
I nubifragi che si sono rovesciati sull’Emilia-Romagna causando, oltre alle morti, ingenti danni non ancora quantificabili e che non si risolveranno con la fine delle alluvioni e delle frane, confermano che il cambiamento climatico di cui si parla da decenni non è un argomento da lasciare a sedicenti difensori dell’ambiente se non nei talk show dove il limitato tempo a disposizione e la compiacenza del conduttore consentono di sparacchiare stupidaggini senza che ci sia la possibilità di approfondire e confutare. L’ambientalismo ideologico è peggio della catastrofe climatica perché muove dal pregiudizio secondo il quale le attività umane provocano danni all’ambiente, perfino nelle situazioni in cui gli interventi strutturali hanno la funzione di proteggere l’uomo dalla violenza della natura. L’Emilia-Romagna è all’avanguardia nella ricerca ambientale, eppure da dieci anni nulla è stato fatto per mettere in sicurezza il suo territorio, tanto che oggi è la regione a più alto rischio idrologico. La spiegazione risiede nel fatto che le rivendicazioni ambientaliste all’interno della politica emiliano romagnola hanno bloccato qualunque iniziativa in nome della tutela della flora e della fauna. L’oltranzismo verde mette al primo posto l’albero e la sterna. Il rischio idrogeologico non è esclusività di questa regione flagellata come mai prima dall’acqua proveniente dal cielo e sommersa da quella esondata dai fiumi, riguarda in realtà la maggior parte del territorio italiano, ma in Emilia-Romagna le caratteristiche geomorfologiche ne fanno un territorio particolarmente fragile. La regione è piatta e si trova nella valle di una quantità di torrenti appenninici, originariamente costituita di paludi. In passato, il triangolo tra Bologna Ravenna e Comacchio era così pieno di acqua che Bologna era uno dei porti fluviali più attivi d’Europa e la sua flotta era addirittura in grado di sostenere un conflitto con Venezia. Più tardi iniziarono le bonifiche che proseguirono fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. La cura del territorio era affidata ai consorzi di bonifica e agli abitanti che tenevano pulite le rogge e i corsi d’acqua e facevano lavori di manutenzione. Gli impianti idrovori con i quali in questi giorni si sta cercando di prosciugare le zone allagate, sono l’eredità di una serie di interventi e di sistemi di manutenzione del territorio degli anni trascorsi. Nonostante il cambiamento climatico – lunghi periodi di siccità seguiti da brevi ma violenti nubifragi – gli interventi necessari come la pulitura degli alvei, la messa a regime dei corsi d’acqua, il rafforzamento degli argini e delle strutture di contenimento sono stati trascurati. Ai fenomeni naturali esasperati dal cambiamento climatico sono state date risposte minimali dietro la spinta ambientalista, invece di affidare la ricerca di soluzioni alle conoscenze dei geologi e alle competenze ingegneristiche di professionisti esperti, partendo dal concetto che bisogna ridurre il rischio il più possibile ed essere quindi preparati a fermare la violenza degli elementi adattando alle nuove situazioni nuovi sistemi di sicurezza. Perché è l’uomo che deve adattarsi alla natura, non viceversa, e adattarsi non vuol dire soccombere stando fermi e aspettare che passi la buriana. Il problema non sono le cosiddette bombe d’acqua, espressione orrenda, non è il livello dei fiumi che si alza, non è la siccità, il problema è l’uomo con i suoi paraocchi ideologici, è l’impreparazione ad affrontare le sfide del cambiamento climatico anche con infrastrutture che impattino sull’ambiente, è l’incapacità di riorganizzare la gestione del territorio per evitare che le parti più produttive del paese vengano penalizzate nelle loro potenzialità. Ma l’ostacolo viene come al solito dalla politica perché se il governo è favorevole alle grandi opere, ci sono le regioni governate da segno opposto che bloccano tutto. Un nonsenso quando le circostanze richiedono prontezza di reazione e dinamicità. Al cambiamento si risponde con il cambiamento. Il governo Meloni sembrerebbe aver compreso, decidendo di riprendere in mano il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, bloccato da 7 anni. Si auspica riesca a neutralizzare il muro del finto ambientalismo che vorrebbe tornare al passato senza avere del passato la saggezza e l’apertura mentale.