
foto Giannino Ruzza (Madison Square Garden -Manhattan 2008)
C’è un’immagine che rimane scolpita nella memoria sportiva di New York: Ed Giacomin, con la maschera bianca e lo sguardo fiero, che torna sul ghiaccio del Madison Square Garden da avversario. È il 1975, veste la maglia rossa dei Detroit Red Wings. Ma quando il tabellone lo annuncia, il pubblico si alza in piedi e lo applaude per lunghi minuti. Giacomin piange. L’arena pure.
Ed Giacomin era figlio di immigrati italiani nati nel gelo dell’Ontario, in Canada. Da bambino aveva rischiato di non poter più pattinare: un incidente con una stufa gli lasciò gravi ustioni alle gambe. Eppure tornò sul ghiaccio, contro ogni pronostico. Nel 1965 i New York Rangers gli offrirono una chance e lui la trasformò in leggenda: cinque All-Star Game, un Vezina Trophy da miglior portiere NHL nel 1971, e una finale di Stanley Cup persa di poco contro i Bruins di Bobby Orr. Dietro quella maschera, c’era la storia di molti figli d’emigrati italiani che cercavano il loro posto nel mondo — nel suo caso, un rettangolo di ghiaccio illuminato dalle luci di Manhattan.
Giacomin difendeva la porta come un operaio difende il suo turno in fabbrica: con fatica, onore e una calma che rasentava la poesia. Quando nel ’75 i Rangers lo lasciarono, l’ovazione del Garden fu la prova di quanto avesse incarnato l’anima del pubblico newyorkese: orgoglioso, popolare, autentico.
Le origini friulano-venete di Ed Giacomin
Le radici di Ed Giacomin affondano nel Nord Italia, tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Il cognome Giacomin — o Giacomìn, nella sua forma più antica — è tipico delle province di Treviso, Belluno e Pordenone, da cui partirono molti emigrati nei primi decenni del Novecento.
I genitori di Ed lasciarono quella terra per il Canada, stabilendosi a Sudbury, in Ontario, dove il giovane Ed nacque nel 1939.
Come tanti figli d’immigrati italiani, crebbe in un ambiente operaio, tra fatica, solidarietà e sogni grandi quanto il continente che lo aveva accolto. Quelle origini friulano-venete si riflettono nel suo carattere: riservato ma tenace, metodico e pieno di orgoglio per il lavoro ben fatto.
Un’eredità tra i pali
Negli anni Ottanta e Novanta arrivò John Vanbiesbrouck, madre italiana e padre olandese: vinse il Vezina nel 1986 e divenne il portiere americano con più vittorie in NHL (374). Fu lui a trascinare i Florida Panthers alla finale del ’96, portando l’hockey in luoghi dove non nevica mai.
Poi Al Montoya, nato a Chicago da madre cubana e padre italiano: il primo portiere ispanico nella storia della NHL. E oggi nomi come Anthony Stolarz (Anaheim) e Alex Nedeljkovic (Pittsburgh) continuano quella tradizione di carattere, radici e resilienza che lega le nuove generazioni a chi aprì la strada.
L’identità dietro la maschera
Dietro le maschere dei portieri italo-americani c’è più che una storia sportiva: c’è un pezzo di America raccontato attraverso il sacrificio degli emigrati. La stessa testardaggine che portava gli italiani a costruire grattacieli o scavare metropolitane, qui diventava riflesso e istinto davanti a un puck che viaggia a 150 all’ora.
Ed Giacomin resta il simbolo di quella sintesi: talento, ferite, orgoglio e riconoscenza. Un uomo che da un’infanzia difficile arrivò a sentirsi gridare “Eddie! Eddie!” nel cuore di New York. E quella notte del 1975, mentre le lacrime gli scendevano dietro la maschera, il Madison Square Garden sembrò ringraziare non solo un portiere, ma un’intera generazione di italiani d’America.
1 commento su “Ed Giacomin: gli italo-americani che difesero la porta del sogno…a cura di Giannino Ruzza”
Gli italiani, nonostante razzismo vero (condiviso con gli Irlandesi, in quanto cattolici), si sono sudati un posto di rispetto.
Insomma, come gli immigrati che arrivano qui, fatica, sudore, tanta riconoscenza, integrazione…