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Vaccinopoli iblea e nuovi modelli di vaccinazione. La proposta di Italia Viva

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“In questi giorni, il caso vaccinapoli in provincia di Ragusa continua, giustamente, a tenere banco. Tutti si chiedono perché il protocollo che avrebbe dovuto costituire il punto di riferimento da cui non deragliare abbia invece, almeno in parte, fatto cilecca. Ma non dobbiamo perdere di vista il vero obiettivo che è, e deve restare, quello di proteggere le categorie più a rischio”. A dirlo la coordinatrice provinciale di Italia Viva, Marianna Buscema, che avanza la possibilità di prendere in considerazione un altro aspetto. Quale? “Si potrebbero vaccinare le categorie di persone che maggiormente contribuiscono a diffondere il virus – dice Buscema – e non a subirne gli effetti. Questa idea è stata proposta recentemente dal fisico ungherese Albert-Laszlo Baràbasi (uno dei fondatori della teoria delle reti) ed è basata sul fatto che, nella rete di rapporti interpersonali che ognuno di noi si crea, esistono dei veri e propri “hub” ovvero persone che interagiscono con grandi quantità di altri esseri umani. Disattivare, attraverso la vaccinazione, gli hub delle relazioni umane potrebbe rallentare in maniera decisiva la diffusione del virus. In questo caso, le persone non dovrebbero più essere suddivise in categorie a seconda dell’età, ma a seconda del numero di persone che fisicamente frequentano e dall’ambiente in cui le incontrano. I medici – intendiamo i medici di base – sono il primo esempio che ci viene in mente, ma ce ne sono molti altri: i camerieri, i controllori, gli autisti di pullman, i baristi. Dipende non solo da quante persone uno incontra, ma anche da quanto tempo passa in loro compagnia, e in quale ambiente; ma chiunque faccia un lavoro al pubblico è, probabilmente, un potenziale diffusore molto più di un manager che lavora da remoto o di un pensionato che vede solo chi gli porta la spesa. E’ chiaro che i protocolli non dipendono dall’Asp di Ragusa ma un contributo sul modus operandi può arrivare anche dal territorio. E deve diventare un aspetto su cui, secondo noi, bisognerebbe confrontarsi”.

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