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Israele minaccia la solidarietà tra terroristi…l’opinione di Rita Faletti

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Il 3 gennaio 2019, a Bagdad, lungo l’autostrada per l’aeroporto, un drone americano uccideva Qassem Suleimani, il capo dei Guardiani della rivoluzione iraniana, uomo di punta della strategia militare e braccio armato della Guida Suprema Ali Khamenei nelle operazioni all’estero. Perdita grave per il regime degli ayatollah e il suo prestigio nella regione, che reclamava una vendetta dura e immediata. E’ quello che promise Khamenei. Poi, conoscendo i rischi di uno scontro aperto con Washington, si accontentò di lanciare accuse di fuoco contro il nemico americano compiacendo così il risentimento popolare. Nei paesi islamici, ma anche in quelli che islamici non sono, la retorica antiamericana ottiene risultati istantanei notevoli, efficaci quanto una dichiarazione di guerra ma molto meno onerosi. In quel caso, le parole e il tono furono più roboanti del solito ma senza conseguenze. Il comandante delle Forze al Quds, figura carismatica tenuta in alta considerazione per aver sconfitto lo Stato islamico, ebbe i funerali e gli onori che si dovevano al “martire vivente”, espressione coniata per lui dalla Guida Suprema. Considerato un mito dal popolo, il generale dei pasdaran non ha mai smesso di vivere nel ricordo degli iraniani che il 3 gennaio di ogni anno ne commemorano la morte recandosi alla sua tomba nel cimitero di Kerman. Quest’anno, come nei precedenti, una folla di pellegrini si stava dirigendo verso il mausoleo di Suleimani quando due violente esplosioni a poca distanza l’una dall’altra hanno ucciso 89 persone ferendone oltre un centinaio. Il sanguinoso attentato rivendicato dall’Isis è stato condannato dal presidente Raisi: “I nemici della nazione dovrebbero sapere che tali azioni non potranno mai turbare la solida determinazione della nazione iraniana”. Nessuno mette in dubbio la determinazione feroce con cui il regime teocratico condanna all’impiccagione le donne che manifestano qualche problema con la libertà di indossare un pezzo di stoffa in modo appropriato e se lo indossano o meno. In tali frangenti il regime non indietreggia, ma in fatto di stragi come quella di Kerman, il problema è altro da un pezzo di stoffa, ha a che fare con la sicurezza del paese e la presenza di elementi o organizzazioni che hanno dimostrato di potersi muovere e colpire, forse appoggiati da una rete invisibile di oppositori del regime, nemici di uno stato che tiene i fili di una galassia di gruppi terroristici con legami e finanziamenti in Qatar e Turchia e con il comune obiettivo di distruggere Israele e indebolire l’occidente e gli Stati Uniti. Questa galassia, con l’Iran al centro, costituisce l’Asse della resistenza che in questi giorni avrebbe dovuto festeggiare i successi del comandante dei pasdaran, il “martire vivente” del mondo sciita, l’eroe che con pazienza e spregiudicatezza aveva recuperato un pezzo alla volta un’egemonia territoriale ormai data per persa: in Siria, aiutando Bashar al-Assad a rimanere in sella e contenere l’espansione dello Stato islamico, in Iraq e nello Yemen, occupato in gran parte dal gruppo paramilitare degli Houthi. Ed è sempre a Suleimani che l’Iran deve la lunga preparazione e coordinazione di azioni militari che hanno portato all’assalto brutale di Hamas del 7 ottobre 2023 ai kibbutzim nel sud di Israele ai confini con la Striscia. Comandante di terroristi, terrorista egli stesso, Suleimani aveva insegnato tecniche e strategie di attacco che Hamas, Jihad palestinese, Hezbollah libanese e iracheno si passano, mantenendo però le rispettive autonomie nonostante i proclami e i discorsi di solidarietà reciproca. Il secondo di Hamas, al-Arouri, che si trovava in un ufficio di Hezbollah a Beirut, è stato ucciso da un drone israeliano ma Hassan Nasrallah, leader libanese del Partito di Dio, oltre a inveire contro Israele “Se Israele attacca il Libano combatteremo senza limiti né regole”, altro non ha detto in difesa di Hamas, confermando il sospetto che il “tutti per uno uno per tutti” è solo il leit motiv dell’oratoria altisonante dei terroristi che nei fatti schivano il mutuo soccorso di fratellanza di fronte a una minaccia.

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