
Una poetica di intensa liricità e di spiccato valore letterario è quella che ci viene offerta dalla poetessa siciliana Stefania La Via, nel suo ultimo libro “Agli orli della notte”, peQuod editore 2024.
L’autrice, che vive a Trapani, ha alle spalle un solido percorso culturale e poetico che rifulge di bellezza, di notazioni ed armonie; i versi di questa sua nuova raccolta sono come le note di un’arpa che allietano la solitudine, come la brezza marina che accarezza il volto in una calda sera d’estate; sono versi che fanno sognare e aprendo, orizzonti d’eternità.
Il titolo del volume è già una scelta poematica, perché evoca immagini suggestive, invita il lettore a riflettere sulla natura della notte e sul suo simbolismo; è un titolo che richiama il confine tra luce e oscurità, che trasfigura la metafora della vita delineando la soglia dell’ignoto, i momenti di passaggio , di intimità e di riflessione in cui ogni persona si ritrova sola con se stessa e fa i conti con le proprie emozioni, e dove gli “orli della notte” rappresentano non solo la sottile linea di demarcazione tra il giorno e la notte, ma simboleggiano un momento di transizione, carico di incertezza e mistero, la paura di affrontare l’ignoto, ma anche la curiosità e il desiderio di scoprire cosa si cela nell’ “oltre”, la fine di un periodo e l’inizio di un altro, un momento di trasformazione personale:
“A ritmo intermittente si accendono
speranze, si spengono illusioni
nella notte che scalza l’imbrunire…”(p.9);
“A ogni alba ardentemente desidero
l’amnesia del risveglio
poter riallacciare il filo
della continuità…” (p.13);
“Era notte quando sei venuta
alla luce
e ora mi splendi intorno a rivelare
il mondo e le sue ombre…” (p.16);
“…Il tramonto ti accendeva riflessi
chiari sui capelli radi
sulla veste a fiori,
lontana sembrava ancora
la via dell’inverno
la notte cupa
che ci ha slegate.” (p.40)
I temi poetici della silloge si muovono ora con un “impronta impressionista” che sa dipingere “…Frammenti sbiaditi, dettagli / di un passato che più non appartiene / dissolti nella polvere del tempo, / parole nude a scavare le macerie…”, p.12; ora con un afflato elegiaco che scandisce i legami affettivi con la sorella: “…Sempre hai percorso, sorella mia, / il tuo sentiero un passo / avanti a me, maestra mi sei stata /nella vita, anche adesso che mi insegni /la grande lezione della pazienza e del dolore…” p. 10; ora con percezioni emotive e sensitive giocate su binomi lirici costruiti in climax: “…sei estranea, espulsa dal tempo / sei spazio intenso, non esteso / sei dettaglio che trasgredisce / il quadro, / nero schermo che rifrange / la luce delle cose, / eppure generi nuove visioni quando torni a farmi chiara / la mente. / Sei insieme rimpianto e nostalgia”, p. 13.
Il sentimento di Stefania La Via appare, spesso, mutevole e sofferto, come nel caso delle liriche “Ci piaceva vivere a colori” e “Non sfiorano la pace”, ove l’assonanza delle riflessioni diventa un ritornello che si essenzializza in una prosodia del verso radicato nella contingenza delle emozioni rubate al cuore. Emozioni che diventano quasi “palpito e spazi di memorie ” nella poesia “Quando l’ultimo maglione”, ove la poetessa trasfigura la propria dinamica affettiva rievocando oggetti ( “maglione”, “scarpe”, “serrande”, “armadio”, “tazza rossa”), e rivedendo filmati nei quale ciò che più conta non è la ricreazione di idilli familiari, ma la consapevolezza che l’alterità autentica è quella che sa cogliere la bellezza e il valore di un legame che vale in se stesso in quanto espressione del “miracolo della vita”.
Nella tessitura poematica di Stefania La Via emerge certamente la dimensione del ricordo, che si dispiega come filo interiore che unisce lingua, linguaggio e parola, divenendo “luogo della poiesis” , non sul piano del semplice sentimento, ma in una prospettiva coscienziale; il ricordo della poetessa diventa, insomma, la “syneidesis” greca , ossia la “visione d’insieme” del suo sguardo interiore con cui egli coglie se stessa e la sua collocazione nel mondo, paragonando i ricordi a “spaiati scampoli / di stoffa” capaci di arginare le ferite dell’anima:
Ricordi, spaiati scampoli
di stoffa
i soli capaci di reggere la trama
fanno argine, trattengono
il dolore
ora che tutto è fatica
e i giorni ti rendono distanza.
I nostri nomi
a sfiorarsi su un quaderno
la tua scrittura tonda e spigolosa
sospesa
sul ciglio della pagina
per sempre. p. 27.
La dimensione dialogica con un “tu” pervade tutta la silloge: emblematica la poesia “Se dico il tuo nome” , che si snoda come delicata e commovente espressione di amore e ricordo. Attraverso immagini e un linguaggio meditativo, Stefania La Via riesce a trasmettere la presenza costante di una figura il cui nome, nonostante la sua assenza fisica, è pronunciato con amore, e ha il potere di riportare in vita la persona scomparsa, evocandone l’ immagine negli elementi della natura e nei ricordi custoditi nel cuore.
L’ “acqua marina”, le memorie coltivate in segreto, il fuoco che cova sotto la cenere, sono tutte metafore che rappresentano la vitalità e la persistenza dell’amore, che non si spegne nemmeno di fronte alla perdita. Il “lume acceso”, “piccolo faro nella notte”, è un simbolo di speranza e di guida. La persona amata, pur non essendo più presente fisicamente, continua a illuminare il cammino della poetessa, offrendo conforto e protezione nel buio della solitudine.
Nel complesso, la poesia è un omaggio alla forza dell’amore, capace di superare anche la barriera della morte. È un invito a non dimenticare, a custodire nel cuore il ricordo di chi ci ha amato, perché il loro spirito continua a vivere in noi e intorno a noi.
Della stessa valenza, la lirica “Di te ci resta”, che è una struggente elegia sulla perdita e sul ricordo di una persona cara e che esprime il dolore e la malinconia che permangono dopo la sua scomparsa. Il profumo, “fantasma” di una presenza passata, racchiude l’essenza di un ricordo vivido e persistente, mentre il sole, privato della sua “forza”, e la gioia, segnata da “rintocchi cupi” e un “gusto amaro”, riflettono l’impatto profondo della perdita sulla vita del poeta. La primavera, simbolo di vitalità e rinascita, è relegata nei ricordi, suggerendo che la gioia e la pienezza di vita sono svanite con la persona amata. La difficoltà nel “decifrare i segni” e nel recuperare i ricordi sottolinea la fragilità della memoria e la dolorosa consapevolezza della distanza che il tempo impone.
Questa poesia è davvero una toccante testimonianza del potere duraturo del ricordo, anche di fronte alla perdita più dolorosa. È un invito dell’autrice a non dimenticare, a custodire nel cuore le tracce di chi ci ha amato, perché il loro spirito continua a vivere in noi e attraverso i segni che hanno lasciato:
Di te ci resta
il fantasma di un profumo,
primavera nascosta nei ricordi.
Da quando non ci sei il sole
non ha più la stessa forza
ha rintocchi cupi la gioia
rara dei momenti, gusto amaro
dipinto sbiadito dal tempo.
È fatica
decifrare i segni, la memoria.
( Di te ci resta, p. 32).
“Il filo smarrito dell’esistere”, “occhi, labbra, luoghi”, la “fonda della notte”, “i dolori segreti”, “gli orli della notte”, “la pioggia d’estate”, “il rosso grido di rose rampicanti”, i “mazzolini pallidi di sillabe”, “l’ordito/ smagliato della luce”, “l’inviolabile segreto”, “il lento dissolversi / dei giorni” hanno l’eloquenza delle vissute meditazioni di Stefania La Via nel raccoglimento dei suoi anni, delle larghe sue attenzioni ai vari livelli delle realtà; sono le epigrafi delle sue resistenze al male, delle sue opposizioni alle mortificazioni; sono l’eco dei suoi passi che camminano tra gli uomini per cimentarsi con essi in un abbraccio d’amore.
Il realismo dei termini evoca una serie di immagini e concetti profondi, spesso legati alla fragilità dell’esistenza, alla perdita, al ricordo e alla ricerca di significato; se l’esistenza viene paragonata a un filo che si è perso, metafora di incertezza e mancanza di direzione, “occhi, labbra, luoghi” sono dettagli sensoriali che evocano ricordi e emozioni legate a un passato significativo, mentre “la fonda della notte” rappresenta la profondità dell’oscurità, sia fisica che metaforica, simboleggiando momenti difficili, periodi di crisi o l’ignoto che spaventa.
In questo quadro evocato dalla poetessa non manca “il rosso grido di rose rampicanti”, che suggerisce una forza vitale che si esprime con intensità, ma anche una possibile sofferenza, come non manca “l’ordito smagliato della luce”, simbolo di conoscenza e chiarezza, nonché “l’inviolabile segreto”, che richiama qualcosa di intimo e personale, un mistero che non può essere svelato e che può rappresentare un aspetto della propria identità o un evento significativo che viene custodito gelosamente.
Poesia corposa dunque e di ampia e robusta struttura, quella presente in questa silloge poetica; poesia che interroga e si interroga, con la consapevolezza che “la felicità è un attimo / di stupore”. Tra aforisma e racconto Stefania La Via entra “nel segreto delle parole” con la certezza che “occorre vivere”, producendo una versificazione con l’intonazione e la cadenza del monologo che risale dai percorsi profondi di una interiorità eucologica che dopo aver conosciuto la “discesa ad inferos” della “mondità” di heideggeriana memoria, torna a “Respirare, provare/ a infilare nella cruna / che si fa più stretta /il filo smarrito /dell’esistere, dolcemente /ricucire le ferite” , atteso che per la poetessa “solo l’amore dà senso / al precipizio”.
Concludendo, ci pare di poter dire che nelle pagine di Stefania La Via c’è un vivo intreccio di linguaggi e di relazioni, una voce di canto che si snoda con la diversa osservabilità della poetessa, una narrazione che cammina fino al sorriso del cuore, che è come la brezza del lago trafitto dall’alba. Milan Kundera scriveva che “Con le poesie il poeta lirico disegna il proprio autoritratto; ma poiché nessun ritratto è fedele, possiamo anche dire che con le poesie egli ritocca la propria immagine”. E’ quello che ha fatto, con un colloquio di volta in volta dimostrativo o nozionale o anagogico e chiomato delle parole indispensabili, la poetessa Stefania La Via!