
Chi conosce Nino Barone, sa del suo grande amore per la poesia e la lingua siciliana, per la sua città, per la storia passata e contemporanea, per le tradizioni religiose e popolari, per le usanze e gli affetti familiari, tutti elementi che riverberano nei suoi versi e nei personaggi, nelle figure e negli accadimenti presenti nella sua produzione poetica.
Tutto questo riaffiora infatti, sapientemente filtrato, nelle poesie di questa raccolta, dal titolo La Fabbrica di lu Ciàuru , titolo che evoca immediatamente immagini e sensazioni legate al mondo dei profumi e degli aromi. Il lemma “fabbrica”, del resto, suggerisce un luogo di produzione, di creazione, dove qualcosa viene realizzato con cura e maestria, e dove ciò che viene “fabbricato” è “lu ciàuru”, termine dialettale che si riferisce all’odore di profumi, che possono essere quelli della natura, della vita quotidiana, dei ricordi d’infanzia, quelli dell’esperienza gioiosa e dolorosa maturata negli anni, grazie alla quale il poeta disegna, in una sintesi incisiva e vivace, i suoi tratti affettivi a partire già dalla poesia “Ti truvai”. Da essa s’alza infatti la voce del padre che giunge a lui trasportandolo negli attimi del distacco e dell’abbandono della scena di questo mondo:
“…ti vitti arrè
dda vota chi la morti
si misi a lu to ciancu
e ti parrava d’idda
ti vitti
cu l’occhi sbarrachiati
mentri cu lu jiditu
mi dicivi finiu
“…Ti truvai
me patri
nta li trazzeri di la menti
mentri accarizzu
la to roba
mentri lu tempu scurri
e comu na lacrima
surca la me facci”.
(Ti truvai”)
Nino Barone insiste sul tema della morte come limite e mistero, con la consapevolezza che arriva per tutti gli esseri umani( “nta na gnuni scurusa /misa a trattettu/ s’ammuccia la morti / na cosa sbricia / c’arriva /e ni porta cu idda) indipendentemente dalla loro origine, condizione sociale o credo religioso, per cui non serve ostentare certezze e sicurezze o possesso di beni, perché alla fine la morte, prendendo a prestito Totò , è una “livella” capace di appiattire ogni differenza sociale, facendo dire al poeta trapanese: “a chi servi ntrizzari cirtizzi / e fari pennuli vaviati/ di boria / si poi basta / un ciusciuni di ventu / p’annittari sfrazzu e tisori…”.
In molte poesie l’autore ascolta affascinato e assorto le voci e i suoni che giungono a lui dalla realtà circostante, connotando la sua raccolta di una vena di malinconia che nasce dalvolgersi nostalgicamente verso un mondo ormai in declino e dall’amarezza di vedere scomparire tante cose care, facendo così propria l’affermazione di Seneca in una Lettera a Lucilio (Epistualae 6,4-5): “Nessuna cosa è bella da possedere se non si hanno amici con cui condividerla”. Si avverte nei suoi versi una grande voglia di condivisione di pensieri, di emozioni, di esperienze sociali e culturali, che sembra animare il percorso dichiarativo della sua poetica, il quale trova nel ricordo il tessuto della sua identità, il riverbero della sua vicenda esistenziale vergata di amarezza:
“Mi ristaru
ciaramìtuli di ricordi
chi cercu
di ncucchiari
cu la codda di la pacenzia
vogghiu lu vasu
di la memoria
a bedda vista
supra la buffetta
di la me casa…”.
(Chistu sugnu)
La poesia di Nino Barone è la poesia di un cuore che cerca amicizie sincere, che va oltre le apparenze, e che trova nella solitudine una fonte di ispirazione, uno spazio di ascolto interiore, di riflessione profonda e di contatto con la propria sensibilità, uno stimolo alla creatività, all’immaginazione e alla capacità di introspezione: “…cercu / la cugnintura sincera /l’amicu chiù attrivitu / chi mi talìa nta l’occhi /e sapi di soccu parru… ma nenti / cu mia sulu / lu scrusciu surdu /di li mei passi / la notti c’avanza / mprisusa / e lu ciàuru nfutu /di la solitudini…”(“Lu ciauru nfutu di la solitudini…”).
C’è in questi versi la configurazione di stati d’animo dai quali emergono sensazioni, stupefazioni grazie all’utilizzo di immagini, suoni e ritmi che trovano la loro armonia in una versificazione ove la lingua siciliana si fa linguaggio in un contesto di relazione sussistente, la parola si fa ascolto della storia ed attesa di un nuovo tempo, segno vibrante di un’esperienza poetica viva e ricca di motivazioni interiori.
Il poeta riflette poi sulla delusione nelle amicizie, con varietà di sfumature emotive che vanno dal dolore profondo al senso di tradimento, dal risentimento alla rassegnazione (“… ora sunnu fantàsimi / chi nàvicanu contruventu /supra lu mari / di la me menti”), chiudendosi poi nella compagnia della solitudine e ripetendo – ci pare di poter dire – “Finché sarai fortunato, conterai molti amici: se ci saranno nubi, sarai solo.”
I suoi versi parlano il linguaggio della verità libera da residui ideologici, ponendosi come “voce critica” che riesce a leggere la complessità del suo vivere quotidiano, ove si insinuano paure, proclami di pace, ansie di riscatto, intagli gnomici, grida di giustizia , antinomie, situazioni e difficoltà, passato- presente- futuro, miraggi e utopie, introspezioni e rimpianti che fanno risaltare la fenomenologia dell’umana terrestrità fragile e confusa, limitata e spaesata:
-“Cu ddu fari ntricaloru / m’arrubbaru / li megghiu amici / chiddi chi cu mia / arrisicàvanu sciuti / di chiàcchira / mumenti addubbati /di ciuri / e chi ora / sunnu fantàsimi / chi nàvicanu /contruventu / supra lu mari / di la me menti…(Fantasimi contruventu);
–“Nun vi canusciu chiù / siti spaddi jimmuruti / di pirsuni / cu lu varvarottu chi strica ‘n terra // comu li serpi strisciàti /lassannu vavi / davanzi a li peri di lu putiri…” ( Nu vi canusciu chiù).
“A li voti / basta un nenti / e la me vita si vesti / di ùmmiri nfuti / ed iu cu iddi 7 cummèmuru lu suli / comu na cirimonia di Statu…”(Basta un nenti )
Il rapporto di Barone con la verità è fondamentale, tant’è che la incarna, con la parlata siciliana, nei fatti che descrive, negli accadimenti della storia, nelle emozioni che prende dalla realtà, grazie alla sua capacità di riannodamento di piccole cose locali, di avvenimenti circoscritti, di confidenze e di situazioni che non hanno la pretesa di andare oltre i confini di una certa espressione linguistica e territorialità. Si legga, ad esempio, la poesia Li me passi, caratterizzata da un linguaggio semplice e diretto, giuocato su immagini molto efficaci ed evocative, che creano un’atmosfera di incertezza e precarietà grazie all’uso di termini dialettali, come “sincirunazzi”, “zàccani”, “ciurmi” e “scugghiera”.
La poesia si mostra come una riflessione profonda sulla condizione umana, in particolare sulla precarietà della verità e della giustizia; i versi in cui il poeta dice “pàrinu suspisi / tra zàccani / di giustizia / e ciurmi di palori / sciarriàti tra d’iddi” sottolineano, infatti, l’incertezza della giustizia, spesso ostacolata da “ciurmi di palori”, ovvero dispute e litigi.
Il poeta, con l’immagine della sabbia, simbolo di instabilità e transitorietà, rappresenta la menzogna, un terreno scivoloso su cui è difficile mantenere l’equilibrio e dove i passi, nonostante siano sinceri, rischiano di sprofondare nella falsità. Il mare diventa metafora della “fintimònia” (finzione), e con le sue onde (“unni”) minacciose, inghiotte le tracce dei passi, simbolo di quella verità che scompare sotto la superficie dell’apparenza. Il verso “agghiuttènnusi / l’urtimu ciatu di verità” è particolarmente intenso. La verità sembra soccombere di fronte alla finzione, ma non completamente, perché un ultimo respiro di verità sopravvive sempre, pronto a riemergere “oltre la scugghiera artificiali”, ovvero oltre gli ostacoli creati dall’uomo.
Questa raccolta poetica di Nino Barone va dunque alle radici profonde di una esistenzialità che cammina con i tempi dell’ anima, che sa entrare negli spazi delle contemplazioni e delle riflessioni, e che sa vedere le cromie e afferrare le fonìe, i corali, e quell’alitare della parola che si fa scena, ritmo, armonia e paesaggio. Quella parola che, spesso, si mostra divisiva, distruttiva, perché attraversata da un conflitto interiore che si dibatte tra la tristezza e la rabbia causate dalle critiche e il desiderio di proteggere la bellezza e la gioia dell’amore.
Si legga, a riguardo, la poesia “Li palori ca scriviti”, ove il poeta, con un’ immagine viva e dolorosa, paragona le parole scritte a morsi, a punture, che causano tristezza: “Li palori ca scriviti / hannu denti comu sugghiu…”; egli , tuttavia, trova conforto e motivazione nel suo amore, percepito delicato e come seta, un amore che è la ragione per cui non cede alla negatività (“si nun fussi pi stu figghiu / dilicatu comu sita..,), né pensa di rinunciare alla bellezza e alla gioia a causa di persone che non capiscono il valore di ciò in cui crede: “ma nun pozzu / pi na chenca di cretini / rinunziari a la biddizza”.
In questa fisognomica delle parole il poeta mette delle immagini forti, come quella della “vìsina” (vipera) che rappresenta il male, l’invidia, la maldicenza, sempre pronta ad attaccare, (“c’è na vìsina chi striscia / pronta sempri a murzicari…”) e , ancora, de “lu specchiu”( “…li palori ca scriviti / su’ lu specchiu di ddi facci / senza cera…”). Il poeta , con l’uso di efficaci metafore e similitudini, è consapevole che il suo cammino è osservato e giudicato, ma non vuole rinunciare al suo amore e al suo “figghiu” (“chi cu mia / manu manuzza / voli sulu / essiri”), dichiarando di volere solo essere se stesso, libero dalle critiche e dagli attacchi.
La Fabbrica di lu Ciàuru è un libro che si offre al lettore come una testimonianza poetica umana e culturale dove la passione, la sapienza, la fede, l’humanitas dell’autore rifulgono di valori che inneggiano alla trasparenza della vita con estrema chiarezza. E’ un lucido sguardo sulla quotidianità, sulle cose semplici e che sa entrare nell’interiorità delle persone, connotandosi come elaborazione diegetica di un mondo rivisitato con il cuore della nostalgia, e con una resa poetica che si muove a vari livelli.
Quella di Nino Barone è sicuramente una poesia che si dipana come espressione di un’anima in cerca di identità e intrisa di un’intensa ricerca interiore. Nella poesia “Circatimi”, ad esempio, i “trazzeri stritti” e le “mura antichi” di cui parla l’autore diventano metafore di un percorso spirituale accidentato, alla ricerca di un’identità.
Il poeta ci presenta così un contrasto suggestivo tra “li mura antichi / scricchiulati e senza ntònacu” e “li facciati di ddi Palazzi / eterni chi rispìranu Arti / e ciuscianu Cultura”: è qui che egli desidera essere cercato; è negli “scaffali” che “nutricanu la menti” e “nta li pagini ngiarnuti” dei libri che rappresentano la cultura e che sono fonte di nutrimento spirituale, che il poeta si rifugia , abbracciato alla sua “arma”, in attesa di svelare la policromia dei suoi pensieri.
Il fulcro della poesia è l’interrogativo esistenziale che tormenta il poeta: “cui sugnu e di cui sugnu?”. Un’angosciante ricerca di appartenenza e di significato, che lo porta a sentirsi “forsi di tutti o forsi di nuddu”.
Con questa poesia, di spiccata profondità emotiva e musicalità, Nino Barone tocca temi universali come l’identità, la ricerca di significato e il rapporto tra l’uomo e la cultura, provocando riflessioni che risuonano nel cuore di ogni uomo. Il poeta ci invita a intraprendere un viaggio introspettivo simile. La poesia “Circatimi”, pertanto, diventa un’esortazione a cercare dentro di sé, a dare un nome a ciò che è invisibile, a svelare la nostra vera essenza.
Diceva Ungaretti che “l’esperienza individuale diventa verità universale in cui tutti possono riconoscersi”; ebbene Nino Barone in questa silloge “parla a sé di sé” e , così facendo, offre la sua esperienza individuale anche agli altri, a coloro i quali la sua voce arriva come canto dell’anima. La sua Fabbrica di lu Ciàuru è essenzialmente l’estrinsecazione di momenti poetici e di una relazione armonica di due contrari. Si tratta di momenti poetici ove emerge la coscienza d’una ambivalenza. Ma c’è di più, perché è una ambivalenza eccitata, attiva, dinamica. Dentro la sua “Fabbrica di li Ciauru”, gli istanti di vita del poeta obbligano l’essere a valorizzarsi o a svalorizzarsi; in essi il poeta sale o discende, senza accettare il tempo del mondo che ricondurrebbe l’ambivalenza all’antitesi, il simultaneo al successivo.
Concludendo, possiamo dire che la poesia di Nino Barone si essenzializza in frammenti lirici dal timbro meditativo-esistenziale, dentro i quali si stabilisce una sorta di scontro analogico tra il fluire del tempo e ‘l’istante’ come luogo di senso. L’autore fa trasalire dagli attimi quotidiani un logos che si fa giudizio e scavo dell’esistenza umana, proiettata, mediante un legame tra parola e sentimento, nell’orizzonte ermeneutico dell’infinito cui anela la stessa anima umana.