
La guerra combattuta da Israele a Gaza per distruggere Hamas dopo il massacro del 7 ottobre, ha ridato energia all’odio viscerale antiebraico delle piazze arabe e islamiche, smascherato l’antisemitismo delle sinistre internazionali e offerto ai nemici delle democrazie e delle loro libertà l’opportunità di unirsi e canalizzare verso Israele l’accusa di colonialismo e genocidio per colpire l’Occidente e gli Stati Uniti indicati come istigatori responsabili di tutti i conflitti del mondo. Il fine è chiaro: costruire un nuovo ordine mondiale libero da regole e dalla supremazia americana. Un fronte compatto che l’esito scontato della guerra sgretolerà per riposizionare i vari tasselli che lo compongono. Intanto, la guerra di Israele ha annullato le rivalità interne all’islam tra sunniti e sciiti, ha consentito all’Iran, stato nazista che ammazza le ragazze per via dell’hijab e impicca gli omosessuali, oggi alla guida del Consiglio per i diritti umani, di indicare in Israele uno stato nazista; ha consolidato l’asse Russia-Cina che nel 1979 aveva coniato per Israele l’espressione “il piccolo satana”; ha suscitato la reazione scandalizzata di Putin sui civili di Gaza uccisi dalle bombe israeliane, mentre Mosca bombarda i civili ucraini da oltre un anno e mezzo e nella guerra in Siria contro i ribelli di Assad aveva intenzionalmente bombardato gli ospedali, ha sterminato i musulmani Ceceni perché accusati di terrorismo e oggi, all’insegna della coerenza, riceve con tutti gli onori i terroristi di Hamas e festeggia la fratellanza con il dittatore Kim che gli fornisce droni e munizioni per continuare la sua sporca guerra in Ucraina. E la Cina? La guerra a Gaza è l’occasione per Xi Jinping di definire Israele stato di apartheid quando lui ha internato gli Uiguri in campi di rieducazione costringendoli ai lavori forzati perché musulmani. Pechino nega e per dimostrare che nulla ha contro la loro religione, diffonde una foto della moschea di Id Kah, la più grande dello Xinjiang, senza però dire che da luogo di culto musulmano l’ha trasformata in destinazione turistica. La verità è che sia Putin che Xi temono il terrorismo islamico come forza destabilizzante. Se abbiano ragione o meno, l’Europa avrà modo di verificarlo direttamente. E per finire, guai dimenticare il sultano turco che ha l’impudenza di affermare: “Non troverete nessun altro stato il cui esercito si muove con tanta disumanità come quello israeliano”. Sorvola, Erdogan, sui problemi genocidari del suo paese, la strage degli Armeni, e di democrazia interna. Ebrahim Raisi e la Guida suprema Khamenei, Putin, Xi Jinping e Erdogan dovrebbero essere sul banco degli imputati, condannati dalla comunità internazionale, o almeno, da tutti i paesi democratici, che non hanno la forza morale per stigmatizzare senza reticenza i crimini di Hamas e difendere Israele e il suo diritto a difendersi. Nelle città occidentali e persino a Harvard, dove studia e si forma la classe dirigente americana e da cui sono usciti ben otto presidenti degli Stati Uniti, si assiste con imbarazzo e vergogna alla solidarietà “anticoloniale” con i palestinesi, con ingredienti incendiari che si credevano definitivamente vinti: antisionismo e antisemitismo. In Italia circa 4000 professori universitari hanno firmato la richiesta di interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane con la seguente motivazione: l’illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni. Una pagina indecorosa che rivela la miseria intellettuale di chi lavora in contesti in cui la libera circolazione delle idee è una priorità e mette in serio dubbio le conoscenze storiche dei firmatari, dato che nel 2006 Israele liberò Gaza dai coloni che vi abitavano e l’anno successivo i palestinesi votarono democraticamente a favore di Hamas. L’aritmetica non è un’opinione, esimi docenti, e segnalo che il danno è vostro perché il mondo della ricerca è una delle realtà più straordinarie dello Stato di Israele, insieme ad altre. I paesi arabi non oltranzisti, Egitto, Giordania, Marocco, Bahrein, Emirati e Arabia Saudita non solo lo sanno, ma sembrano molto più interessati al piccolo Stato ebraico che ai palestinesi. Una settimana fa, a Riyad, alla prima storica riunione tra Lega Araba e Organizzazione della Cooperativa Islamica organizzata per decidere interventi pesanti contro lo Stato ebraico, dopo il refrain caldeggiato da Raisi sulla scomparsa di Israele dalla faccia della terra e un’invettiva astratta contro “i crimini di guerra” di Israele, il tutto si è concluso con un mafioso “baciamo le mani a Hamas”.