
“Il termine bilancio (ci riferiamo al documento che si occupa delle entrate e uscite del Comune), se pronunciata all’interno di Palazzo San Domenico, ad alcuni provoca l’orticaria”.
Il segretario cittadino del Pd, Salvatore Poidomani, incalza sulla questione bilancio e sulla nomina dei due commissari da parte della Regione, ad integrazione di quanto già denunciato da Vito D’Antona di Sinistra Italiana, anche se in provincia non c’è solo Modica ed essere commissariata il che non giustifica nulla.
“Sia la Giunta che i responsabili dei servizi si dimostrano refrattari alla normativa che impone una rigida tempistica nell’assolvimento di tali compiti, consistenti nell’approvazione del Bilancio di Previsione e del Rendiconto – aggiunge Poidomani -. La Regione non può far altro che prenderne atto e procedere, come ha fatto, alla nomina dei Commissari ad acta. Non ci può consolare il fatto che assieme al nostro Comune ce ne siano tanti altri: la nostra situazione finanziaria è così drammatica e certificata dall’esistenza di un Piano di riequilibrio che si impone una maggiore tempestività e precisione. Purtroppo, questi documenti non riescono a venire alla luce. Parti travagliatissimi, che rivelano una situazione di fondo ancora più grave di quella che è stata rappresentata dalla Corte dei Conti. Dalla nuova Amministrazione ci si aspettava una maggiore attenzione e un coinvolgimento del Consiglio Comunale, che ancora attende di vedere il Rendiconto del 2021”.
Non si tratta di una formalità; come è noto i consuntivi sono lo strumento che permettono al Consiglio, e indirettamente ai noi cittadini, di esercitare il doveroso controllo democratico sull’attività della Giunta.
2 commenti su “PD: “Il termine “bilancio al Comune di Modica provoca orticaria””
Come spesso avviene, qste notizie non vengono commentate dai frequentatori abituali, seriali, oserei “professionali”, sia mai che si venga scoperti a parlar male dell’ operato del recente passato.
Premettendo doverosamente, e con disincanto, l’espressione proverbiale: Tutto il mondo è paese”, penso che amministrare la cosa pubblica come propria genera gli effetti di cui si tratta.
Poiché amministrare la cosa pubblica e amministrare la cosa propria (nell’accezione di diuturna ricerca di consenso a proprio favore e vantaggio) non è la stessa cosa.
E non essere in grado di fare questa distinzione fa del parlare, anche attraverso la spesa scriteriata, la finta essenza della politica che, diversamente e in sintesi, è agire nell’interesse di tutti amministrando virtuosamente i soldi di tutti.
Le aziende private, organizzate ai fini della produzione e del profitto che ne consegue, sanno che redigere e approvare i bilanci secondo le norme dettate dal Legislatore è una pratica faticosa ma una condotta virtuosa che consente di pianificare con criterio le attività dell’impresa e di vivere con consapevolezza il presente.
Gli Enti pubblici e le aziende da questi partecipate, spesso diretti da sedicenti eccellenze politiche e professionali, producono – più che un disavanzo “fisiologico”, poiché il soddisfacimento dei bisogni sociali della collettività attraverso l’erogazione dei pubblici servizi è la finalità della pubblica amministrazione e non il profitto – ingenti e ripetuti danni alle proprie casse per la consuetudine di navigare a vista disattendendo la programmazione economica e all’oscuro dei bilanci consuntivi.
Da quanto è dato vedere, questa incoscienza, termine indulgente sostitutivo di inadeguatezza, è propria di tutti gli schieramenti politici ed è, forse, inconsapevolmente ma, certo, colpevolmente tollerata dagli elettori delle maggioranze e delle opposizioni di turno, nonché dai disertori delle urne.
Disattendere le regole circa le modalità e i termini di un pubblico bilancio è, oltre che un grave inadempimento, un pessimo esempio di violazione da parte di Enti pubblici delle norme dettate dal Legislatore.
Gestire i conti pubblici attraverso annunciati stanziamenti prossimi venturi e fantomatici tesoretti è l’insana pratica della cosiddetta finanza creativa che ha spazio solo nella fantasia di chi la attua mentre di pratico ha solo i puntuali e dannosi effetti.
Il tempo che viviamo ha generato una sorta di assuefazione allo sforamento dei conti per via di provvidenze pubbliche necessarie a fronteggiare disastrosi fenomeni socio economici imprevisti (si legga: effetti collaterali Covid) ma ci ha aperto gli occhi anche sulla incapacità di chi ci governa di superare lo choc positivo dovuto alla sovrabbondanza di soldi reali che non si riesce a spendere nonostante siano ben chiare e urgenti le necessità nel campo delle infrastrutture (escluso il ponte sullo stretto, che nel nostro Paese è una magnificenza architettonica fantasiosa, dispendiosa e tardiva), della sanità, del lavoro, dello stato sociale, della scuola, della cultura, delle attività economiche, e via dicendo (si legga: effetti provvidenziali ma ridimensionati del PNRR).
Ora, supposto che ciascuno di noi, indistintamente, sia capace di spendere scriteriatamente il denaro disponibile e incapace di gestire virtuosamente le provvidenze economiche più o meno inattese, mi chiedo: a cosa serve l’eccellenza (sedicente) di politici, professionisti, dirigenti se non fa emergere la sacrosanta perizia necessaria a calcolare le coordinate e a misurare la rotta, ammesso che abbiano la bussola in mano e siano in grado di seguirla?
Diceva bene Bernard de Mandeville, solo trecento anni fa: “infelice è il popolo, e sempre precaria la sua costituzione, il cui benessere deve dipendere dalle virtù e dalle coscienze di ministri e politici” (La favola delle api).
Il tempo passa ma l’immutabile (pessima) volontà umana, nonostante le inutili evoluzioni (o, se si vuole, le perniciose involuzioni), rende il corso della Storia un circuito chiuso.