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L’avarizia e la cupidigia, radice dei mali… di Domenico Pisana

“Chi ama il denaro, mai si sazia di denaro”, “Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?
Tempo di lettura: 2 minuti

La nostra riflessione sui vizi capitali , dopo superbia, ira e invidia, si posa sull’avarizia. Il termine “avarizia”, l’essere avari, taccagni, spilorci, in italiano non esprime pienamente il concetto biblico espresso dal secondo peccato capitale. Al concetto di “avarizia” bisogna associare quello di “cupidigia” che, secondo la Bibbia, è la radice di tutti i mali, proprio perché l’atteggiamento di brama irrefrenabile dell’avere apre la strada ad altri peccati , come la menzogna, il furto, il gioco d’azzardo, l’usura, l’inganno, la durezza con il prossimo, la frode, la perfidia, lo spergiuro, la violenza, il tradimento, l’indurimento del cuore contro la misericordia, il sospetto ed il giudizio temerario, la rapina.
Se il superbo è posseduto da se stesso, dalla sua egolatria, l’avaro è una persona posseduta da ciò che possiede: vive una condizione di schiavitù senza dubbio mortale.
Dante nel quarto cerchio del VII canto dell’inferno mette gli avari chiedendo a Virgilio chi siano quei dannati e in particolare se le anime che vede con la tonsura siano effettivamente tutti chierici. “Il maestro spiega che tutti loro in vita non spesero il denaro con giusta misura, peccando gli uni di avarizia e gli altri di prodigalità. Le anime con la tonsura furono effettivamente chierici, tutti peccatori di avarizia e fra loro ci sono anche papi e cardinali. Dante si stupisce di non riconoscere nessuno di loro, ma Virgilio chiarisce che il carattere immondo del loro peccato ora li rende del tutto irriconoscibili”.
La Bibbia è illuminante nel far comprendere chi è l’avaro. Qoelet 5,9 afferma: “Chi ama il denaro, mai si sazia di denaro”, per cui l’avaro pensa, agisce e assume un comportamento inconfondibile: l’avaro accumula ma non investe, conserva ma non usa, possiede ma non condivide: condividere, per lui, è un inutile spreco. L’uomo che dà alla ricchezza il primato assoluto è convinto che si possa comperare anche la morte, o s’illude di poter comprare l’amore.
Ma il salmista risponde: “L’uomo con la ricchezza non può durare, è simile agli animali che periscono. Non temere se un uomo arricchisce, se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore, infatti, con sé non porta nulla né scende con lui la sua gloria. Anche se da vivo benediceva sé stesso: ‘Si congratuleranno, perché ti è andata bene” Andrà con la generazione dei suoi padri, che non vedranno mai più la luce. Ma l’uomo nella ricchezza non capisce, è come gli animali che periscono’” (Cfr.Sal 48,8-10.13.17-21).
Nel Nuovo Testamento Paolo ammonisce : “…né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né gli oltraggiatori, né i rapinatori erediteranno il regno di Dio”;(1 Cor. 6,9-11); “Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile” (Ef. 4,19). E ancora la lettera di Giacomo in 4,1-2 afferma: “Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete”.
Gesù, poi, nel vangelo annuncia con chiarezza: “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona”( cfr. Mt 6,24-34).E ancora: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”.(Lc 12,15-21).
Ecco, quando l’avarizia si configura come amore per il denaro, è inconciliabile con il pensiero di Dio, con il vangelo, atteso che, invece, Gesù ha vissuto una vita povera e che, quindi, il discepolo non può fare diversamente. Per i cristiani del nostro tempo sorge allora una domanda: quale deve essere l’atteggiamento con il quale rapportarsi con i beni materiali, evitando sia il falso provvidenzialismo religioso, sia la eccessiva preoccupazione per le necessità quotidiane che fa dimenticare le esigenze del Regno e che evidenzia poca fiducia nell’amore del Padre?
Il vangelo indica l’atteggiamento giusto nella capacità di scelta di Dio anziché del denaro. E perché Gesù esige dai suoi discepoli questa scelta? Perché la cura degli interessi dell’uno è inconciliabile con la cura degli affari dell’altro; le esigenze di Dio contrastano con quelle della ricchezza, tant’è che servire Dio vuol dire mettere in pratica la sua volontà donandosi ai fratelli; servire il denaro implica un chiudersi egoisticamente al bisogno del fratello pensando ad accumulare ricchezze per se stessi.
Gesù esorta il discepolo a non preoccuparsi del mangiare, del bere, del vestito, ricorrendo anche a due belle immagini: “gli uccelli del cielo, (che) non seminano, né mietono, né ammassano nei granai”; “i gigli del campo (che) non lavorano e non filano”. Come intendere il senso di queste parole di Gesù!
Gesù non intende, certo, esortare i credenti in lui alla pigrizia e alla imprevidenza, né tantomeno invitarli a starsene tranquilli con le mani giunte e senza far nulla, o, addirittura, a contrapporre al lavoro impegnato una vita inattiva. Gesù, piuttosto, propone un “atteggiamento interiore di fiducia in Dio” all’interno di un impegno lavorativo, anche duro e faticoso; esorta a lavorare serenamente, perché se Dio si cura degli uccelli procurando loro il nutrimento, se riveste i fiori del campo di splendore e bellezza, a maggior ragione non permetterà che manchi ai suoi figli il necessario per vivere.
Purtroppo l’esperienza quotidiana dice come, spesso, si abbia poca fiducia nella parola evangelica, tant’è che ci si affanna a cercare sicurezze, ci si lega alle cose che si posseggono, si fa fatica ad avere il cuore distaccato dalle ricchezze, si vive con la paura del domani, con la paura di restare senza pane e senza vestito, dimenticando che la fede esige questo “esodo dal certo” verso l’incerto.
Il vero credente in Gesù non teme questo rischio, ma cammina verso l’incerto con la certezza che Dio è con lui. Nella storia della Chiesa non mancano esempi luminosi di uomini che hanno giuocato la loro vita sulle parole del Maestro, come, ad esempio, Francesco, il poverello di Assisi. Egli, nella povertà, ha trovato la sua gioia, il senso più profondo del suo esistere, sì da essere capace di godere tutta quanta la natura e la realtà creata, nonché in grado di comporre quel meraviglioso “Cantico delle creature”.
Il peccato dell’avarizia, infine, non è da intendersi solo nella dimensione individuale ma anche sociale. La parabola evangelica è emblematica della condizione umana globale: al posto del ricco Epulone si può mettere l’Occidente e, al posto del povero Lazzaro, il Terzo e Quarto Mondo.
L’antidoto efficace all’avarizia consiste nella conversione del cuore, nel cambiamento di mentalità che porta a dare valore relativo (strumentale) alle cose, al denaro e priorità al regno di Dio, il quale chiede ai credenti del nostro tempo di essere “coscienza critica” di questa società del benessere, non tanto per condannare i beni che essa produce o può produrre, non tanto per chiudere gli occhi di fronte a quanto può realizzare a beneficio dell’uomo, ma nel senso che chiama ognuno a diventare “segno” di liberazione in favore dei più deboli, “segno profetico” capace di testimoniare e far comprendere che il profitto non può essere l’unico criterio dello sviluppo della società e che , al contrario, deve essere il bene della persona il criterio decisivo e fondamentale in grado di combattere la povertà e di creare le condizioni per una vita più umana dei fratelli.

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