
La questione Ilva è lontana dal trovare una soluzione che contemperi acciaio e ambiente, lavoro e salute. Nel resto del mondo si è trovata. Da noi, al contrario, si è diffusa nel tempo la convinzione manichea che non sia possibile produrre acciaio senza inquinare l’ambiente e ledere la salute di lavoratori e cittadini. E’ di lunedì scorso la sentenza di primo grado del processo “Ambiente svenduto”, iniziato nel 2012, che ha emesso pesanti condanne a carico dei Riva, rispettivamente 22 e 20 anni, per associazione a delinquere finalizzata a disastro ambientale eccetera e 3 anni e mezzo per concussione aggravata a Vendola, allora governatore della Puglia. Avrebbe cercato di esercitare pressioni per ammorbidire il rapporto di Arpa. Intanto, l’impianto resta attivo in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato, che potrebbe decretare la chiusura dell’area a caldo. Sarebbe un disastro occupazionale, gestionale e economico senza escludere i danni alla salute com’è suffragato dall’esempio di Piombino, oggi uno scheletro che continua a inquinare anche dopo la chiusura dell’altoforno in attesa dell’elettrico che non è arrivato. La tormentata vicenda dell’ex Ilva di Taranto copre un arco di tempo di 60 anni, dal 1960, quando lo Stato fondò lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa per la produzione dell’acciaio. Si chiamava Italsider e l’inquinamento ambientale iniziò allora e aumentò con l’aumento della produzione. Nel 1975 ci fu il raddoppio dell’impianto e il “ciclo integrale”, quello che dà l’acciaio migliore, divenne più poderoso. Allora non si parlava di inquinamento ambientale né delle conseguenze sulla salute umana. L’azienda era lavoro, fonte di sostentamento, orgoglio degli operai che erano stati contadini, occupazione per coloro che avevano titoli di studio inutilizzabili a meno di accettare un lavoro in nero. Ci si ammalava ma si ignoravano le cause. Eppure i rischi erano stati segnalati e si conoscevano, ma si taceva. Le prescrizioni ambientali venivano ritardate per legge in cambio di un dimezzamento della produzione con il consenso colpevole dei rappresentanti delle istituzioni locali, della città, della regione, di sindacalisti e giornalisti, tutti d’accordo nel chiudere un occhio, cedere alla lunga deplorevole abitudine di arrangiarsi. Lo Stato e tutti quelli che avrebbero potuto, non fecero nulla di risolutivo per ridurre le pericolose emissioni. Non solo, c’è un particolare di cui si tace che aggrava la posizione dei colpevoli di allora: i piani regolatori del quartiere Tamburi, adiacente agli stabilimenti, furono cambiati per consentire la costruzione di nuove case che andarono progressivamente a lambire l’area del siderurgico. Poi, nel 1990 , fu disposto il sequestro senza facoltà di uso dell’area a caldo e cinque anni dopo il governo decise di privatizzare l’azienda che fu venduta ai Riva nelle cui mani rimase fino al 2012. Il contratto con i nuovi proprietari stabiliva il mantenimento della produzione da ciclo integrale e il mantenimento occupazionale, senza però l’introduzione di nuove tecnologie necessarie a fermare le emissioni. Per tutta la durata della gestione, secondo il tribunale di Milano che con quello di Taranto si è occupato della faccenda, i Riva hanno sostenuto costi elevati sia in materia di ripristino ambientale sia in materia di ammodernamento e costruzione di nuovi impianti, osservando anche i limiti emissivi stabiliti dalle leggi e anticipando le tecniche di seconda generazione che sarebbero entrate in vigore solo nel 2018. Nonostante questo, le denunce di inquinamento e le morti costrinsero la magistratura a intervenire e affidare a commissari ministeriali la gestione dell’azienda. Purtroppo, la sanificazione non ci fu e i decessi continuarono. Nel 2014, Letta presidente del Consiglio e Orlando ministro dell’Ambiente promisero l’inizio di una nuova economia ambientale. Alle parole non fecero seguito i fatti. Oggi Taranto e il Paese sono sospesi alla decisione del Consiglio di Stato e ostaggi della demonizzazione di un’azienda che, se dotata delle tecnologie adeguate, potrebbe produrre l’acciaio che siamo costretti ad importare: 4 milioni di tonnellate a 600 mila euro la tonnellata contro le 400 mila di prima. Se disastro ambientale c’è stato, lo Stato non può negare di aver avuto le proprie responsabilità.
4 commenti su “Salute e lavoro devono convivere…l’opinione di Rita Faletti”
Lo Stato ha permesso che industrie del Nord, si spostassero al Sud e nelle Isole con la scusa di creare nuovi posti di lavoro.
Senza peraltro salvaguardare la salubrità dell’ambiente, e tutelare la Salute dei dipendenti e dei residenti.
Impianti realizzati con risorse comunitarie, e con aiuti e agevolazioni statali.
Come al solito le lobby ed i poteri forti, si muovono con caratteristiche predatorie dallo sbarco dei Mille.
La volontà di avere una Italia Unita, celava l’intento di sottomettere economicamente un Meridione ed Isole.
Tanti gli esempi nei secoli…
E come consuetudine, le associazioni massoniche e le associazioni mafiose, CONNIVENTI.
In ambito locale ne è un esempio accecante ed assordante l’Area Industriale di Modica.
Tre le industrie volute nell’Area Industriale a ridosso di Pozzallo:
1) Il cementificio..
2) La ferriera..
3) la fabbrica della plastica..
Chi sa tace, e chi non sa soffre dell’avvelenamento ambientale.
Orlando allora ministro dell’ambiente, oggi ministro del lavoro! Letta sempre li!
Mi piacerebbe sapere ora come spiegano ai lavoratori la salvaguardia della salute e del posto di lavoro. Atteso che loro e tutti i sinistroidi sono dalla parte del giusto, tipo l’ambiente, il lavoro ed i lavoratori.
Questo è il risultato di tanti anni di politica approssimata, hanno vissuto di luce riflessa grazie alla vecchia politica, che, anche se con i suoi difetti, quantomeno ragionava con lungimiranza e si proiettava verso il futuro cercando di renderlo migliore. Oggi la politica tutto quello che produce, è solo aggiustamenti, rattoppi qua e la, parole a non finire, ma mai a risolvere le cose una volta per tutte. Fino a quando insistono a costruire ed aggiustare sopra le macerie, nulla verrà mai bene. Tutto deve essere fatto subito senno poi i meriti li potrebbe prendere un’altro e questo per un politico non può per nessun motivo succedere senno come faccio a lodarmi che ho risolto tutto e prendermi gli applausi del parlamento e dell’opinione pubblica? Oltre che accaparrarmi un bel portafogli di voti? Questo non importa a nessuno, o forse meglio, fanno finta di non vedere, ma fino a quando non si ripresenterà il problema, avanti come se nulla fosse. Tanto qualcuno sacrificabile che paga per tutti c’è ed è messo sempre in conto, chi paga non è mai la politica o il politico, tranne se quel politico è sacrificabile. Ora che Ventola (giustamente) è stato condannato e quindi le colpe ricadranno su di lui e chi vicino a lui, i nostri ministri si possono fare belli e si possono pulire la faccia diventando degli angioletti senza macchia e senza peccato!
I sindacati che fanno demagogia e proselitismo solo per avere più iscritti possibili, ma sempre a prestare il fianco alla politica e prestare il fianco dei lavoratori, (non il suo), perché anche loro devono apparire come angioletti!
Questa è la nostra politica, questi sono i personaggi che ci devono guidare nel post-pandemia e restituirci il Lavoro, la Libertà e la Dignità!
Chi crede in loro, sarà salvato ed entrerà nel regno dei Miserabili!