
“Fariba è un’artista iraniana reale che ho conosciuto nel 2014 a Roma” – ha esordito il regista e scrittore Ferdinando Vicentini Orgnani – avevo scritto per lei un testo biografico, un libro-catalogo che doveva accompagnare una sua mostra, ma quell’esposizione non si è mai svolta a causa della pandemia. Da quel capitolo rimasto sospeso ho trovato l’idea per scrivere un romanzo”. A introdurre l’incontro, la giornalista e scrittrice Fabiana Dallavalle, che ha voluto sottolineare la dimensione personale dell’occasione: «L’ultima volta che ci siamo visti con Ferdinando risale a 41 anni fa». Una nota di amicizia e memoria che ha reso l’atmosfera ancora più familiare e intensa. La sala della Camera di Commercio si è trasformata in un ponte ideale tra Italia e Iran. Sullo sfondo c’è Fariba, giovane artista nata a Tabriz nel 1981, segnata dall’infanzia durante la guerra con l’Iraq, dal peso di sentirsi “figlia non desiderata” e dalla morte misteriosa del fratello Vahid. A Roma, dove arriva nel 2010 per studiare pittura, tenta di ricostruire se stessa tra incontri strani, affetti e nuove possibilità. Accanto a lei, nel romanzo, compaiono personaggi che diventano specchi e bussole: Marilù, l’artista ottantenne che la accoglie come una madre elettiva; Francesco, studente e analista a cui insegna il persiano; e Claudia, sommelier napoletana, figura vitale e passionale. “Il titolo — ha spiegato Vicentini Orgnani — richiama non solo l’impossibilità di tornare a Tehran, ma anche il rifiuto di tornare indietro rispetto alla libertà conquistata. È un viaggio fisico ed emotivo, un cammino verso un’identità nuova”. Nel corso della serata sono stati letti diversi passaggi del libro, momenti che hanno dato voce diretta alla scrittura dell’autore e permesso al pubblico di entrare nella vita interiore di Fariba, nei suoi ricordi dolorosi e nelle speranze di rinascita. Il pubblico ha seguito con attenzione, cogliendo il filo di un racconto che è insieme intimo e politico: lo sguardo su un Paese in cui la condizione femminile è ancora terreno di lotta quotidiana, e su una diaspora che cerca di farsi voce attraverso l’arte. Alla fine, un applauso convinto ha suggellato un incontro che non era solo letterario, ma anche civile: la testimonianza di come una storia personale possa diventare emblema universale della ricerca di libertà.