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IN PUNTA DI LIBRO……di Domenico Pisana. La sublimazione della libertà nella silloge “Gabbiani sanguinanti” del poeta arabo Raed Anis Al-Jishi

Un’ interessante voce poetica del mondo musulmano, caratterizzata da versi che riescono a stagliarsi dentro un positivo incontro di culture e di visioni dell’esistenza ricche di sensibilità umana, è quella di Raed Anis Al-Jishi, poeta dell’Arabia Saudita e autore della silloge “Gabbiani insanguinanti”, tradotta dalla poetessa pugliese Claudia Piccinno, e pubblicata dall’Editore italiano “Il Cuscino di Stelle”.
Raed Anis Al-Jishi ha al suo attivo un romanzo e nove volumi di poesie in arabo, uno in francese e uno in inglese; ha ricevuto, altresì, una borsa di studio onoraria da parte dell’Università dello Iowa, svolge l’attività di traduttore e insegna Chimica nelle Scuole Superiori.
Il tono lirico e la strutturazione simbolica della raccolta “Gabbiani sanguinanti” appaiono nella loro evidenza già dalle poesie d’apertura, ove la versificazione si veste di figure e immagini che racchiudono la polisemia del senso ermeneutico della vita: “l’argilla”, “il fiore”, “le spine”, “il pane”, “l’armonia”, “la donna”. Al-Jshi crea una circolarità tra linguaggio letterario e linguaggio comune per lanciare messaggi che stigmatizzano scaturigini e fisionomie del comportamento umano:

“Dalla pesantezza dell’argilla,
Ho creato maschere
Che potrebbero corrompere
Le loro nuvole imprigionate
E mutarle in ghiaccio arrogante”
(In origine era l’argilla)

“…Io, le mie confusioni e il mio pane
Scambiammo i nostri ruoli in tempo.
Un uomo distrutto
Dipende dalle cose interrotte”
(In sospeso)

Il poeta arabo scende nella profondità del suo io, ove riverberano lamenti ( “Oh, piagnone / Sei ancora come eri / con gli occhi foschi…”), prendendo atto che “ I sogni / Sono solo maree / Che non si alzano”); si scontra poi con le contraddizioni della vita nella consapevolezza che “Le melodie / Non vivranno per sempre” e che l’essere nel tempo è un inganno perché “Niente durerà”.
La poesia di Raed Anis Al-Jishi conosce, senza dubbio, la delicatezza del sentimento e la tensione di ricerca della verità (“…Fammi elaborare il mio viaggio / Tra i tuoi occhi, / Trovare la verità, / Vincere l’impossibile speranza, in “Borgogna”), trasformando la forza epigrammatica dei suoi versi in un produttivo contenuto di significato poetico e di raffronti meditativi:

Sono un pendolo.
Le fiamme bruciano il mio corpo
A mezzogiorno
Poi il ghiaccio mi fa rivivere
Nella notte
Così da esser pronto
Per la morte mattutina
(Il pendolo)

“Gabbiani sanguinanti” è una silloge che fa risaltare il senso e il valore della libertà dell’uomo, una libertà che spesso odora di sangue, di male e di dolore (“…Alcuni dolori non hanno mai fine / Finché ti faranno più male / Di quanto tu possa credere di tollerare”, in “Il dolore”), ma anche di amore: quell’amore che, in uno scontro dialettico tra vita e morte, “rende insonne” e che fa indossare al poeta “l’angolo / della notte solitaria…”; quell’amore che altresì tesse storie di vita “Che possono scuotere il vuoto”:

“…L’amore
Ci assomiglia,
Ma siamo andati lontano, molto lontano,
E lui c’è ancora
Sta seguendo le nostre tracce
Nell’aria”.
(La motivazione della morte)

La poesia di Raed Anis Al-Jishi è costruita con moduli stilistici che invitano il lettore ad entrare autonomamente dentro una realtà inattingibile; in qualche poesia, addirittura, tutto sembra orchestrato con quel “linguaggio del petèl” di zanzottiana memoria, ossia un linguaggio che rimanda alle origini, all’indistinto originario:

Con infinita pazienza ,
Ho suonato la melodia dell’ancora
Appeso alla sua placenta,
Deformando i desideri del mio feto.
La creatura capovolta
Nel mio corpo
Allunga le sue dita verso
Il riflesso della luce,
Grattando gli specchi
Del mio addome
La rifrazione del silenzio
Lo abbandona
Nel grembo dello squillo.
(Creatura capovolta)

Che cos’è la vita nella poesia di Raed Anis Al-Jishi? E’ anzitutto riconoscimento della sua identità d’origine ( “…Ho una natura di Qateefy…”); è sogno (“…Il tempo sogna / sul flusso della melodia della rugiada…”; è memoria (“…Osservando quel ragazzo / Che veniva da una terra lontana. / Abbiamo la stessa balbuzie / Nella nostra lingua e memoria…”, in “Il mormorio della memoria” ); è, ancora, immedesimazione negli strazi provocati sia da “La linea rossa delle rivoluzioni” come nella poesia “Le notti di Beirut”, sia dal rumore che violenta le orecchie quando “La polvere da sparo / Parla dietro le tue spalle…” e all’orizzonte si intravede “una gabbia di ferro / Di emozioni / E una prigione di / Melodie ironiche”, in “Prigioniero”.
Insomma, l’autore trova nella parola poetica il superamento di uno stato di prigionia e la sua essenza più vera di libertà: “Rotolo./ Fumo gli impulsi del minuto / Mi inietto nel braccio / L’eroina dell’amore. Nessuno può zittirmi. / Le mie poesie volanti / Si nascondono / Nei pacchetti dei cuori…”, in “In prigione, ma libero”.
Il susseguirsi delle liriche della raccolta “Gabbiani sanguinanti” è un magma di sentimenti, di metafore e di immagini che delineano associazioni dell’inconscio: “Vagoni del romanzo”, “anime pellegrine”, “Lingua del tumulto”, “briciole di carità”, “ratti che millantano credito”, “fiori che sanguinano”, “lacrime di cera sanguinante”, “tremore della nudità”, “Buco nero del silenzio”, “gocce di sangue e di preghiera”, “linguaggio delle scarpe”, “carovane del sale”.
Dentro questa orchestrazione di immagini e di suggestioni simboliche c’è la forte ed appassionata volontà comunicativa del poeta, il quale dispiega i suoi versi con un movimento dialettico che oscilla tra disordine ed ordine; tra visioni in cui il poeta ironizza sulla vanteria di persone che credono di essere “fonte di luce” quando nella realtà non sono altro che “ratti” che sguazzano nel fango, e la consapevolezza di “saper stare da solo”; tra l’aspirazione a cercare “l’azzurro nel cielo” e il suo proiettarsi rammaricato dentro l’orizzonte desolato e inquietante di Dilmun, città del Bahrain che si distende lungo la costa orientale dell’Arabia Saudita, una volta conosciuta come il leggendario “Giardino dell’Eden” per la quantità di acqua sorgente che allora sgorgava, e dove il poeta vede ora contadini e mendicati:

E vedo
Contadini
Che cantano nella strada del latte
Con un toro
Che non sapeva
Cosa fosse l’aratro.
E mendicanti
Predoni del deserto
Come un branco di insetti
Con le loro ferite sanguinanti
Con lunghe barbe rosse,
Nasi adunchi
E tanto rumore.
(Dilmun)

Raed Anis Al-Jishi è un poeta che sente se stesso come “gabbiano straniero” contro vento ( “…La mia patria / Consiste nel mio essere straniero…”), che con le sue “poesie zingare” non rinuncia alla sua libertà (“La mia abitudine è essere libero…”) perché la libertà e il suo “habitus” mentale ed affettivo, è il suo canto d’amore con il quale vuole raggiungere ogni uomo e vuole unirsi alla voce di Mahmoud Darwish, che è considerato tra i maggiori poeti in lingua araba.
Nella poesia “La porta d’Oriente così, infatti, scrive Al-Jishi : “…Ho visto noi come racchiusi / Nelle bolle / Ho visto noi / Nel riflesso / Di un colore nuovo, / Cantare l’impossibile / Nel grembo dell’angolo dell’estinzione”.
Come è possibile notare dalle varie citazioni di questa silloge, spesso il discorso poetico è svolto dall’autore in prima persona, con rimandi al suo territorio e alla sua cultura, ma con un respiro di universalità che disegna una parabola umana incentrata sui grandi temi della libertà, dell’amore, della valorizzazione della donna nella sua corporeità, nella sua bellezza relazionale, nei suoi affetti e nelle sue amicizie.
E Raed Anis Al-Jishi, che è, fra l’altro, un attivista per i diritti umani, in questa silloge poetica esalta la donna e l’amore (“E’ un mio diritto /Amare come vuole lei…”; “All’inizio / L’amore era un dono di Dio…”; e ancora:

“In un turbinio del tempo,
Per caso ci siamo incontrati.
L’amore stimola
I nostri passi
A creare le melodie dei gabbiani
A ballare sulla riva…”
(La legge d’amore di Newton)

Con questa sua raccolta poetica Raed Anis Al-Jishi offre dunque al lettore il pentagramma del suo sentire più intimo e sociale, liberandolo da residui ideologici e da accumuli fondamentalisti di impronta territoriale; la versificazione presenta spesso annominazioni, ma le costruzioni testuali si presentano sempre ricche di densi segni verbali e significati simbolici che proiettano il verso nella dimensione di un orizzonte universale ove il lessico fa interagire interiorità e realtà.
L’autore riesce a costruire una rete lessicale polisemica nella direzione dello stile Sufi, quasi in un’ottica sintonica con le parole del Profeta, secondo il quale Allah ha dei tesori sotto il Suo trono, le cui chiavi si trovano sotto la lingua dei poeti.
La poesia di Raed Anis Al-Jishi, per concludere, piace perché è l’attimo della sua sincerità, della sua ebbrezza spirituale, del suo guardare empaticamente la realtà nel suo muoversi tra terrestrità e trascendenza; è dialogo, preghiera, coscienza ed intuizione; è sogno e desiderio espressi con vibrazioni e palpiti che sanno tradursi in una parola poetica sorretta dall’ispirazione e in grado di aprire la porta alla realtà ineffabile delle esperienze interiori del poeta, esperienze che danno sostanza ai suoi desideri e che egli mirabilmente essenzializza nella lirica che chiude la raccolta:

I miei sogni sono stati generati
Dalle lettere del desiderio.
Sto ancora crescendo dentro di te.
E il ghiaccio favoloso
Trasformato in mani
Mi contiene con il suo orgasmo.
Sono in una nebulosa di luce.
Non vedo niente
Se non te
Come sola fonte di calore.
(Lettere del Desiderio)

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