Putin: da autocrate a dittatore tagliateste…l’opinione di Rita Faletti

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La vita, nelle ex Repubbliche sovietiche, dopo una breve stagione democratica agli inizi degli anni ’90, è sospesa tra speranza e paura. L’indipendenza raggiunta dopo la disgregazione dell’Urss, per Putin è un ghirigoro insignificante su una mappa con contorni che delineano chiaramente i confini di un impero da ricostituire. Prima o poi i russi torneranno. Il progetto imperiale segue uno schema e dei tempi; si potrebbe intitolare “Make Russia great again”. E’ il chiodo fisso di Putin, quello di restituire alla Russia la sua originaria posizione tra le grandi potenze mondiali. Con Trump attentatore della democrazia americana, aveva intravisto qualche possibilità, poi tramontata, e prima ancora, quando aveva usato la guerra contro i separatisti ceceni per presentarsi come ultimo baluardo dell’Occidente assediato dal terrorismo islamico. Un’occasione imperdibile. Sgominare il “terrorismo” ceceno, spazzare via città e villaggi, spezzare i legami sociali che avevano tenuto unito un popolo duro e fiero. “Prima del 24 febbraio, la Cecenia era un campo di concentramento all’interno della Russia. Ora la Cecenia è un carcere all’interno del grande campo di concentramento della Russia. C’è un regime totalitario in cui le autorità sono penetrate in tutte le sfere della vita dei cittadini, di cui controllano ogni passo”. A dirlo un avvocato ceceno per i diritti umani. Della Cecenia com’era rimane poco o nulla. Ramzan Kadyrov, nominato presidente da Putin, di fatto un dittatore, controlla l’ordine con tutti i mezzi disponibili, nessuno escluso. In Cecenia Putin ha sperimentato, attraverso i suoi scagnozzi, una metodologia di guerra che ha successivamente replicato in Siria per aiutare l’amico Assad a liberarsi degli oppositori che volevano cacciarlo. I bombardieri russi non risparmiarono nemmeno gli ospedali appositamente indicati sulle carte perché non fossero colpiti. In quanto alla distruzione fisica dello stato islamico fondato da Al Baghdadi tra Siria e Iraq, all’Occidente fu dato da intendere che il merito fosse stato delle forze russe. La verità, fuori della propaganda, è un’altra: gli scarponi sul terreno ce li avevano messi i curdi, il coraggioso popolo preso di mira dal satrapo Erdogan, che considera i curdi terroristi. Quello svitato di Trump non fece un plissé e i ringraziamenti non giunsero neanche dagli europei ai quali premeva solo sentirsi sicuri a casa propria. Poi Trump perse le elezioni, consapevole che i risultati non erano stati truccati, e tuttavia gridando ai brogli, sostenuto dal codazzo di sovranisti americani e europei. Tra lui e Putin correva buon sangue. Entrambi privi di scrupoli e impostori incalliti, abili nel mettere nel sacco i non abbastanza smaliziati, e venderti delle non verità per verità. Ci sono dei fili tra le persone e gli eventi. Uno di questi riguarda il gruppo Wagner utilizzato da Putin in Siria come terreno di addestramento e oggi, oltre che in Ucraina, in America latina, Iran, Iraq e Africa, ovunque serva curare gli interessi del neo tagliatore di teste del Cremlino. Il quale, dopo la Georgia e la Crimea, ha definitivamente rotto l’argine che separa la civiltà dalla barbarie. Senza conseguenza alcuna, anzi, con il privilegio di essere membro permanente con diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il che gli consente di giocare sporco e infischiarsene del diritto internazionale. Con Putin, la Federazione russa da autocrazia si è trasformata in semi dittatura e infine in una dittatura che conserva con ignominia un posto all’Onu. La beffa colossale che gli dà il diritto di aggredire un Paese indipendente, indire e attuare referendum truffa che dichiarano parte perpetua del territorio russo le due regioni del Donbas, occupate solo in minima parte da forze russe e filorusse, e le altre due, Zaporizhia, occupata solo a metà e Kherson, ripresa dagli ucraini. Una truffa con cui Putin ha inteso rendere non negoziabile l’annessione delle 4 regioni che non ha e spacciare per parte del “territorio della madrepatria russa” perché il rischio di perderle vale nel suo “diritto” come una “minaccia esistenziale”. Quei territori sono ucraini e Zelensky esclude un negoziato che non contempli l’integrità dei confini legali del suo Paese. Nel 2008, in un incontro con Bush, il capo del Cremlino disse: “Cos’è l’Ucraina? Per me non esiste”. Parole profetiche alla luce di quanto sta accadendo. L’Ucraina come la Cecenia, dove Putin si è allenato definendo i ceceni terroristi per giustificare i suoi crimini contro quel popolo e riuscendo a convincere l’Occidente che così fosse. Oggi definisce gli ucraini neonazisti per gli stessi ignobili motivi e scopre che c’è più di qualcuno a credergli. Zelanti filo putiniani nemici dell’occidente e pacifisti di maniera che disprezzano l’abnegazione e il coraggio con cui Zelensky e il suo popolo si battono per la libertà e augurano loro di perderla. Hanno dimenticato, costoro, che a Berlino c’era un muro e la gente cercava di scavalcarlo rischiando la vita? E cercava di scavalcarlo da là a qua, mai da qua a là. Hanno mai sentito parlare della macchina staliniana della morte, i gulag, che ha cancellato centinaia di migliaia di persone, o credono che le testimonianze dei sopravvissuti siano frutto della propaganda occidentale contro la Russia? “Ha stato la Nato!” Sanno, i nostri irenisti, che in Russia è stata inaugurata una nuova fase del terrore con i processi farsa ai dissidenti che avevano sottoscritto un appello per chiedere la liberazione di Vladimir Kara-Murza, colpevole di essere un pacifista? Questo capita a un pacifista della Federazione russa che ha espresso dissenso sulla guerra in Ucraina. Là il pacifismo è un crimine, qua è un corteo di individui di cui gli eticamente migliori sono degli illusi, gli altri hanno capito benissimo che fermare la guerra è possibile solo se gli ucraini si arrendono. E’ per questo che chiedono ai governi di fermare l’invio di armi all’Ucraina per privarli della capacità di difendersi, facendo il gioco di Putin. Il quale aspetta che si aprano crepe nell’Europa finora compatta nel sostenere il popolo aggredito con furia tribale dai suoi soldatacci. Pacifisti domestici, sovranisti ex gialloverdi e sinistri-sinistri uniti nell’odio verso l’America imperialista e colonialista non si sono accorti dei nuovi colonialisti in procinto di dare vita al mondo multipolare, che non sarà certo un idilliaco mondo di pace, ma il contrario. Lo spazio delle democrazie si è ridotto a vantaggio delle autocrazie e il poliziotto del mondo, gli Usa, intervenuto per l’ultima volta in Bosnia e contro l’Isis, troppo tardi, purtroppo, eviterà di mandare a morire i suoi soldati per stoppare le prepotenze future, come ha fatto, da prepotente, in passato, salvandoci il fondoschiena. Dovremo cavarcela da soli: combattere – la vedo dura – o arrenderci sperando nella clemenza del vincitore, la vedo altrettanto dura. Un pacifista vero, Ghandi, disse: “Credo che se l’unica scelta fosse tra codardia e violenza, io consiglierei la violenza”. Sono d’accordo. E a proposito di pacifismo: quali sarebbero i piani di pace cinesi e del Papa?

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