
Dopo una guerra si ricostruisce quello che è stato distrutto. Non sempre, non tutto, non nello stesso identico modo, evitando gli errori di prima, cercando soluzioni migliori, rispondendo a nuove esigenze, ottimizzando tempi e risorse a disposizione. La pandemia, paragonata con affermazione esagerata a una guerra, ha segnato una cesura rispetto alla vita precedente e bene sarebbe evitare di farsi prendere dalla nostalgia tentando intemerate mosse di recupero di quello che in un anno e mezzo ha dimostrato di non funzionare. Mentre una parte di mondo sta ancora dibattendosi e cercando disperatamente di liberarsi dalle grinfie del virus, c’è un’altra parte che grazie all’arma dei vaccini si è rimessa in moto. Il nostro paese non è tra quelli che sanno cogliere al volo le occasioni, stenta a sintonizzarsi con il nuovo, abbarbicato com’è a cattive abitudini e ostile al cambiamento che non sia puro restyling. Lumaca o gambero secondo le situazioni, il Partito democratico è oggi la rappresentazione plastica dell’avversione al cambiamento e alle riforme, indispensabili non perché ce le chiede l’Europa, alibi per scongiurare l’assunzione di responsabilità, ma per dare alla struttura dello stato un minimo di decenza. E’ quanto il paese spera che il governo Draghi attui oltre alla campagna vaccinale e al Piano nazionale di ripresa e resilienza. E’ quanto l’ampia ma scombinata maggioranza dovrebbe perseguire avendo dato il proprio appoggio all’ex banchiere. Ma più ci si avvicina a temi caldi e divisivi, come la semplificazione burocratica e il blocco dei licenziamenti, più i singoli partiti danno segni di insofferenza e cercano di tirare il presidente del Consiglio dalla loro parte. E proprio il Pd, inizialmente dichiaratosi convinto sostenitore del nuovo governo, il partito che potrebbe aspirare a guidare il paese in futuro, mostra evidenti difficoltà a cambiare oltre la pelle e il nome, anche e soprattutto la sostanza e gli obiettivi del vecchio Pci. Liberato dall’invadenza mediatica di un ex premier inconcludente, dai fallimenti di un catastrofico commissario all’emergenza che ha sperperato soldi pubblici, dal capo della Protezione civile Borrelli, da Parisi, presidente dell’Anpal e ideatore dei navigator, colui che avrebbe dovuto trasformare i sussidi in posti di lavoro, il Partito dei democratici continua a perseguire un’alleanza controproducente con un movimento malridotto, riuscito, tra le altre cose, a distinguersi per aver pessimamente amministrato le città in cui era stato eletto, una su tutte la Capitale. Il nuovo segretario ricalca le orme di Zingaretti costretto a lasciare per i mugugni e il malcontento di chi dissentiva sulla linea consigliata da Goffredo Bettini, il quale, ancora, vede un Pd spostato a sinistra con un M5s neocentrista guidato da Conte. Il super democristiano Letta non dà segni di rendersi conto che la realtà è cambiata e ogni giorno si inventa un diritto da difendere piuttosto che occuparsi dell’agenda di governo. Mancanza di immaginazione o precisa volontà di disturbo nei confronti di un governo troppo “liberista”? Pietrangelo Buttafuoco, con il solito acume ha detto : “Ius soli, ddl Zan, Salvini fetente, Salvini fetente, ddl Zan, ius soli. Il Partito democratico ha rinunciato alla politica per darsi alla commedia”. Ultima trovata del segretario una tassa di successione del 20 per cento che colpirebbe donazioni e eredità superiori ai 5 milioni di euro, finalizzata alla creazione di un fondo di 10 mila euro a favore dei diciottenni. Magra cifra, insufficiente per chi volesse frequentare l’università, una sorta di reddito di cittadinanza che non aiuterebbe i giovani, come tutti i bonus monetari distribuiti indipendentemente dal merito e per questo diseducativi. Una bandierina simbolica che assicurerebbe al Pd una rendita di posizione. Un attacco alla ricchezza identificata come privilegio di pochi o furto come emerge chiaramente dal verbo utilizzato da Letta: “restituire” alla collettività ciò che è stato tolto. La giustizia sociale non si realizza criminalizzando gli interessi legittimi di chi opera nel mercato libero, che libero deve rimanere, e che assicura a tutti la possibilità di intraprendere e avere successo. Il ruolo dello Stato non è bloccare e impedire, ma facilitare e controllare. Come mai Letta non si preoccupa degli 85/90 miliardi che ogni anno sfuggono all’Erario? Il suo è moralismo confuso e sciocco al quale Draghi ha risposto seccamente: “Questo non è il momento di prendere ma di dare”. E il segretario non si illuda di poter dormire sonni tranquilli di fronte al silenzio dei due capi corrente del partito, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini, che dicono laconici: “Noi siamo per l’agenda Draghi”.
3 commenti su “Potrà Letta stare sereno? …l’opinione di Rita Faletti”
Fin quando non sarà eliminato il”sicario di Rignano”non si potrà ricostruire, ne potrà esserci pace alcuna nella sinistra ..
Di già va sparato contro Letta e le sue idee.
Si dichiara con Draghi, perché da “muratore” non può andare contro un “capomastro”..( gli è vietato ).
Letta non ha cambiato minimamente direzione dopo la fuoriuscita con insulto finale di Zingaretti. Il PD andrà a schiantarsi nella illusione di avere un vantaggio dal movimento, ammesso che esisterà ancora il movimento. Conte non da segni di vita, le sole dichiarazioni sono fatte contro il PD e la sinistra. Il cambiamento della linea del PD, l’allontanamento del PD alla linea riformista e progressista farà enormi danni. Io spero si riorganizzi una alternativa seria e riformista in area centrosinistra. Ma prima o poi le cose si capiscono, e Letta continuerà nella sua balorda serenità.
La scelta di Letta di seguire la precedente linea politica ha determinato un disastro a sinistra. Il PD e m5s scendono nei sondaggi, giorno per giorno. E non si illuda il pd, quando il m5s scomparirà e Conte non ci sarà più, i grillini andranno a destra e i piddini resteranno un un pugno di mosce ed un partito distrutto.