
RAGUSA/VITTORIA, 04 Dicembre 2025 – Hanno scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere i tre vittoriesi, Giuseppe Cannizzo, Stefano La Rocca e Gianfranco Stracquadaini, raggiunti da ordinanza di custodia cautelare in relazione al sequestro-lampo del giovane Gaetano Nicosia, avvenuto lo scorso 25 settembre. I tre, comparsi davanti al GIP del Tribunale di Catania, Luigi Barone, hanno mantenuto il silenzio. Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, hanno ricostruito con estrema precisione l’inquietante vicenda, chiarendo la finalità dell’azione criminale: ottenere un riscatto dal facoltoso padre del ragazzo, imprenditore di una rinomata società agricola iblea.
Nonostante la quasi “certezza matematica” sulla sequenza degli accadimenti nelle 24 ore del rapimento, come annota il GIP, restano ancora misteriose le ragioni che hanno portato al rilascio improvviso dell’ostaggio.
Il GIP Barone, infatti, rigetta l’ipotesi accusatoria secondo cui la richiesta di riscatto da un milione di euro sarebbe fallita per la semplice perdita del cellulare della vittima. Tale ricostruzione viene definita dal giudice “quanto mai inverosimile” e “grottesca”.
“È oltremodo probabile, anche se allo stato non dimostrato, che siano state ben altre dinamiche intervenute dopo il rapimento tali da portare in brevissimo tempo alla liberazione dell’ostaggio,” scrive il GIP, lasciando intendere un possibile da parte di soggetti la cui identificazione “consentirebbe di comprendere la relazione tra questo delitto e organizzazioni criminali mafiose operanti nel territorio di Vittoria.
L’attenzione si concentra in particolare su Gianfranco Stracquadaini, ritenuto il referente della Stidda di Vittoria (nonostante presunti contatti con Cosa Nostra), e arrestato solo un mese fa dopo un anno di latitanza. Secondo l’accusa, Stracquadaini stava cercando di creare un proprio gruppo criminale mafioso nel Ragusano, e il rapimento sarebbe servito ad acquisire “forza, potere e un po’ di liquidità.”
Dalle 38 pagine dell’ordinanza emerge un altro dettaglio inquietante: un amico della vittima, presente al momento del sequestro, avrebbe svolto il ruolo di “basista”. Questi, rivelando “in tempo reale l’esatta posizione” del ragazzo, avrebbe permesso al commando di “agire con precisione chirurgica” e di farlo arrivare “esattamente nel luogo e all’orario” del rapimento.
Altri due indagati risultano nell’inchiesta, ma per loro non è stata emessa alcuna misura cautelare.













