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Almeno 160 persone, per lo più giovani, sarebbero morte in El Salvador durante il regime di emergenza, attuato dal governo di Nayib Bukele, per “combattere” il predominio incontrastato delle bande nelle carceri statali. L’organizzazione Cristosal in un rapporto presentato all’inizio settimana, spiega che è la prima volta, attraverso un’indagine, che “le morti avvenute all’interno dei centri penali, vengono verificate e documentate”. L’organizzazione fa notare che solo dal 27 marzo 2022 al 27 marzo 2023, sono state documentate 139 persone morte nei penitenziari di El Salvador. Dei 139 decessi, quattro sono donne, e che il 46,3 per cento delle vittime aveva un’età compresa tra i 18 e i 38 anni. Sono stati identificate morti causate da torture, trattamenti crudeli e inumani. Molti cadaveri identificati con lacerazioni, contusioni e ferite causate da oggetti appuntiti o contundenti, strangolamento, impiccagione e altri segni di tortura. Il rapporto sottolinea che il 56 per cento dei decessi continua ad essere commesso dalle bande interne e questo “farebbe dubitare – dicono – circa l’efficacia di questa politica”, in riferimento al regime di emergenza, attuato dal presidente Bukele. Per ottenere tali informazioni, l’organizzazione ha svolto indagini sul campo, anche in fosse comuni, corredate da un’ampia documentazione fotografica dei corpi e necrologi dell’Istituto di medicina legale, nonché attraverso interviste a parenti, conoscenti dei defunti e dalle persone tuttora detenute. L’Assemblea Legislativa, con un’ampia maggioranza filogovernativa, ha approvato il 16 maggio scorso la quattordicesima proroga di un regime di emergenza in vigore dalla fine di marzo 2022, dopo un’escalation esagerata di omicidi all’interno dei penitenziari della nazione centroamericana che ospitano circa 69mila detenuti.