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Donne in poesia, Cecere e Piccinno… di Domenico Pisana

Le ultime raccolte poetiche delle due poetesse pugliesi
Tempo di lettura: 2 minuti

Sono uscite di recente, e sono acquistabili on line, le raccolte poetiche di due poetesse pugliesi con un maturo e rilevante percorso culturale nazionale e internazionale. Parliamo, anzitutto, di Ester Cecere, tarantina, autrice di cinque libri di poesia e di due raccolte di racconti: “Istantanee di vita” (Kairòs Ed., Napoli, 2015) che è la sua opera d’esordio in narrativa, tradotta in tedesco, col testo italiano a fronte, e “Dall’India a Lampedusa. Soste di viaggio” (WIP Ed., Bari, 2018).
Le sue pubblicazioni sono state diffuse nelle maggiori rassegne librarie nazionali (Salone Internazionale del Libro di Torino, Tempo di Libri a Milano, Fiera del Libro di Firenze, Più Libri, Più Liberi di Roma, ecc.) e sono state presentate nelle più importanti città italiane: con un particolare che colui che scrive ha avuto modo di osservare direttamente, e cioè che l’autrice devolve in beneficenza i proventi della vendita dei suoi libri durante le serate di presentazione.
Ester Cecere, che figura anche in riviste e volumi sulla letteratura italiana contemporanea (“Letteratura Italiana Contemporanea. Figure e orientamenti”. A cura di Andrea Pellegrini e Cristiana Vettori. Saggio introduttivo di Marino Biondi. Edizioni Helicon, Digital Yeam – Fano, PU, 2013), ha recentemente pubblicato una pregevole silloge poetica, Edizioni Helicon, dal titolo “Avanzava Settembre”.

Avanzava Settembre: il paesaggio reale e quello della memoria

Quel che rimane di questa raccolta, a lettura ultimata, è una nostalgica e delicata meditazione sulla condizione umana che si dibatte dentro una costante circolarità ermeneutica tra passato e presente, facendosi rappresentazione e lezione etica.
E’ questa l’impressione immediata che nasce dai versi della silloge, ove la poetessa si rivela e nel contempo si chiude dentro una costruzione d’immagini e di metafore da cui trasudano temi profondi, verità eterne, “i sogni e desideri” tessuti dalla vita, “le giovanili illusioni” annegate nella storia, l’attesa di un Eden di quiete, la volontà di lotta per la verità(“Più non affido desideri e speranze /a perfidi ingannevoli lumi”), tutti dati che sorgono prepotenti da forme armoniose e immagini di intensa efficacia visiva.
Il giudizio mentale della poetessa squarcia il paesaggio reale e quello della memoria liberando lo stato interiore, mentre la parola, alleggerendosi, si allarga alla comprensione del suo “hic et nunc”. Nello spazio autobiografico di una “io poetico” in tempesta, l’animo dolorante si rasserena nella speranza:

“…Attendi lo sguardo fugace
che la bellezza ancora coglie
mentre di speranza regali
l’intramontabile messaggio”.

Spazio descrittivo e spazio temporale appaiono, nella versificazione, funzionali al procedere dall’amaro della sofferenza alla primavera e alla rinascita; il tempo presente, l’impulso della memoria, la condizione dell’attesa che attraversano la silloge, consegnano al lettore la voglia di vita che è nella anima della poetessa, e che insegue, nonostante “Le cadute in forre annunciate /Le scivolate per buche impreviste/Le arrampicate solitarie e piante/Le risalite dello spasmo al limite”, l’ebrezza delle note sui tasti del cuore.
La Cecere mostra di saper riprendere il tempo della vita nella sua antologia di bontà e gioia, amore e pensosa solidarietà; si stringe attorno alle perplesse stagioni del vento che corre ai porti delle miserie e dei dolori( Si leggano “Non chiedermi perché”, “Specchietti per le allodole”, “Navigo a vista”, “Invidiosa Proserpina”) e il suo poetare è nell’onda dei casi, o dolci o amari; nel disagio degli accadimenti che divergono al correre delle sofferenze e delle violenze; nella trasfigurazione dei sentieri sgraziati nella liquida incertezza delle malinconie che dipingono tremolii di attimi e di attese.
La lingua, di cui fa uso la poetessa, si compie gradatamente, a stadi. Cambia d’espressività nella sua evoluzione, ed è di volta in volta ampia, infittita, discorsiva, misurata a seconda del linguaggio impressivo dedotto dalla realtà; a volte, controllato e armonico per schiettezza di immagini.
V’è nei versi l’attimo dei suoi giorni, una tensione di affetti ed emozioni mai paga, una visione contemplativa, intesa come vita delle immagini e come costante proiezione verso l’anima degli accadimenti quotidiani.
Dunque, una poesia di vita, di sapore umano, di intensa colloquialità, spontanea nelle scelte e legata ad esperienze vissute, intrisa di verità, concreta nell’atto creativo, intensa di notazioni che pervadono di vibrante dinamismo le modulazioni inventive.
Ester Cecere insomma – e prendo a prestito Milan Kundera – “disegna il proprio autoritratto; ma poiché nessun ritratto è fedele, possiamo anche dire che con le poesie egli ritocca la propria immagine”.

La silloge poetica “Sfinge di Pietra” di Claudia Piccinno

L’altra poetessa di cui ci occupiamo è Claudia Piccinno, di origini pugliesi, che vive ed opera in Emilia Romagna; una donna con una personalità eclettica, che non solo scrive versi, ma traduce poeti, elabora letture critiche e saggi, ed è animatrice di eventi letterari internazionali. Presente in oltre sessanta raccolte antologiche, già membro di giuria in vari premi letterari a carattere nazionale e internazionale, ha al suo attivo più di 40 pubblicazioni, molte delle quali risultano tradotte in inglese, francese, spagnolo, serbo, macedone, arabo, turco, cinese, hindi, greco, polacco.
Della sua attività letteraria si sono occupati eminenti studiosi, tra i quali Giovanni Invitto (Unisalento), Ninnj di Stefano Busà (poetessa), Milica Lilic (critica letteraria), Slavica Pejovic (poetessa), Munir Mezyed (poeta),Carmen Moscariello (poetessa e critica letteraria), Angioletta Masiero (poetessa), Piero Lo Iacono (docente e poeta), Mauro Montacchiesi (poeta), Deborah Mega (poetessa), Sergio Carlacchiani, Prof. Giorgio Barberi Squarotti, Fabrizio Mugnaini, Nazario Pardini, Maria Luisa Tozzi, Agron Shele, Nicola Maselli, Bruna Cicala, ecc.
L’ultima sua pubblicazione poetica, già premiata in concorsi letterari, porta il titolo “Sfinge di pietra”, Edizioni Il Cuscino di stelle. Una poesia spontanea nei luoghi e nei ritmi, attraversata da un sentire impulsivo che si connota come viaggio, intreccio di silenzi e di ignoto, di armonie, di ricordi, di improvvisi fremiti, e che promana dalla realtà carica d’emozioni.
E’ questa l’impressione che si ricava accostandosi a questa sua raccolta bilingue, italiano -inglese, che già nell’interessante e simbolico titolo, incastonato nel bellissimo dipinto dell’artista Immacolata Zabatti, contiene una dichiarazione di poetica, tanto lineare quanto complessa, e che fa pensare alla sequenza mitica Sfinge, Edipo e Antigone, a “La Esfinge”, di Miguel de Unamuno, al Poema del grande scrittore inglese O. Wilde ove il poeta vede con la mente una Sfinge antichissima, “languida e misteriosa, sinuosa e morbida come una lince”.
Il corpus poetico della silloge mostra, rispetto alle precedenti, un ulteriore processo evolutivo sul piano del linguaggio e delle scelte formali, e si compone di due linee di movimento: la prima di 14 poesie; la seconda, che si snoda in forma poematica, con un titolo molto significativo: “Sono vetro”.
La Piccinno mette in campo con i suoi versi l’incognita di una natura profanata, i conflitti della “coscienza del bene e del male” e della “vanitas vanitatum”. La Sfinge diventa centro di oggettivazioni interiori, bersaglio di disillusioni, traguardo di conversazioni disposte a ricercare la verità e il senso delle cose:

“Cerco il senso
di questo vuoto di parole
in una dimensione
che non mi appartiene”.

Claudia Piccino sceglie la sfinge per simboleggiare la realtà misteriosa, impenetrabile, disegnata nelle facce di uomini e donne di questo tempo globalizzato; emblematiche sono le poesie “Amica mia”, “Sull’adulazione”, “In punta di tastiera”, ove i versi sono tagliati con sentimento ferito e richiamano le tante “sfingi contemporanee”, ossia quelle persone indecifrabili, impenetrabili, enigmatiche, che nascondono i propri sentimenti e la propria cultura dietro un comportamento oscuro, arcano, imitando sia l’essenza enigmatica della sfinge greca, sia l’immagine fredda, distaccata, indifferente, solenne, trionfale e maestosa di quelle egizie.
Questo spiega perché la poetessa dichiara di rifiutare “la tonalità delle grinze /del vestito che dovrebbe(dovrei) indossare”; di nutrire il sospetto verso chi “vuole mortificare l’intelletto” e di essere consapevole che “a svelarsi ci si rimette sempre”.
La seconda parte del volume “Sono vetro”, costruita in forma poematica, dice della personalità a largo spettro e di grande impegno etico e civile di Claudia Piccinno; la poetessa cala i grandi temi dell’esistenza nel contesto socio-culturale della contemporaneità, consegnando al lettore un quadro dal quale traspare l’arrivismo sconsiderato, la dualità tra l’essere e l’apparire, la volontà prevaricatrice, la finzione, la disonestà, l’egoismo, la mancanza di rispetto e di amore verso l’altro; emblematici, a riguardo, sono questi versi schietti e pungenti:

Ti fai pietra /Quando hai paura. Ti fai di marmo /per non sbilanciarti, Ti fai di legno /per non esporti. Ti fai di nebbia /quando hai vergogna, Ti fai di vetro /se lui ti guarda. Ti fai di gesso /se lui ti lusinga. Ti fai di cenere /se lui ti inganna. Ti fai di bile /se lui ti dimentica”. (XXXII)

Claudia Piccinno intride i suoi versi di un coraggio senza frontiere; se Piero Bigongiari diceva che “noi siamo la stazione in cui la parola pensante ondeggia un po’ prima di proseguire la sua corsa”, a ben pensarci i versi della poetessa a me sembrano quella stazione ove fluttua da vari percorsi quella parola reclamata al pensiero come segno di cammino; ove staziona ciò che l’esperienza le offre: il pianto o il sorriso dei giorni, l’entusiasmo della meditazione, l’affanno della ricerca, l’indignazione o l’esaltazione; e così i suoi versi diventano “pagina scritta” fra azione e abitudini, fra reazioni e obbedienza, riflessioni e meditazioni, certezze e incertezze, fra il distacco di facce sfingee e i suoi sguardi di “cuore pellegrino”, fra l’opacità di relazioni e il suo percepirsi come “casa di vetro” in cui potersi specchiare come nella trasparenza dell’acqua.
Alcuni stilemi, in particolare, sono speculari alla forte indignazione e lacerazione dell’anima e imprimono nel lettore, con forte incisività, immagini difficilmente dimenticabili:

“ogni sasso un pensiero” – “Siamo radunati dietro le quinte” – “maschera di dolore sorridente” – “Selvaggia la mia mente /si sveglia e si nasconde /dietro ipocrite convenzioni “ – “interloquire con i silenzio di un tormento” – “istauro un dialogo per sognatori” – “L’intuito reclama obbedienza” – “Paroloni sorridenti/ col tuo modus vivendi “ – “Non sarò solo un ingranaggio” – “Annaspo tra i perché dei miei bambini”.

Dunque, in questo libro, energia concettuale e “vis emozionale” si intrecciano dentro un poetare che si affida al verso ora breve, ora lungo, ora prosodico, costruendo una epistemologia esistenziale dal basso che utilizza anafore e moderne Verbidungen sinestetiche e metaforiche senza cedere né a tentazioni discorsive né a emorragie retoriche.
La “Sfinge di pietra” di Claudia Piccinno ci lascia la rivelazione di un sofferto e forte modo di sentire, di profondo guardarsi dentro, di un giudicarsi senza paura con una visione realistica della vita, di un confrontarsi, cioè, con un senso concreto e profondo delle cose umane.

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