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La Giornata della Memoria…l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 2 minuti

Quest’anno, la Giornata della Memoria si celebra durante una delle tante guerre che Israele è costretta a combattere per difendere la propria esistenza. “Se Auschwitz non ha potuto eliminare il fanatismo, cosa potrà riuscirci? Cosa bisogna fare perché, sulla soglia del ventunesimo secolo, l’uomo ammetta finalmente questa verità implacabile: quando un popolo è minacciato nel suo destino, sono tutti gli uomini a essere minacciati? Kafka, come sempre, lo dichiara magnificamente: colpisci un ebreo e uccidi l’uomo.” Era il 1999, il 7 ottobre, una data come un’altra, che oggi ha il significato di un’inquietante premonizione, a parlare nell’aula magna dell’Università di Friburgo, in Svizzera, era Elie Wiesel, uno dei sopravvissuti più famosi della Shoah, autore di fama mondiale, premio Nobel per la pace. Ospite d’onore di un convegno internazionale organizzato dalla Federazione svizzera delle comunità israelitiche, era stato invitato a parlare dell’“indicibile”, dell’evento più terrificante che mai prima avesse scosso così profondamente la coscienza umana. Di quel discorso, ho preso alcune parti che secondo me consentono di avvicinarsi al dramma vissuto dalle vittime, ignare fino all’ultimo della tragedia incombente, incredule di fronte a tanta crudeltà, incapaci di spiegarne le cause, e impossibilitate a comunicare un dolore che rimase muto per un lungo tempo. “I sopravvissuti, disse Wiesel, appena poterono reggersi in piedi, tentarono di parlare, tentarono, balbettando, di raccontare per frammenti ciò che era accaduto. Ma ci si rifiutava di ascoltarli. Venivano compatiti: li si aiutava a vestirsi, a nutrirsi, a inserirsi nella società. Li si consolava con parole amabili, con buone intenzioni. Si consigliava loro di non guardarsi indietro, di voltare pagina, di dimenticare. Non appena iniziavano una frase, li si interrompeva con toni più o meno spazientiti, dicendo: il passato è passato, adesso conta il futuro.” Come avrebbero potuto “voltare pagina” con quell’insostenibile peso che nessuno era disposto a condividere? Se la memoria del passato storico è forte in ciascun ebreo, diventa centrale per un sopravvissuto. Il passato è qui, presente ogni giorno, indelebile. “Chiunque cancelli il passato uccide il futuro che è speranza”, disse Wiesel, ricordando cosa fosse per lui il passato. “E’ il regno maledetto del filo spinato, la caccia all’uomo, l’oppressione dello straniero, il disprezzo e la negazione dell’altro, la volontà di annientare tutto un popolo, la paura, l’angoscia, il terrore del bambino disperato che, nel ghetto, cerca un rifugio senza trovarlo.” E rimase sospesa la domanda che in un altro tempo e in un altro luogo tanti come lui si fecero: perché tutto questo? Cosa abbiamo fatto?  “Com’è potuto accadere che un popolo civilizzato, colto e fiero dei suoi pensatori, dei suoi poeti, dei suoi artisti, dei suoi musicisti, abbia potuto produrre un sistema integralmente dedito al culto del potere e della morte?” Non c’è risposta a una simile domanda, come non c’è risposta alla domanda che gli assassini stessi si erano posti, stando a documenti da loro scritti: “Perché quegli ebrei non si dispersero? Perché non si diedero alla fuga, anche a costo di farsi massacrare nelle strade e tra i campi? Perché andavano a morire con tanta rassegnazione?” E ancora: i contemporanei sapevano? “Vedendo quei cortei avanzare ammutoliti, sotto un cielo di piombo, verso un altare in fiamme, qualche porta si è aperta per fare entrare un bambino? Eppure sapevano. Roosevelt sapeva, Churchill sapeva, in Vaticano sapevano. Qui, da voi, in questo paese neutrale, sapevate.  All’epoca noi non sapevamo. Non sapevamo che il mondo libero sapeva. Altrimenti, credetemi, non avremmo potuto resistere. Ma allora che cosa fare, oggi, di tutto questo sapere: che noi sappiamo che essi sapevano?” Sapevano e volgevano la testa dall’altra parte, l’indifferenza li rendeva complici degli assassini, l’indifferenza uccide. “Da fuori guardavano, hanno visto tutto. Avete visto le impiccagioni? Le abbiamo viste”. Wiesel era tornato nei luoghi della sofferenza, nel campo dove aveva trascorso la maggior parte della prigionia, la Buna, ad Auschwitz3. “Tutto scomparso, solo una piccola iscrizione, dove si dice che migliaia di persone sono state uccise qui, senza menzionare la parola “ebrei”.” Odio antiebraico, antisemitismo: la Shoah non è bastata ad estinguerli. E l’invidia: si è parlato molto dei soldi dei ricchi ebrei, è un luogo comune, le gallerie d’arte, i quadri rubati, le industrie confiscate: “Se ne parla fin troppo. In fin dei conti, il 99% delle vittime erano povere. Il nemico ha rubato loro la povertà. Questi ebrei che arrivavano a Treblinka o a Majdanek, che cosa possedevano? Una camicia? Dei libri?” L’invidia e l’odio sono contagiosi come la peste, è anche di essi che il razzismo e l’antisemitismo si nutrono. “E poi ci sono loro, i negazionisti, che fanno prova di un’assoluta mancanza di sensibilità, di umiltà, di intelligenza nei confronti dei sopravvissuti che essi tormentano. Ce l’ho con i negazionisti non per motivi storici, poiché si finirà con il dimenticarli, la verità li cancellerà dalla memoria. Ce l’ho con loro per quel momento di incontro tra padre e figlio, in cui il padre comincia a parlare del fardello che non voleva caricare sulle spalle del figlio, e racconta e vede nei suoi occhi l’interrogazione muta: “Papà sei sicuro che è tutto vero, non l’hai forse immaginato?”. Il negazionismo è una malvagità che non merita perdono, è un’altra delle bassezze di cui l’essere umano è capace. Essere umano? Come fermare il rancore che divide, aizza gli uni contro gli altri se non raccontando l’“indicibile” con le parole dei testimoni, l’irraccontabile che va al di là della comprensione e sfida la ragione? Raccontare non perché il dolore si rinnovi, ma perché il mondo sappia, cerchi di comprendere e rifletta su una verità tragica, perché sappia ascoltare chi ha visto l’orrore, immagine dopo immagine, episodio dopo episodio e perché usi la parola Shoah per intendere il genocidio pianificato di un intero popolo colpevole di esistere. Lo dico polemicamente, pensando alle volte in cui quella parola è stata usurpata per denunciare qualunque ingiustizia. Se non si cerca di comprendere almeno questo, non ha alcun senso commemorare il Giorno della Memoria, se non si abbatte il muro dell’indifferenza, la stessa che rese possibile lo sterminio di 6 milioni di ebrei, si deve temere che l’orrore si ripeta, esattamente come è avvenuto il 7 ottobre 2023. Elie Wiesel 1928-2016.

 

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