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Monzeglio l’amico intimo di Benito Mussolini

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Controverso, tormentato, affascinante. Tre aggettivi che ricorrono nella biografia del calciatore piemontese Eraldo Monzeglio, colonna dell’Italia due volte campione del mondo di Vittorio Pozzo (1934 e 1938), amico intimo di Benito Mussolini, per il quale organizzò i funerali del figlio Bruno, fascista anche nei giorni di Salò. E malgrado la vicinanza al dittatore, che non rinnegò mai, di nuovo in campo nei mesi più bui per una partita più impegnativa di quelle disputate sul rettangolo verde: il salvataggio di alcuni partigiani ed ebrei dalle grinfie degli aguzzini. Vicende rimaste nell’ombra per decenni e fatte riaffiorare con molte testimonianze inedite dal giornalista Alessandro Fulloni nel suo libro Il terzino e il duce (ed. Solferino), presentato a Firenze al Museo del Calcio di Coverciano. A parlarne con l’autore il presidente del museo Matteo Marani, il presidente dell’Associazione italiana allenatori Renzo Ulivieri e Daniele Dallera, responsabile della redazione sportiva del Corriere della Sera.
Monzeglio vestì da calciatore le maglie di Casale, Bologna e Roma e nella capitale vinse anche uno scudetto quale direttore sportivo del club giallorosso (1942), partendo poi lo stesso anno per il fronte russo ed entrando quindi a far parte della segreteria di Mussolini nel periodo della Rsi. Al tempo stesso coltivò contatti con la Resistenza e si spese per salvare delle vite umane da morte certa o probabile. È il caso, ricordato nel corso della presentazione fiorentina, dell’ex portiere Giuseppe Peruchetti.

Ex numero uno di Juventus e Inter, Peruchetti faceva parte della “Seconda Divisione Langhe” insieme a Beppe Fenoglio ed era stato condannato a morte dai fascisti perché colto a trasportare armi per la lotta partigiana. Oppure dell’ebreo Anselmo Sacerdote, docente di Medicina che aveva perso la cattedra all’Università di Torino con l’entrata in vigore delle leggi razziste, riparato in Monferrato dopo l’internamento in alcuni campi per ebrei e antifascisti nelle Marche. Fu Monzeglio in persona a scortarlo oltreconfine, in Svizzera, prima che la situazione precipitasse. Anche per via di queste iniziative apparentemente in contraddizione con i suoi ideali, Fulloni ha descritto Monzeglio come «una specie di terzino fluidificante: un po’ in difesa con il Duce e un po’ in attacco con la Resistenza». Ambivalenza che risalta in un libro-indagine salutato da Marani come un evento editoriale per gli amanti del genere, in grado di illuminare un’epoca e i suoi protagonisti. Come l’ebreo Arpad Weisz, allenatore di Monzeglio a Bologna, poi deportato e ucciso in campo di sterminio. Alla storia di Weisz, dimenticato dal mondo del calcio fino ad allora, Marani ha dedicato alcuni anni fa la fortunata biografia Dallo scudetto ad Auschwitz.

Adam Smulevich/gr

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