
Caro Vittorio Feltri,
ho sempre apprezzato la tua intelligenza, la tua cultura, se vuoi anche il tuo modo di essere volgare.
Chi ti scrive, con affetto, è un meridionale e precisamente un siciliano.
Lo sai perché sei intelligente e sei un pozzo di cultura?
Te lo dico io, perché nel 1200 è nata la Scuola Siciliana, prima ancora del Dolce Stil novo e prima di Dante Alighieri.
Sai la Scuola Siciliana faceva uso del Volgare, ma non del tuo essere volgare, caro Vittorio Feltri, il nostro volgare era plurilinguistico.
Il nostro Volgare era lirico, alto, da élites.
Ai tempi del grande Federico II sovrano illuminato, in Sicilia tre grandi uomini inventavano il sonetto, la metrica: il Notaro Jacopo da Lentini, il cancelliere Pier della Vigna e il giudice Guido delle Colonne.
La Scuola Siciliana come punto d’inizio, promotrice della Cultura e della Letteratura.
Il nostro Volgare come lingua pregevole, nobilitata.
Caro Vittorio Feltri,
pensa che lo stesso Dante cita Jacopo da Lentini nel XXIV canto del Purgatorio.
Caro Vittorio Feltri,
pensa che Pier della Vigna sarà una delle anime incontrate da Dante nella selva dei suicidi.
Caro Vittorio Feltri,
mi dispiace, e tanto, per ciò che sta subendo la Lombardia con tanti malati di covid 19 e tanti decessi. Sappi che i lombardi sono miei fratelli in quanto italiani come me.
Caro Vittorio Feltri,
vorrei consigliarti un tampone, ma non per il covid 19, ma per il virus antimeridionale e, vedrai, risulterai positivo.
Caro Vittorio Feltri,
concludo questa mia, non me ne volere ti prego, con una frase di un trattato di lingua latina scritto da Dante, il De Vulgari Eloquentia dove il Poeta scrive: “Qualunque cosa gli italiani scrivano viene chiamato siciliano”.
Grazie Vittorio per l’attenzione, un sorriso.
Gianni Scala
4 commenti su “Lettera aperta a Feltri dello scrittore siciliano Gianni Scala”
Caro Giovanni
di sicuro ci hai ricordato quanto bisogna essere orgogliosi di essere meridionali, temo che il sig.feltri dall’alto della sua superbia intellettiva accecata da chissà quale rabbia interiore , mai e poi mai accetterà tale critica….!!!
Carissimo Feltri sei talmente viscido che per leggere il tuo “giornale” servono i guanti.
In sintesi: dalla Volgare Eloquenza di Jacopo da Lentini all’eloquenza volgare di Vittorio da Bergamo.
Sembrava finita ma la polemica continua sullo stesso argomento.
Ci si ostina, da destra e da sinistra, a voler ricordare a Vittorio Feltri chi siamo stati noi siciliani. Lo sa benissimo e me lo immagino seduto sulla sua poltrona di casa a godere del risultato insperato, forse, della sua provocazione. Tutti abboccano, chi sostiene di non comprare più il suo giornale, chi suggerisce di pulirci il di dietro, di tutto e di più. E’ evidente anche a lui che l’insostenibile tesi dell’inferiorità meridionale è una balla, creata appositamente per scatenare delle polemiche mediante le quali si è creato il personaggio senza freni e senza peli sulla lingua. Provoca sempre, nei dibattiti (frocio e non omosessuale), nei titoli (Calano fatturato e pil ma aumentano i gay – Patata bollente – Comandano i terroni, ecc ecc) e tutti quanti ci ridono sopra invitandolo a più non posso nei dibattiti televisivi, consci e certi che qualche sparata delle sue la dirà.
Personalmente la provocazione non mi tocca perché sostengo che qualsiasi uomo, sin dalla nascita, messo nelle condizioni di divenire nel migliore dei modi, lo sarà certamente indipendentemente dalla provenienza geografica. Cosa ci frega allora? Come ho già detto in un altro commento, noi siamo il frutto di ciò che ci circonda, ricordando come sosteneva Aristotele che tutti nasciamo “Tabula rasa” e noi siciliani come dice il Principe Salina ne “Il Gattopardo” dobbiamo abbandonare la Sicilia precocemente perché a vent’anni è già tardi in quanto la “Scorza” si è già formata.
Cito, per esempio un altro maestro della provocazione, Giuliano Ferrara, anche lui all’apice della notorietà quando nelle sue uscite incontrollate, oltre il limite della decenza titolava «Il Foglio» di Giuliano Ferrara: «Basta un pompino per far crollare Wall Street».
Vittorio Feltri, quasi 77enne, è davanti al cancello del cimitero con i corvi che gli girano intorno, le sue vene sono indurite e l’arteriosclerosi è galoppante. I veri imbecilli sono quelli che gli danno ancora la possibilità di scrivere o di straparlare davanti alle telecamere.
Gli altri, quelli che s’incazzano, dovrebbero sorridere e dirgli con un sorriso smagliante sulla bocca: si curi, ne ha bisogno.