
Nei corridoi silenziosi del potere cinese si cela una strategia che sta preoccupando analisti, governi e osservatori internazionali: la Repubblica Popolare Cinese, sotto la guida di Xi Jinping, sta espandendo in modo sistematico e accelerato il proprio arsenale nucleare. Una manovra che non può essere ignorata, perché rappresenta un potenziale punto di svolta negli equilibri strategici mondiali.
Una crescita senza precedenti
Secondo il Pentagono e altre agenzie occidentali, la Cina avrebbe più che raddoppiato il proprio numero di testate nucleari operative negli ultimi cinque anni, e potrebbe arrivare a possederne più di 1000 entro il 2030. Non si tratta più, quindi, della “deterrenza minima” storicamente adottata da Pechino, ma di una vera e propria modernizzazione massiccia del proprio apparato strategico.
Silos sotterranei nel deserto, sottomarini lanciamissili e missili balistici intercontinentali (ICBM) in rapida espansione: il quadro che emerge è quello di un Paese che punta alla parità strategica con gli Stati Uniti e la Russia.
Le ragioni dietro la corsa al nucleare
Ci sono almeno tre fattori chiave che spiegano questo nuovo corso: in primis la rivalità con gli Stati Uniti: Le tensioni nel Mar Cinese Meridionale, la questione di Taiwan, le guerre tecnologiche e commerciali hanno alimentato in Cina la convinzione che una guerra con gli Stati Uniti, pur non auspicata, non possa più essere esclusa. In secundis il cambio dottrinale: Fino a pochi anni fa, la Cina aderiva rigidamente alla strategia del “no first use” (nessun primo uso dell’arma nucleare). Oggi, alcuni segnali indicano che Pechino stia almeno valutando un approccio più flessibile, in linea con la dottrina russa. In tertiis l’effetto deterrente: Una Cina nuclearmente potente può anche scoraggiare interventi esterni in eventuali scenari critici, come un’azione militare contro Taiwan.
Un arsenale in trasformazione
La Cina oggi dispone di una triade nucleare in via di completamento: missili terrestri, sottomarini e aerei capaci di lanciare ordigni nucleari. La costruzione di oltre 300 nuovi silos nucleari nelle province di Xinjiang e Gansu, documentata da immagini satellitari nel 2021, è solo la punta dell’iceberg.
Inoltre, Pechino sta sviluppando armi ipersoniche nucleari, capaci di eludere i sistemi di difesa tradizionali e colpire con precisione obiettivi anche a migliaia di chilometri di distanza.
Il rischio globale
L’espansione cinese rischia di innescare una nuova corsa agli armamenti. Già oggi gli Stati Uniti stanno rinnovando il proprio arsenale, e la Russia — nonostante la guerra in Ucraina — continua a mostrare i muscoli nucleari.
Con tre superpotenze nucleari sempre più armate e sempre meno inclini al dialogo, il rischio di errore di calcolo, escalation o incidente cresce esponenzialmente. Il sistema globale di controllo degli armamenti, ormai eroso dalla fine di trattati cruciali come INF e START II, appare debole e inadeguato.
Cosa può (e dovrebbe) fare il mondo
L’Occidente, ma anche le potenze regionali come l’India, il Giappone e la Corea del Sud, devono riconoscere che la Cina non è più un attore nucleare secondario. Servirebbe dunque: Riprendere il dialogo strategico con Pechino, creando meccanismi di comunicazione diretta in caso di crisi. Includere la Cina in futuri trattati sul controllo delle armi, magari partendo da accordi bilaterali tematici. Rafforzare le norme internazionali contro il primo uso dell’arma nucleare, per evitare che crisi regionali degenerino.
Conclusione
La Cina non sta “preparando una guerra nucleare” in senso stretto, ma sta costruendo le basi per poterne sostenere una — se mai si arrivasse al punto di non ritorno. La diplomazia mondiale ha ora una finestra di tempo stretta per evitare che la deterrenza diventi una trappola. Ignorare questo trend significherebbe giocare alla roulette con il destino del pianeta.