
Composto da un solo comma, quest’ultimo prevede che: “a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
La dottrina ha ritenuto che tutte le operazioni previste dall’articolo in questione possano essere ricondotte al comune alveo delle “collettivizzazioni”. Ove ricorrano tali presupposti, la libertà di iniziativa economica privata risulta preclusa. Tutto ciò si spiega in combinato disposto con gli artt. 41 e 42 Cost., i quali contribuiscono a definire il modello di economia mista, immaginato dai “Padri Costituenti”.
Questo articolo investe tanto la continuazione di una impresa, già avviata (previo esproprio e successivo pagamento di un indennizzo), quanto la stessa possibilità di dare vita a determinate attività imprenditoriali, per ragioni legate a vantaggi di ordine economico e sociale, derivanti dall’affidamento di certi beni e servizi, che devono essere garantiti a tutti i consociati. Tutto ciò potrebbe non accadere, qualora vi fosse una totale privatizzazione, dato che le aziende private tendono alla realizzazione del massimo profitto, con una eccessiva “lievitazione” del prezzo delle prestazioni. Emblematica è la sentenza n. 11/1960 della Corte Costituzionale, che riconobbe come legittima la facoltà, concessa ai comuni, di istituire centrali pubbliche per la vendita del latte, considerato come un alimento di largo consumo, per il quale era necessario garantire un interesse igienico sanitario pubblico, rispondendo a fini di utilità generale ex art. 43 Cost..
A partire dagli anni 90 del secolo scorso, però, vi è stata un’inversione di tendenza. La creazione di un mercato europeo, che incentiva la privatizzazione, ha fatto perdere rilevanza all’articolo esaminato, considerandolo come norma “inapplicabile”. Misure di carattere autoritativo, come quelle previste dall’art. 43 Cost., sono difficilmente compatibili con il mercato concorrenziale previsto dall’Unione Europea.