L’odissea dell’ex direttore di banca a Pozzallo. Riceviamo

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Cari lettori sono Giuseppe Iemmolo, ex Direttore della succursale di Pozzallo della Banca Agricola Popolare di Ragusa. Dal lontano 2011 vivo una vicenda a dir poco allucinante, non ancora definitivamente conclusa perché manca il pronunciamento sul risarcimento danni la cui udienza finale, in atto, è fissata per il 13 novembre 2023.

Di recente, in sede civile, precisamente il 13 dicembre 2022, il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Ragusa, ha dichiarato concluso il procedimento per il riconoscimento di due mensilità ed ha ritenuto la mia sospensione dal lavoro con privazione della retribuzione “illegittima” con condanna del mio ex datore di lavoro al pagamento anche delle mie spese legali in toto.

Tutto  iniziò  il giorno 3  giugno del 2011 quando quattro carabinieri, due in divisa e due in borghese, alle ore 8,35 entrarono nel mio ufficio e, “verbalmente”, mi dissero che da quel momento non potevo dirigere la Succursale di Pozzallo della Banca Agricola Popolare di Ragusa e non potevo erogare credito o svolgere attività connesse all’erogazione del credito. L’accusa era di usura aggravata, minacce ed estorsione in concorso. Venivo ritenuto dagli inquirenti l’intermediario tra gli usurai e le vittime. Così ebbe inizio il mio calvario.

Nel pomeriggio dello stesso giorno la banca fece un comunicato con il quale prese le distanze da me, anzi emise una sentenza di condanna pur essendo in possesso del provvedimento del G.I.P. completo delle denunce nelle quali erano indicate delle date, delle operazioni, dei fatti che, con tre semplici messaggi, potevano essere verificati e che avrebbero dato subito una risposta chiara sulla fondatezza o meno delle infamanti accuse. La Banca, nell’immediato, mi comunicò che prendeva atto del provvedimento del G.I.P. ma non decideva nulla sulla prestazione della mia attività lavorativa. La Banca aveva comunicato anche che nei miei confronti sarebbe stato adottato un provvedimento disciplinare ma, in tal senso, non hanno svolto alcuna attività.

Un mio diretto superiore, in occasione di un incontro, alla presenza di mia figlia, tenendo le quattro dita della mano destra in bocca, escluso il pollice, mi chiedeva, “cosa hai combinato?”

Resto a casa senza nessuna notizia.

Arriva il giorno dell’accredito degli emolumenti e del mio stipendio non c’è traccia. Chiedo conto per iscritto e leggo che non mi pagavano in quanto non potevano avvalersi della mia attività lavorativa.

Il fumoso processo penale viene celebrato. Emergono nella loro interezza tutti gli errori, le anomalie, la mancanza totale di indagini sul mio conto, la totale inesistenza delle operazioni indicate nelle denunce come prova contro di me, risulto assente per ferie in occasione di un fatto che veniva provato con documento.

In primo grado vengo assolto per non aver commesso il fatto. Si appellano due parti civili ed il P.M.. Il giorno 11 gennaio 2019, la Corte d’Appello dichiara inammissibile l’appello, confermando la sentenza di primo grado, condannando le parti civili al pagamento delle spese processuali. Giustizia era stata resa!

Peccato che qualche libero professionista, all’epoca, nei corridoi del tribunale, aveva sostenuto che contro di me esistevano delle prove schiaccianti.

Sul mio conto sono stati scritti dei commenti lesivi della mia immagine da parte di soggetti meritevoli di essere perseguiti in sede penale.

Rimaneva la parte civile. Quella davanti al Giudice del Lavoro si è chiusa il 13 dicembre 2022 e il dovuto mi è stato già riconosciuto. La Banca, nelle osservazioni, aveva sostenuto, fra l’altro, che non aveva potuto fruire della mia prestazione presso uffici di sede centrale in quanto non avevo capacità professionali per poter lavorare in uno dei vari uffici.

Per il risarcimento danni aspettiamo la conclusione del procedimento.

È stata dura. Mi è toccato lottare con tutte le mie forze. Devo riconoscere che sono stato difeso da bravi professionisti. Ammetto che le forze cominciano a mancarmi. La cosa che più di tutto mi preme sottolineare e che non ho lottato per avere i due stipendi non riconosciuti arbitrariamente, ma per contribuire in maniera tangibile affinché un arbitrio del genere non abbia più a verificarsi in capo ad uno solo dei lavoratori a prescindere del settore, delle mansioni, del ruolo.

Certo non le mando a dire:  la rabbia in corpo mi rimarrà. Mi resta soprattutto per il comportamento tenuto dagli addetti ai lavori, per la loro scarsa professionalità e, principalmente, per essersi fatti usare senza accorgersene. Sono stato messo alla gogna, qualcuno non si è fatto scrupoli a riportare delle notizie totalmente calunniose e, soprattutto, false (minacciare con una pistola i commercianti di Pozzallo).

Giuseppe Iemmolo

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