Cerca
Close this search box.

Passeggiate nei dintorni di Ispica tra ‘500 e ‘800…di Domenico Pisana

Tempo di lettura: 2 minuti

“…Terra difficile, la Sicilia……, ma di cui non si può trovare l’eguale al mondo. Queste parole dello scrittore Gesualdo Bufalino, riportate nel suo volume Lettera da un’isola ad una penisola, rappresentano non solo l’espressione di un sentimento affettivo, ma una dichiarazione di sintesi di una “coscienza ermeneutica collettiva” che della terra di Sicilia si è tramandata nel tempo grazie alle testimonianze di tanti scrittori, poeti, artisti italiani e stranieri che dal ‘500 ad oggi l’hanno visitata. E da questo quadro di “memoria collettiva” di stampo testimoniale, emerge una grande attenzione per la terra iblea. Mi soffermerò, in particolare, sull’interesse espresso per l’antica Spaccaforno, oggi Ispica.
Il viaggio con tutta la sua valenza simbolica e metaforica è stato , in ogni epoca, presente nella riflessione storico-letteraria di molti scrittori, i quali sono stati ispirati proprio dai luoghi accuratamente visitati. L’antica Spaccaforno e il suo litorale, come altre città degli iblei, hanno captato l’interesse di diversi storici, scrittori e viaggiatori, che, messi di fronte alla magnificenza paesaggistica di questo lembo di Sicilia, hanno lasciato testimonianze davvero rilevanti. Esistono, così, fonti storiche che ci aiutano a ricostruire alcuni passaggi di una “letteratura del viaggio” alla quale Spaccaforno è stata interessata.
Una fonte è sicuramente quella del frate domenicano Tommaso Fazello, storico nato a Sciacca nel 1498 e morto a Palermo nel 1570, il quale, nella seconda metà del cinquecento, dà vita ad una letteratura periegetica che ci conduce lungo la fascia costiera iblea, cogliendone le forme, le essenze e il respiro paesaggistico, e in cui la Marza con il suo litorale rifulgono in modo rilevante. Il Fazello definisce la Marza(1) un “gran seno che corre al mare verso mezzogiorno…” e testimonia che ad occidente di questo seno si “vedono rovine d’una città, che era un miglio e mezzo di circuito, ed era posta in un sito non men bello”. Inoltre, parlando della Marza e di “Ficallo”, fornisce un quadro descrittivo incastonato all’interno di riferimenti paesaggistici e naturalistici, e nota come “questo paese chiamato Ficallo” abbia in sé le caratteristiche di un luogo ameno, gradevole, fonte di gaia spensieratezza e dove risultava possibile “pigliarsi molti spassi” e, altresì, “pescare, cacciare, e uccellare”:

“questo paese chiamato Ficallo, per esser abbondante di fonti, di laghi, e di torrenti, dà occasione agli uomini di pigliarsi molti spassi, e diporti in pescare, cacciare, e uccellare, e non ha altro mancamento, se non che ella è sottoposta a quelle medesime immagini d’aria che l’isola di Correnti…”.

Un’altra interessante testimonianza sul litorale dell’antica Spaccaforno la ritroviamo in un viaggio che Giuseppe Formenti, ingegnere militare, fece fra le fine del 1704 e i primi mesi del 1705. Lo scopo del suo viaggio era quello di rilevare elementi di carattere geografico e strategico per la sua difesa, tant’è che alla fine del percorso tra i litorali dell’isola redasse, come ci attesta lo storico Salvo Di Matteo, una relazione che venne pubblicata a cura di Liliane Dufour, dopo essere rimasta inedita fino al 1991.
Nella relazione di Formenti,(2) riportata in un testo curato da Salvo Di Matteo, si afferma che un

“promontorio è alla fine della costa orientale e al principio di quella meridionale. Costeggiandolo si vedono alcune baie (e il porto lombardo), poco sicure, e poco più avanti un’Isola delle Correnti, distante da terra 180 piedi e con 1800 di perimetro …”.

La letteratura nei dintorni dell’antica Ispica ci testimonia ancora una visita, nel ‘700, di Jean Hoüel, il viaggiatore francese che raggiunse la terra iblea dove soggiornò ed apprezzò la bellezza naturalistica anche dei luoghi più interni.

“… Seguendo le rive del mare, – scrive Jean Houel – mi trasferii a Castellazzo alla Marza, chiamato anche porto di Ulisse, dove si vedono ancora le rovine di una città antica di cui tutto è perduto, perfino il nome e financo le rovine. Il feudo di San Basilio, appartenente al Barone Alsteri di Spaccaforno, mi offrì un aspetto incantevole. Vi si vedono antiche rovine, bei mosaici, pavimenti a piastrelle di curiosa finitura che fanno presumere come questo luogo fosse stato in passato ragguardevole. Nelle tombe vicine si sono trovati vasi e monete preziose, sia per il metallo che per l’esecuzione, e giare alte quattro piedi, di fine argilla e di bella fattura…”

L’aspetto della stupefazione e della meraviglia rispetto ai luoghi visitati è il dato che si evince dalle parole di Houel, il quale affermava con chiarezza come il fascino promanante dal litorale di Spaccaforno fosse non comune e fortemente apprezzato da chi si trovava a visitarlo. La meraviglia del viaggiatore francese risalta altresì di fronte alla vista di “bei mosaici”, “pavimenti a piastrelle”, che lo inducono a concludere come il “luogo fosse stato in passato ragguardevole”.
Dalle parole di Jean Hoüel emerge ancora come nel ‘700 il porto della Marza e il porticciolo di Santa Maria del Focallo rappresentassero un “centro di raccolta” di derrate che provenivano da tutte le campagne circostanti, e come il sistema idrogeologico del litorale fosse caratterizzato da “sorgenti d’acqua dolce”: “Il porto della Marza, il porticciolo di Santa Maria del Focallo, dove si caricano tutte le derrate che provengono dalle campagne vicine, offrono parecchie sorgenti d’acqua dolce che sgorgano dal fondo marino”.
Infine, così scriveva l’Hoüel nel suo itinerario ibleo:

“ La città di Spaccaforno ….fu rasa al suolo dal terribile terremoto del 1693. Per ricostruirla furono usati senza scrupolo i materiali greci che in queste contrade erano sfuggiti ai Romani e ai Saraceni: ecco perché non vi si trova nient’altro di antico che le grotte scavate nella roccia dai primi abitanti di questo sito… Spaccaforno è stata ricostruita all’estremità di Cava d’Ispica…”

Un’altra testimonianza sul litorale di Spaccaforno è infine quella narrata da Dominique Vivant Denon, scrittore, storico dell’arte ed egittologo francese, e risalente al 1778. Lo scrittore racconta che durante il suo viaggio in Sicilia un vento di scirocco lo allontanò dalla costa spingendolo fino “ad una baia chiamata la ‘Pouzzola’ ”, (il riferimento è a Pozzallo), che era un centro nel quale si caricavano le carrube che giungevano in abbondanza in questa parte dell’isola e che Vivant Denon vede “ammassate in cumulo sulla riva come carbone”. A causa del maltempo, il viaggio lo spinge verso la punta della baia della Marza e induce lo scrittore a disporsi “sotto una roccia angolosa, chiamata il Castelluccio (Punta Castellazzo).
Dunque, dal ‘500 all’800 Spaccaforno e i suoi dintorni sono stati oggetto di esaltazione e descrizione, fonte di poesia e prosa, di letteratura e di conoscenze naturali, di storia e di memoria, con un intreccio che ha trovato corpo nella padronanza del linguaggio letterario degli scrittori da noi considerati. La “letteratura del viaggio” in terra iblea rappresenta allora un patrimonio importante da non dimenticare sia per la suggestività e le geometrie armoniche dei luoghi e dei paesaggi, sia perché ancora oggi rivive nell’universo naturalistico della nostra terra , che con la sua vegetazione, il suo mare, le sue valli, le sue spiagge e i suoi affacci mediterranei, continua ad essere un angolo di magico incanto e di naturale bellezza nell’area del Sud Est.
Chiudiamo con due brani contenenti piacevoli descrizioni.
Il primo, tratto dall’opera “Le due deche della Historia” di Sicilia dello storico Tommaso Fazello, ci offre una puntuale descrizione storico – paesaggistica del litorale di S. Maria del Focallo, esaltandone la bellezza e la dolcezza delle acque:

“… Dopo Lungarina mezzo miglio in su la riviera si trova un gran seno detto saracinamente Marza, che in lingua latina vuol dir porto, e secondo Tolomeo è chiamato Odissia, e da Cicerone nel settimo delle Verrine, è chiamato Edissa, e vi possono star le navi, da cui è poco lontana un’altra salina del medesimo nome. Al promontorio occidentale di questo seno, che corre al mare verso mezzogiorno, si vedono le rovine d’una città, ch’era un miglio e mezzo di circuito, ed era posta in un sito non men bello, che giocondo, e con essa le vestigia d’una fortezza rovinata dal mare, e d’edifici, e Tempi fatti all’antica. (…) Dopo Castellaccio, e Marza sei miglia presso al lido del mare, son due laghi abbondantissimi di pesci, l’un detto Busaitumo, e l’altro Busaitumello, i quali di subito sboccano in mare, e nascono da certi fonti, poco lontani dal Castel Spaccafurno, chiamati Favara.
Appresso a loro son le gran rovine d’una piccola città, chiamata oggi Ficallo, dove si vede un grandissimo Tempio, ma rovinato(….)
Appresso alla città è un colle, che spunta alquanto in mare, a guisa di promontorio, detto Cozzo di S. Maria di Ficallo, nella cima del quale si vedono le reliquie d’una rocca grandissima rovinata, ma alle radici di detto, le quali si congiungono al mare, son molte fonti d’acqua dolce, ch’escono de’ vivi sassi, e anche nella città è una fonte grande, onde tutto questo paese chiamato Ficallo, per esser abbondante di fonti, di laghi, e di torrenti, dà occasione agli uomini di pigliarsi molti spassi, e diporti in pescare, cacciare, e uccellare, e non ha altro mancamento, se non che ella è sottoposta a quelle medesime immagini d’aria che l’isola di Correnti…”

Nel secondo brano(4) che segue , Jean Houel ci testimonia un altro spaccato del litorale che da Pozzallo conduce alla Marza, e nel quale lo scrittore si imbatte con il suo equipaggio durante un suo viaggio:

“Un leggero vento di scirocco, che in quel momento si alzò, ci allontanò un poco dalla costa e ci portò fino ad una baia chiamata la “Pouzzola”, dove si caricano le carrube che vengono in abbondanza in questa parte dell’isola, e che noi vedevamo ammassate in cumulo sulla riva come carbone.
La sera il tempo si coprì, minacciando di segnare l’equinozio con un temporale. Non potendo sbarcare in nessun posto e temendo altrettanto la terra ed il mare, cercammo perlomeno un’insenatura per passarvi la notte sottovento.
Il nostro equipaggio forzò le vele ed i remi per doppiare le isole Formiche e la punta della baia della Marsa o di San Pietro e disporci sotto ad una roccia angolosa, chiamata il Castelluccio [Punta Castellazzo], dove giungemmo felicemente abbastanza tardi per non essere avvistati dalla guardia; il tempo d’altra parte era così cattivo che la sentinella fu poco curiosa di uscire dalla sua baracca e di venire a visitare l’insenatura che formava la roccia a picco che ci nascondeva …”.

____________

(1) T.Fazello, Le due deche della Historia di Sicilia traduzione R. Fiorentino,Venezia 1574, pp.164-165.
(2) S. Di Matteo (a cura di) “Viaggiatori stranieri in Sicilia dagli arabi alla seconda metà del XX secolo”.
(3) Gringeri Pantano (a cura di) Jean Houel e La Sicilia – Gli Iblei nel Voyage pittoresque 1776-1779”.
(4) Mozzillo e Vallet,(a cura di), Settecento Siciliano. -I viaggi di Dominique Vivant Denon e J.C.Richard de Saint-Non, nella traduzione italiana di Laura Mascoli, Società Editrice storia di Napoli e della Sicilia, PA-NA 1979, p.322.

.

575116
© Riproduzione riservata

I commenti pubblicati dai lettori su www.radiortm.it riflettono esclusivamente le opinioni dei singoli autori e non rappresentano in alcun modo la posizione della redazione. La redazione di radiortm.it non si assume alcuna responsabilità per il contenuto dei commenti e fornirà, eventualmente, ogni dato in suo possesso all’autorità giudiziaria che ne farà ufficialmente richiesta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articoli correlati

RTM per il cittadino

Hai qualcosa da segnalare? Invia una segnalazione in maniera completamente anonima alla redazione di RTM

UTENTI IN LINEA
Torna in alto