primo capitolo del volume Christine Samir Girgis posa lo sguardo sul tema della natura umana analizzata nella tragedia “Delitto all’isola delle capre” di Ugo Betti, una tragedia ambientata in un luogo isolato e quasi arido, un’isola battuta dal vento che diventa metafora di una condizione esistenziale di solitudine e aridità affettiva. Al centro della scena ci sono tre donne – Agata, la figlia Silvia e la cognata Pia – la cui vita, scandita dalla routine e da una profonda mancanza maschile, è sconvolta dall’arrivo di Angelo. Questo personaggio enigmatico, dal nome che evoca un’ambigua purezza ma che si rivela ben presto portatore di una forza primordiale e destabilizzante, agisce come un catalizzatore. La sua presenza fa emergere le pulsioni sopite, le gelosie latenti e le frustrazioni accumulate in anni di isolamento.
La tragedia si consuma quando Angelo scende in un pozzo e la scala gli scivola; le donne potrebbero salvarlo gettandogli una corda, ma dapprima esitano, poi assistono agli sforzi disperati di lui, infine alla sua agonia: Angelo rimane intrappolato e viene lasciato morire.
L’accadimento, nella visione di Betti, è la rappresentazione simbolica della chiusura e dell’impossibilità di fuga da se stessi. Le donne, incapaci di un gesto di pietà o di salvezza, rivelano una crudeltà che affonda le radici in un egoismo profondo e in un desiderio distorto di possesso.
Dall’analisi di Samir Girgis emerge che la natura umana in Betti non è vista come intrinsecamente buona o cattiva, ma come un complesso intreccio di istinti e aspirazioni; il “delitto” non è solo l’atto finale, ma è il culmine di un processo di corruzione interiore e di una discesa nell’abiezione.
Dall’opera di Ugo Betti riverbera la responsabilità individuale e collettiva dei personaggi, la quale suggerisce come la solitudine, il desiderio non soddisfatto e la competizione possano trasformare gli esseri umani in creature prive di morale e guidate solo dall’istinto di sopravvivenza o di sopraffazione; emerge anche un invito a guardare oltre la superficie e ad interrogarsi su quanto di primordiale e talvolta pericoloso si annidi in ogni uomo.
“La tragedia si risolve – scrive Christine Samir Girgis – nella rappresentazione del peccato di cui è l’uomo il principale ed unico responsabile; ogni istante che passa aggroviglia la matassa, fonda la responsabilità: ormai non è più uno scherzo. Non si può salvare il giovane, lo si poteva prima…”; l’autrice dispiega poi la sua analisi, con riferimenti anche ad autori come Kierkegaard e Dostoevskij, mettendo il lettore di fronte allo stile di Betti, che appare una fusione di rigore formale e profondità tematica dove la precisione quasi giuridica del linguaggio si sposa con un’intensa indagine psicologica e un ricco simbolismo di grande impatto emotivo e intellettuale; concludendo affermando che “…Di fronte al disfacimento dell’esistenza umana rappresentata nell’opera bettiana, risulta inevitabile ricercare la presenza di Dio nella tragedia umana”.
Alienazione, solitudine e l’incapacità relazionale in Federigo Tozzi
Il libro di Christine Samir Girgis analizza poi, nel secondo capitolo, con puntuale esegesi, la condizione tragica dell’esistenza dell’uomo in Ricordi di un impiegato (1920) dello scrittore italiano Federigo Tozzi.
“… In questo breve romanzo dalla struttura di un diario d’ispirazione autobiografica, il giovane protagonista Leopoldo – scrive l’autrice – racconta i due mesi trascorsi a Pontedera come aiuto-applicato per le Ferrovie dello Stato, dopo essere stato costretto dal padre a lasciare Firenze per ottenere tale mansione. Il ragazzo vive un’esistenza infelice e prova grande disagio con la famiglia, in particolar modo con la figura autoritaria del padre, che non approva il suo amore per Attilia, la fidanzata gravemente malata, e con i nuovi colleghi alle Ferrovie…”, p.27.
I temi centrali che emergono dall’analisi del personaggio di Tozzi effettuata da Samir Girgis, sono l’alienazione e la solitudine (La vita d’ufficio è rappresentata come un ambiente soffocante e spersonalizzante che conduce all’isolamento); l’inettitudine e la passività (il protagonista è un archetipo dell’inetto incapace di agire, di reagire, di trovare un senso alla propria esistenza); la mancanza di senso (la routine e la ripetitività del lavoro svuotano la vita di ogni significato, lasciando un profondo senso di vuoto); la fragilità psicologica (Tozzi scava a fondo nella psiche del protagonista, esplorando le sue ansie, le sue paure, le sue ossessioni in modo lucido e forte).
L’autrice mette così il lettore di fronte all’opera profondamente introspettiva di Federico Tozzi, il quale svela, attraverso l’esperienza quotidiana e apparentemente banale di un impiegato, l’epifania della tragicità umana riuscendo a cogliere la sofferenza intrinseca all’esistenza, il senso di alienazione e l’incapacità della persona di trovare un vero significato o una liberazione.
Dall’ermeneutica della prof. Samir Girgis ne deriva che nella figura dell’impiegato del romanzo Ricordi di un impiegato, c’è, in sostanza, l’archetipo e la rappresentazione universale dell’uomo della modernità inghiottito dalla routine e dall’anonimato a causa di una vita scandita da gesti ripetitivi, da ore trascorse in un ufficio che si trasforma quasi in una prigione e che si configura come simbolo di una condizione esistenziale di alienazione profonda, alienazione che non è solo sociale o lavorativa, ma una forma di distacco da sé stessi, dalla propria autenticità e dai propri desideri più veri. L’impiegato insomma non vive, ma esiste, intrappolato in un meccanismo che lo svuota di ogni vitalità, tant’che l’autrice scrive:
“…Il protagonista dei Ricordi diviene succube degli altri personaggi dell’opera, i quali assumono l’apparenza di figure fantasma e di cui Leopoldo diventa schiavo… (…) Questa perenne sensazione di disagio e di persecuzione cresce nell’animo del protagonista fino a divenire sempre più un malessere simile alla paura: la paura dell’altro perché l’altro rappresenta una minaccia agli occhi di Leopoldo a prescindere dalla volontà del protagonista di avvicinarli o di allontanarli”, p. 31.
Dunque, la tragicità umana, nel romanzo di Tozzi, emerge prepotentemente dalla mancanza di senso che pervade l’intera esistenza del protagonista, fortemente intrisa di una profonda malinconia e di un’assenza di vera comunicazione che genera un senso di vuoto incolmabile e di solitudine. L’impiegato è solo, non per scelta, ma per una condizione intrinseca all’essere umano stesso; anche se in mezzo agli altri, nella confusione dell’ufficio o della città, egli rimane un’isola, incapace di stabilire legami profondi, di condividere le proprie ansie o di trovare conforto. Questa solitudine è una sofferenza acuta, un’impossibilità di uscire dal proprio isolamento interiore: la vera tragedia umana non è l’assenza di altri, ma l’incapacità di relazionarsi significativamente con essi, rimanendo prigionieri della propria interiorità. Dallo studio di Samir Girgis emerge così che l’impiegato di Tozzi non è un eroe tragico nel senso classico, ma un “anti-eroe” la cui tragedia risiede proprio nella sua ordinarietà, nella sua incapacità di sfuggire a una sorte che sembra predeterminata. La sua tragedia è quella di ogni uomo che si sente schiacciato dal peso dell’esistenza e che, pur intuendone l’assurdità, non trova la forza o la via per cambiarla.
Il caos del reale, il disordine del mondo e la critica all’ordine imposto
Il libro dell’autrice italo-egiziana risulta molto intrigante nel terzo capitolo, dal titolo “Un’istruttoria nei confronti del reale: il caso dello scrittore- demiurgo Carlo Emilio Gadda”, titolo che suggerisce fin da subito l’approccio critico dell’autrice: analizzare la peculiare metodologia conoscitiva e creativa di Gadda, che assume le connotazioni di una vera e propria indagine, di un processo investigativo non solo sulla realtà esterna, ma anche sulla sua stessa rappresentazione.
L’opera di Gadda, ingegnere di formazione e scrittore per vocazione, manifesta una profonda insofferenza per la linearità e la semplificazione, ed è un magma ribollente di linguaggi, dialetti, gerghi tecnici, che riflette la sua percezione di un reale intricato, caotico, “pasticciato”.
L’interpretazione critica di Christine Samir Girgis fa venire alla luce come Gadda, attraverso il suo stile multiforme e la sua incessante ricerca della “verità” (pur consapevole della sua irraggiungibilità totale), assuma il ruolo di un vero e proprio “demiurgo”. Non nel senso di un creatore onnipotente di mondi perfetti, ma di un plasmatore che tenta di dare forma, di rivelare il disordine e di ordinare un universo che gli si presenta frammentato e incomprensibile.
Ponendo l’attenzione, fra l’altro, sul romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, l’autrice afferma: “….diviene una mimesi del disordine che predomina la realtà, quasi un garbuglio ‘universale’, attraverso le continue digressioni e il ricorso ad una serie caotica di personaggi, come anticipato dal titolo dell’opera. Le indagini si ingarbugliano infinitamente, creando infinite relazioni, come un una grande rete, davanti alla quale il lettore sembra quasi provare un sentimento di estraneità…”
Dallo studio di Carlo Emilio Gadda effettuato da Samir Girgis nel suo libro, emerge così la visione di un mondo disordinato, frammentato e spesso incomprensibile, nonché la figura dello “scrittore-demiurgo”, che, nella visione gaddiana, è una figura che si assume la responsabilità di creare e disfare mondi, ma che è consapevole dei limiti della conoscenza umana e della natura intrinsecamente caotica e dolorosa della realtà. La sua stessa attività di “scrittore-demiurgo” si sostanzia in acute, originali e pesanti critiche al fascismo, smascherandone gli aspetti ideologici, psicologici e culturali, svelandone le menzogne e le falsità.
Samir Girgis presenta al lettore la figura dello “scrittore-demiurgo”, la cui attività – fa notare l’autrice – presenta dei limiti: il divino artigiano infatti non è onnipotente, “dipende dalla super-idea del bene e dalle altre idee che è costretto ad imitare, di conseguenza il suo operato risulta essere tutt’altro che indipendente, ma piuttosto limitato”, p.50. Parallelamente anche la scrittura di Gadda presenta dei limiti, non riesce a risolvere l’intreccio della vicenda e scoprire chi è il colpevole: “…Gli innumerevoli fili, le numerose digressioni e le infinite relazioni alla base del garbuglio del racconto portano lo scrittore a perdere il dominio razionale sull’intera narrazione” (Ibid).
In sintesi, l’analisi di Samir Girgis fa luce sulla profondità filosofica e sulla coerenza artistica dell’opera letteraria di Gadda, mostrando come la sua “demiurgica” impresa letteraria sia un modo per confrontarsi con l’irriducibile complessità del reale.
L’eclissi dell’ eroe: i personaggi fragili di Tabucchi e la crisi del Super-uomo
Nell’ultimo capitolo del libro, Christine Samir Girgis affronta infine il tema “La morte del super-uomo nietzschiano in Piccoli equivoci senza importanza e Isole di Antonio Tabucchi”. Lo studio critico dell’autrice analizza la scomparsa della figura dell’eroe tradizionale presente nei romanzi di Antonio Tabucchi, in particolare in Piccoli equivoci senza importanza (1985) e “Isole” (1985); utilizza poi la teoria del Super-uomo di Friedrich Nietzsche per interpretare la crisi esistenziale dei personaggi tabucchiani; opera infine una descrizione dei suoi personaggi, descritti come figure che assomigliano a fantasmi o entità sfuggenti in contrasto con l’eroe tradizionale, ed evidenziando come essi vivano da spettatori inerti e schiavi della vita, avvolti nell’ombra di un forte nichilismo e della solitudine. L’autrice infatti “… descrive l’amara consapevolezza che il personaggio tabucchiano ha di sé: indossa una maschera, la maschera del suo nome, sotto la quale la sua persona è invisibile agli occhi di tutti, invisibile e dunque poco importa presentarne qualunque caratterizzazione fisica al lettore, fino ad arrivare ad eliminarne anche il nome, come nel caso di Nicola nelle Isole. Conseguenza di tutto ciò è lo stato d’animo dei personaggi rappresentati, che emerge agli occhi del lettore: un’amara solitudine, quasi un’estraniazione dal mondo e dall’intera esistenza che li porta a rinchiudersi in se stessi e a vivere la solitudine come un’eterna condanna…”, pp. 60-61.
Attraverso l’acuta interpretazione dei personaggi di Tabucchi, Tonino e Nicola, che percepiscono inutile il loro vissuto esistenziale e vuota ogni parola, Samir Girgis coglie “la grande distanza che separa il personaggio tabucchiano dal Super-uomo nietzschiano: per il filosofo tedesco infatti l’uomo non deve vivere afflitto dal dolore della propria esistenza, ma deve accettare il destino con amore, piuttosto che con amara tristezza come nei personaggi rappresentati da Tabucchi”.
Se il Super- uomo di Nietzsche non deve volere nulla di diverso da quello che è, e deve accettare con amore e con gioia il proprio fato e dunque la propria esistenza, per l’uomo di Tabucchi la vita risulta “caratterizzata da un’aspra accettazione e da un’amara solitudine” ; i personaggi delle sue opere sono l’antitesi dell’ ideale di Nietzsche: sono spesso fragili, passivi, disorientati, incapaci di agire con determinazione o di dare un significato profondo alla propria esistenza, e invece di creare i propri valori, sono travolti dall’equivoco e dal caso. E infatti nella raccolta “Piccoli equivoci senza importanza”, le vite dei personaggi sono spesso deviate da malintesi, coincidenze e scelte apparentemente insignificanti che si rivelano decisive: sono vite che contrastano con l’idea di un Super-uomo che controlla il proprio destino. Lo stesso emerge anche da “Isole”: in questa raccolta i temi dell’isolamento, della ricerca di identità e del senso di smarrimento sono centrali, rafforzando l’immagine di un’umanità che è lontana dall’ideale nietzschiano.
In quest’ultimo capitolo del libro, Christine Samir Girgis fa emergere, dunque, come le opere di Antonio Tabucchi presentino un’umanità che non ha le caratteristiche di potenza e autodeterminazione proprie del Super-uomo nietzschiano, e come i suoi personaggi dimostrano che l’uomo contemporaneo si ritrova a confrontarsi non con la capacità di forgiare il proprio destino, ma con l’incertezza, l’ambiguità e la passività di fronte a un’esistenza dominata da “piccoli equivoci” e un senso di solitudine (“isole”). La “morte” del Super-uomo è sicuramente la metafora della crisi dell’uomo della post modernità e della sua incapacità di trovare un senso in un mondo caotico.
Concludendo, il pregio dell’opera “La crisi del personaggio novecentesco: Smarrimento, libertà e ricerca di senso” risiede tutta nella sua profonda esegesi critica che non si limita a descrivere un fenomeno passato, ma ne svela le profonde radici e le durature implicazioni per la comprensione dell’essere umano e della sua rappresentazione nella cultura, fino ai giorni nostri.
L’opera di Samir Girgis ha sicuramente una forte risonanza nella contemporaneità, sia perché, per diverse ragioni, la crisi del personaggio novecentesco anticipa e riflette la fluidità e la frammentazione del senso dell’identità umana nell’era digitale, sia perché i temi dello smarrimento, dell’angoscia e dell’alienazione trattati nel libro continuano a essere centrali nel dibattito sociale del nostro tempo. Di fronte a un mondo che cambia, alla globalizzazione e alle crisi (climatiche, economiche, sociali) del terzo millennio, anche l’uomo di oggi, allo stesso modo dei personaggi analizzati da Samir Girgis in Betti, Tozzi, Gadda e Tabucchi, vive infatti una condizione di crisi nella quale è chiamato a decodificare le strategie narrative e le psicologie dei personaggi della cultura contemporanea, al fine di trovare risposte alla visione della libertà, alla ricerca di senso e allo smarrimento generato dai processi di cambiamento.