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Contro la cultura woke: “Il mondo al contrario”…l’opinione di Rita Faletti

Tempo di lettura: 2 minuti

Il libro di Vannacci, “Il mondo al contrario”, va a ruba. Pare che persino chi non aveva mai letto un libro abbia messo piede in libreria per la prima volta. Una buona notizia in un paese che non ama leggere, cattiva se è sintomo di intolleranza, interessante se è espressione del rifiuto all’omologazione su vasta scala: la penso diversamente, non mi uniformo al pensiero corrente, da individuo libero respingo i condizionamenti ideologici. Il solo titolo, al di là del contenuto del libro, è un atto positivo di ribellione contro la lettura della realtà secondo parametri moralistici importati, assurti a decalogo di comportamento in quelle che hanno fama di essere tra le migliori università americane d’élite, luoghi di nascita della cultura liberal di matrice woke. Diversamente da quello che l’aggettivo suggerisce, la cultura liberal che circola a Harvard o Berkeley, ma non solo, non ha nulla in comune con la tradizione liberale europea, anzi, è tutto fuorché liberale e tutto fuorché degna di prosperare in luoghi deputati al libero confronto di idee e punti di vista nel rispetto delle diversità, le università appunto. La cultura woke ha furoreggiato tra studenti e professori che ne sono stati i principali ispiratori, con risultati catastrofici, tra cui il prevalere dell’indottrinamento e di un unico punto di vista ideologizzato e non fondato su realtà empiricamente osservabili. Sensibile ai diritti delle minoranze, in particolare afroamericane, e nato come lotta alle discriminazioni, in una fase successiva il woke ha imboccato la direzione contraria, trasformandosi in discriminazione e risentimento verso le maggioranze, con spiccate caratteristiche di attivismo sociale e politico. L’intento? Creare dissenso e seminare odio antioccidentale agendo come una pialla sulla molteplicità delle opinioni. Gli strumenti? La banalizzazione di situazioni e relazioni e le descrizioni semplicistiche del tipo gli oppressi sono buoni, gli oppressori (presunti) sono cattivi. Il picco del wokismo ha coinciso con la guerra a Gaza, occasione perfetta per puntare il faro sul mondo al contrario, con Israele carnefice e Hamas eroe della resistenza. Nessun riferimento da parte dell’intellettualismo postcoloniale alla macelleria vomitevole del 7 ottobre, silenzio totale delle neofemministe sugli stupri, da condannare però se gli autori sono occidentali bianchi e binari. Un monumento all’incoerenza e all’irrazionalità. La furia parossistica del woke, con i suoi appelli “ammazziamo gli ebrei” ha segnato anche il momento dell’autodistruzione. Si è cominciato a rimettere le cose in ordine e il primo colpo fatale è arrivato dalla Corte suprema americana che ha condannato la prassi per l’ammissione ai college, la cosiddetta “affirmative action” (azione affermativa) finalizzata a favorire le minoranze, definendola discriminazione incostituzionale contro altri e una forma di penalizzazione del merito. L’angolo di deviazione dal “dritto” inizia a ridursi e il mondo al contrario con il suo caos postmodernista si automarginalizza a causa dei suoi stessi eccessi. Gli estremisti climatici, i sostenitori di Black Lives Matter, le femministe accademiche e gli attivisti trans che marciano dietro le insegne degli assassini di Hamas hanno rivelato il fluido imbroglio: il loro vero nemico è l’occidente con la sua libertà, la loro dannazione è l’incoerenza, il limite l’ignoranza. Sanno che il regime terrorista che governa Gaza dal 2007 li caccerebbe tutti in galera, li torturerebbe o li massacrerebbe volentieri? Greta Thunberg ignora che Israele guida il mondo nelle tecnologie della desalinizzazione e per le energie rinnovabili. Che Israele ha donato a Gaza serre ecologiche avanzate per un valore di 14 milioni di dollari e solo per vederle devastate dagli abitanti della Striscia. I movimenti BLM i cui obiettivi sarebbero, il condizionale è d’obbligo, “portare giustizia e libertà a tutti i neri del mondo” immaginano come verrebbero trattati gli ebrei etiopi a Gaza? Le femministe che si dipingono la faccia con i colori della bandiera palestinese e sostengono la Palestina libera dal fiume al mare (quale fiume, quale mare?) sono al corrente del fatto che i terroristi e gli stati che li supportano sono contrari a concedere pieni diritti alle donne e che in uno stato islamico – quello sì patriarcale- sarebbero picchiate, sottomesse, ammazzate? La maschera è caduta: i finti paladini della giustizia, i finti difensori dell’ambiente si sono rivelati per ciò che sono: traditori della giustizia e dell’ambiente, predicatori dell’odio antioccidentale, il senso stesso della loro esistenza. E in questo allucinante mondo al contrario, una parte è occupata dal Sud Africa con la sua promiscuità con i terroristi di Hamas e la richiesta di condanna di Israele per il crimine di genocidio alla Corte internazionale di giustizia. Una farsa in piena regola da parte di un paese orgoglioso di aver eliminato l’apartheid in modo non violento, ma grazie a un personaggio, Nelson Mandela, grande in patria ma ipocrita con gli altri paesi. Amico di Gheddafi, sostenitore di dittatori del calibro di Fidel Castro e Robert Mugabe, venditore di armi al padre di Bashar-al-Assad, amico di Arafat. Oggi Pretoria è con Hamas e con la Russia dalla cui condanna per l’aggressione all’Ucraina si è astenuta. Il lezzo di Pretoria si diffonde nauseante come quello dell’Onu di cui la Corte dell’Aia fa parte. Questo “mondo al contrario”, prima o poi sarà spazzato via. Ma “Il coraggio vince” sempre?

 

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