
Secondo un recente rapporto, tra il 2015 e il 2023 si sono verificate 4,4 milioni di ore di pesca a strascico all’interno delle aree marine protette (MPA) di sette paesi dell’UE—l’equivalente di oltre 500 anni di pesca. Questi dati sono stati raccolti da Global Fishing Watch, che ha calcolato l’estensione e le ore di attività di pesca in Danimarca, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia.
L’uso intensivo della pesca a strascico di fondo nel settore commerciale è altamente dannoso per gli ecosistemi marini e può causare danni irreversibili agli habitat sensibili, come le praterie di maërl, le barriere coralline coralligeniche, i giardini di gorgonie e le spugne di profondità. Inoltre, i pescherecci a strascico rigettano in mare una grande quantità di pesci, spesso esemplari giovani di specie commercialmente importanti, o specie di scarso valore economico, ma comunque fondamentali per l’equilibrio dell’ecosistema.
Questa tecnica è particolarmente distruttiva e poco selettiva, poiché spazza via tutto ciò che si trova sul fondale marino, come un vero e proprio bulldozer. Le reti pesanti vengono trascinate su vaste aree per catturare pesci come merluzzo, gamberi, nasello, sogliola e rana pescatrice, che vivono sul fondale o nelle sue vicinanze.
Gli ecosistemi fragili, come le barriere di coralli d’acqua fredda, subiscono danni irreparabili a causa della pesca a strascico. Quando le comunità di coralli e spugne vengono distrutte, anche molte specie commerciali che dipendono da esse per la riproduzione, il riparo, la protezione e l’alimentazione rischiano di scomparire.
Infine, la pesca a strascico rappresenta un disastro ambientale per il clima: oltre a essere altamente dispendiosa in termini di carburante, con un’impronta di carbonio quasi tre volte superiore rispetto ad altre tecniche di pesca, disturba il fondale marino e libera grandi quantità di carbonio immagazzinate nei sedimenti oceanici.