
Due mesi non bastano a valutare un governo, ma sono più che sufficienti per capire se esista un progetto, quale sia e se vada nella giusta direzione. L’alleanza giallorossa è stata la risposta a due emergenze: disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva e desalvinizzare il paese. Racimolati i 23 miliardi per la sterilizzazione dell’imposta, rimane però il fatto che il governo dovrebbe spiegare con chiarezza le ragioni della scelta di mantenere immutate quelle clausole. L’ex ministro Tria aveva in mente la rimodulazione dell’aliquota secondo le tipologie di beni, con il vantaggio di redistribuirne il carico in modo più equo, ma ad ammontare invariato. E però c’è anche chi ritiene che l’aumento dell’Iva incrementerebbe le entrate, migliorando i conti dello stato e determinando la riduzione del deficit e del debito in rapporto al pil. Riguardo la seconda emergenza: evitare con ogni mezzo che si andasse a votare e Salvini vincesse, il voto in Umbria, nonostante la sottovalutazione (sincera?) della clamorosa sconfitta dei giallorossi (un milione di elettori cosa sono?) sembra indicare che il Matteo delle spiagge e del mojito non ha perso quota tra i suoi elettori, al contrario, ha rosicato tra quelli di altri partiti. Il M5s è sceso al 7 per cento. Merito di Salvini o demerito della maggioranza? Forse è presto per dirlo. Forse neanche. Certo che un’alleanza a freddo tra due forze tra loro compatibili non più di quanto non lo fossero i gialli con i verdi del Conte1, è poco probabile possa reggere fino alla fine della legislatura, se non in funzione antisalviniana e a salvaguardia delle poltrone. Entrambi obiettivi poco apprezzabili, soprattutto il secondo, che rivela la paura di scomparire dei Cinque stelle, in caduta libera e inconsapevoli dei disastri costruiti nei quattordici mesi al governo con la Lega. Di Maio capo politico del movimento e improbabile ministro degli Esteri è causa di imbarazzo e insofferenza anche tra i suoi. Il giovanotto mostra evidenti e diffuse lacune, che tenta di nascondere inventandosene una ogni mattina, salvo rinnegarla la mattina successiva. La manifesta assenza di strategia non è che l’altra faccia della mancanza di identità dei grillini che, informi come l’acqua, assumono la forma del contenitore. Né di destra né di sinistra, spostati a destra se l’alleato è Salvini, spostati a sinistra se è Zingaretti. Chi sono i Cinque stelle? Semplicemente non sono. La loro esistenza è subordinata al consenso, il consenso alla realizzazione di promesse irrealizzabili quando la realtà impone di vestire gli abiti istituzionali. Il guaio è che la loro indole proteiforme ha finito con il contagiare il partner di governo. Zingaretti, il pacioccone segretario del Pd che disse: “Preferisco essere chiamato Nicola” usò parole profetiche per delineare il proprio ruolo all’interno del partito. Segretario, dunque, non candidato premier, né leader. Eppure la leadership è quello che fa la differenza. Salvini è il leader della Lega, nessuno ha dubbi. Zingaretti segretario del Pd è una figura evanescente, priva di incisività, che appare a tratti convincente a tratti rassegnata al proprio destino. Contrario a un’alleanza con i grillini, vi è stato costretto, suo malgrado, da Renzi; non voleva Di Maio e se lo trova ministro degli Esteri; non voleva Conte primo ministro in nome della discontinuità e Conte è il primo ministro del governo che lui ha promosso. L’impressione è che Zingaretti si sia grillizzato al punto da prendere addirittura le difese della sciagura Raggi. Il voto in Umbria, che definire irrilevante sarebbe uno sbaglio, potrebbe essere l’anticamera della disfatta di questa maggioranza e dello smarrimento del Partito democratico, assuefatto alla natura immobilista dei Cinque stelle. All’orizzonte, nulla di utile per il paese, mancette a pioggia, tasse green per mascherare l’ennesima forma di tassazione occulta, ambientalismo all’amatriciana che altro non è se non un paravento che cela la paura dello sviluppo, esorcizza i “demoni” della crescita e della scienza, coltiva l’immobilismo tossico di chi orgogliosamente ha piantato una bandierina ideologica per tentare di fermare la Tav, il Tap, la Gronda di Genova, e ora tenta di fermare l’ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino per salvare una riserva naturale. Dopo Toninelli, è il momento del geniale ministro dell’Ambiente Costa, che pretende di bloccare un’opera strategica nel principale scalo del paese proprio quando il traffico aereo è in crescita. E Zingaretti cos’ha detto? Nulla. Pensa, invece, di cambiare il Pd “Daremo vita a un nuovo partito che si chiamerà Partito democratico o quello che decideremo”. Incredibile! Chi invece saprebbe come far uscire il paese dall’impasse è il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, che boccia le politiche economiche del governo, ribadendo quello che anche un bambino capisce: difendere le imprese italiane è l’unico modo per difendere il lavoro. Ma grazie a questo governo lo spread è sceso a 130 punti. Risponde Bonomi: “In Spagna, è tra il 70 e l’80 per cento. Significa che in quel paese la questione economica è una cosa seria”. ritafaletti.wordpress.com
2 commenti su “Contro Scilla, desiderando evitare Cariddi…l’opinione di Rita Faletti”
‘Ma grazie a questo governo lo spread è sceso a 130 punti’. Vero. Indiscutibile; a condizione però che il governo alzi le tasse e soprattutto accolga quanti più migranti possibili.
Governo disgregato, manovrine sulla manovra, tasse a manetta a chi produce e regali a raffica a chi un lavoro non lo cerca e non lo cercherà mai. Si chiama reddito… e si legge parassitismo italiano.