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POESIA E MISTERO DELLA VITA /3 … di Domenico Pisana

Tempo di lettura: 2 minuti

1.La poesia come indagine sul mistero della vita

“Non oserei parlare di mito nella mia poesia, ma c’è il desiderio di interrogare la vita”. Così si esprimeva Montale in un’intervista di Medeleine Graff-Santschi, pubblicata nel 1965 sulla Gazette de Lusanne, che ci fornisce una linea di movimento secondo me da seguire anche in questo nostro tempo.
Poetare non è descrivere, non è analizzare se pur con sentimento, non è raccontare anche se con essa il poeta cerca in qualche modo di narrarsi. La descrizione, l’analisi e il racconto possono anche starci, e ci sono poeti che questo lo sanno fare bene; ma, a mio giudizio, credo che nel nostro tempo ciò non possa essere il compito della poesia. Poetare è interrogare la vita, provocare domande, seminare dubbi e inquietudini; poetare è aiutare a ricomprendere cosa significa , oggi, essere“ persona”, cosa significa un sentimento d’amore, un gesto di bellezza, cosa è libertà, pace, giustizia, solidarietà, uguaglianza, integrazione, tolleranza, valori che sono tutte realtà umane invocate universalmente, specie quando si verificano accadimenti che lasciano sgomenti, atterriti, come quello bellico di questi giorni, e che conducono l’uomo contemporaneo verso un orizzonte di catastrofe dove tutto sembra essere perduto e senza speranza.
Certo, non spetta al poeta indicare una strada, né è il suo compito, ma il suo poetare deve aprire varchi di riflessione, spazi d’indagine dentro i quali il poeta possa indicare all’uomo contemporaneo, con una immagine, un simbolo, un verso, una metafora, che c’è qualcosa, che c’è – montalianamente parlando – un “oltre”, un “varco”, un “più in là” verso cui bisogna cercare.
Questo “oltre”, questo “più in là”, un poeta può indicarlo con la sua parola poetica. Certo, egli non lo vede, ma lo percepisce, lo intuisce in quanto poeta, non scrittore di versi, così come l’uomo ode il grido che c’è dentro le cose, anche se non sente la voce. Se nella società della post modernità e contemporanea prevalgono il nichilismo, il relativismo, l’interscambiabilità tra bene e male, la riduzione della persona a cosa al punto da farne oggetto di barbarie, l’economicismo, il razzismo culturale, è fuor di dubbio che il poeta non può rimanere chiuso nella contemplazione del cielo e della terra fine a se stessa, ma ha il compito di cogliere ciò che sta “oltre” il cielo e la terra, in altri termini aprire il suo canto al bisogno vero che si agita nel cuore di ogni uomo di ogni angolo del mondo: la comprensione del suo essere persona e il suo essere in relazione con l’Altro e con il volto dell’altro, per poter continuare a sperare.
Urge una poesia che parta dalla vita, legga la vita e la sublima dentro un “universo metafisico”, non tanto per rispondere ad un “bisogno speculativo” o “lirico-estetico”, ma per aprire la poesia alla verità. Quasimodo nel suo saggio “L’uomo e la poesia” chiarisce che la poesia nasce con l’uomo, quindi ne evidenzia le principali funzioni: non deve dire, ma essere; deve portare una cosa dal non essere all’essere; non deve raccontare, pena la decadenza; deve esprimere la verità, perché l’uomo vuole la verità dalla poesia: “La poesia non deve dire, ma essere… […] Poesia è qualsiasi forza che porti una cosa dal non essere all’essere… Quando la poesia comincia a raccontare…comincia la decadenza, la vera decadenza…”
La poesia è, dunque, un “atto creativo”, un movimento del cuore e della mente mediante il quale un sentimento, un oggetto, una percezione, una visione, un sussurro, una lacrima e quant’altro la vita fa sperimentare all’uomo possono giungere all’essere, cioè divenire espressione di poesia cogliendone il senso più vero e profondo ed atteso che – come scriveva Elio Vittorini – “la poesia è per questo poesia: perché sta legata alle cose da cui ha avuto origine e si può riferirla, se nasce dal dolore, ad ogni dolore…”

2. Il rapporto poesia – interiorità – verità

Il rapporto poesia – interiorità – verità è poi un’altra forte esigenza del sentimento poetico del nostro tempo. L’uomo contemporaneo dalla poesia non vuole la finzione intesa come costruzione lirica della mente, ma vuole la verità. E quale verità?:
– la “verità di senso”: la poesia è chiamata a far scoprire all’uomo la dimensione valoriale degli accadimenti, lieti e tristi, della vita; deve aiutare l’uomo a dare un significato alla gioia o al dolore in questa fuga continua di giorni;
– la “verità morale”: fare poesia implica mettere l’uomo nella condizione di discernere il bene e il male che è dentro di lui, proprio perché – afferma Quasimodo –l’uomo nella sua verità non è altro che bene più male. È, pertanto, all’interno dell’orizzonte di queste verità che ogni evento della vita può essere meglio compreso nel suo più profondo significato, come nel caso del dolore, che non è da identificarsi con il pessimismo, ma da interpretarsi come forza che ha avuto sempre la capacità di frantumare qualsiasi catena, forza che sta alla base della verità.
Mi dispiace vedere come la poesia, questa dimensione dello spirito, venga a volte bistratta da chi, invece, dovrebbe promuoverla, e mi riferisco alle grandi forze editoriali presenti nella nostra società.
Ecco, sono convinto che riflettere sulla poesia sia importante e che i poeti, accomunati dallo stesso sentire, si confrontino per incidere più decisamente e in modo funzionale e con la forza dei loro contenuti sulla società del nostro tempo, anche con idee e valutazioni diverse.
Il poeta non può dunque chiudersi nella gratificazione di premi, medaglie, menzioni e diplomi, senza dubbio legittimi e dichiarativi del suo talento, ma deve essere presente nel dibattito culturale, sociale, politico del suo tempo dando al suo “essere poeta” forza e peso in grado di contribuire a suscitare domande nel suo tempo.
Quando un poeta c’è, si vede, si percepisce, “sveglia le coscienze”; le sue parole aprono al confronto, al dialogo, invitano a entrare nelle pieghe della poesia, che è mistero, è fascinazione, è inafferrabile, non è ingabbiabile, non è definibile come fosse un dogma.
Ogni poeta è spesso tentato di affermare che la propria poesia è la migliore; questo credo sia , almeno per me, un limite e fattore di debolezza, ma nella sua libertà ognuno può credere quel che vuole. Mi piacciono di più i poeti che sanno stare insieme nella loro diversità e che riescono ad essere in grado di confrontarsi e anche di parlarsi sinceramente e criticamente, (Montale e Quasimodo e Ungaretti erano amici che si scontravano parecchie volte), per fare sintesi e dichiarazione di poetica per questo nostro tempo, ognuno con il proprio stile, modo di sentire, con i propri contenuti e i propri sogni.
Io credo, infatti, che la poesia la si può trovare dovunque: basta guardarsi intorno. Spesso si è portati a pensare che le cose semplici della vita di ogni giorno non possano assurgere a “poesia”, non possano essere chiamate “poesia”. Io credo che bisogna uscire da questo equivoco, evitando di pensare – come sostiene la poetessa Donatella Bisutti nel suo testo “La poesia salva la vita” – che ci sono cose poetiche e cose non poetiche. Cosa può avere di poetico un guscio d’uovo? Eppure il poeta Giovanni Raboni gli ha dedicato una poesia scrivendo: “La tenerezza del guscio d’uovo/dolcemente svuotato con la bocca/ e ornato con paesaggi lontani…” Cosa può avere di poetico un calzolaio? Eppure Montale gli dedica dei versi: “L’abbiamo rimpianto a lungo l’infilascarpe,/il cornetto di latta arrugginito ch’era/sempre con noi..” Cosa può avere di poetico una moneta? Eppure un altro importante poeta del 900, Giovanni Giudici, vi ha dedicato una poesia, scrivendo: “Provvido dal taschino del panciotto la moneta/ Parsimoniosa estraendo e snocciolata/Sul polpastrello pensieroso…”
Ecco, i grandi poeti non hanno fatto una distinzione tra cose poetiche e non poetiche; ci hanno insegnato che il poeta è tale perché ci aiuta a vedere con occhi diversi; perché ci fa provare sensazioni ricorrendo ad un linguaggio che è diverso per ciascuno. Ciascuno di noi, quando prova delle sensazioni, vede un suo colore, sente un suo suono, o annusa un suo odore. Si dice che non esistono due persone con le stesse impronte digitali, quei misteriosi labirinti di linee sottili che portiamo sui polpastrelli delle dita. Così anche i colori, i gusti, i suoni, le ispirazioni. Solo noi possiamo decidere come deve essere la nostra poesia.

3. Dalla autoreferenzialità alla poesia personalista

Sono convinto che solo una poesia personalista secondo l’idea di Luigi Pareyson, supportata da “un cognitivismo epistemico ed etico con risvolti anche sul piano civile”- direbbe il poeta Maurizio Soldini -, potrebbe contrastare il nichilismo contemporaneo e avversare la tanta “poesia individualista, massificata nell’autoreferenzialità, che è sterile e non dà frutto e conduce al nulla”.
Il poeta esiste come persona che può modificare la realtà con la sua libertà e verità, e non solo per scrivere idilli o – direbbe Quasimodo – oroscopi lirici. La crisi del nostro tempo chiede al poeta una dimensione pragmatica e sociale nella quale il ruolo del poetare non appaia solo quello “speculativo e contemplativo”, ma quello dell’invito alla prassi come metodo per cambiare il mondo.
Il poeta non può nascondersi né evitare di assumersi le sue responsabilità sociali; egli non può rimanere neutrale di fronte alla storia, alla società e al mondo, ma, al contrario, deve prendere posizione; il suo poetare è un “atto di creazione” di immagini forti, nonché di sentimenti e contenuti in grado di avere un’efficacia sul cuore dell’uomo ancor più forte rispetto a quanto siano in grado di fare la storia e la filosofia. Il poeta, scrive Quasimodo, “è importante per il suo ‘contenuto’ (ecco la grave parola) oltre che per la sua voce, la sua cadenza di voce subito riconoscibile se imitata. Il poeta non ‘dice’ ma riassume la propria anima e la propria conoscenza, e fa ‘esistere’ questi suoi segreti, costringendoli dall’anonimo alla persona”.
Da qui il bisogno di puntare nella direzione di una poesia personalista ed esistenzialista che sappia dare voce alla società non come massa ma come realtà di relazione tra persone chiamate a ritrovarsi sui valori di una umanità che fatica ad essere umana; ciò non è da confondere con le lamentazioni né con una sorta di “poesia sociologica” o di tipo moralistico, ma, invece, deve essere inteso come necessità di una poesia che aspira al dialogo più che al monologo come direbbe Quasimodo:

“Un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente. E poesia è verità e libertà di quel tempo e non modulazioni astratte del sentimento(…) Il poeta è solo: il muro di odio si alza intorno a lui con le pietre lanciate dalle compagnie di ventura letterarie. Da questo muro il poeta considera il mondo, e senza andare per le piazze come gli aedi o nel mondo ‘mondano’ come i letterati, proprio da quella torre d’avorio, così cara ai seviziatori dell’anima romantica, arriva in mezzo al popolo, non solo nei desideri del suo sentimento, ma anche nei suoi gelosi pensieri politici… […] Non è retorica, questa: in ogni nazione l’assedio silenzioso al poeta è coerente nella cronaca umana”.

La forte antinomia che vive la poesia contemporanea è data dal fatto che da un lato di poesia c’è ne è in abbondanza e questo ne garantisce la sopravvivenza, dall’altro, però, la sua eccessiva produzione rischia di logorarla e di abbassarla di qualità: oggi accanto ad opere di grande valore, potenzialmente in grado di incidere sulla crisi del nostro tempo convivono parecchie pubblicazioni di maniera che, poste assieme ai primi sulla bilancia, finiscono per causare un’omologazione tonale. È allora diventa difficile scorgere, nell’enorme quantità di testi, un punto di riferimento, un campione di alta qualità.
Lo stesso Montale lo sottolinea, quando scrive che “resta sempre dubbioso in quali limiti e confini ci si muove parlando di poesia”, dato che “molta poesia d’oggi si esprime in prosa. Molti versi d’oggi sono prosa e cattiva prosa”.
La domanda che sorge è allora com’è possibile, per un editore che voglia promuovere e vendere la poesia, cogliere il pregio valoriale di un testo, poesia o prosa che sia? Il problema è capire dove c’è veramente ispirazione, intuizione, coinvolgimento esistenziale ed empatico e dove finiscono la moda, la maniera, la voglia di dirsi ‘poeti’, atteso che, rispetto al tempo e alla società in cui vivevano i poeti del primo Novecento oggi è possibile, attraverso la rete e i social planetare con i propri versi mettendoli alla portata di tutti, cosa che è anche per tanti aspetti un bene .
Sorge allora la questione di capire dove inizia il vero valore della poesia e in che modo, in tanto vasta produzione poetica, si fa a scorgere il vero talento. /3 – Continua

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1 commento su “POESIA E MISTERO DELLA VITA /3 … di Domenico Pisana”

  1. A mio avviso la poesia dovrebbe essere ” disimpegnata”, nel senso di non impegnata a dirigersi verso una meta precisa, etica e morale. A mio avviso, il poeta di alto profilo proposto finisce per diventare troppo meta-autodiretto e autocontrollato, finendo per inficiare il suo atto creativo e l’ispirazione che dovrebbe guidarlo, che quanto più è spontanea e più riesce a scavare al di là delle apparenze nel noumeno Il poeta libero e spontaneo alla fine riesce a dare ugualmente il suo contributo critico, etico e morale alla società, perché la sua poesia, se pur spontanea, non può esimersi dal rifletterlo come uomo totale con la sua formazione personale, le idee de Quasimodo sui poeti mi sembrano più adatte agli scrittori e non ai poeti.

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