
E’ ancora possibile la poesia? C’è ancora speranza di poterne fare cenno, anche solo piccoli scorci? Andrò oltre: mi piace considerare la poesia come lo strumento di cui l’Antico dei giorni si è sempre servito per comunicare verità importanti attraverso i dettagli più minuziosi del vivere quotidiano, coinvolgendo tutto l’essere con afflati e ispirazioni profonde che sollevino l’animo. Già l’etimologia stessa del termine poesia mette in risalto il senso di creazione e trasfigurazione della realtà(anche tragica) in bellezza etica, più che estetica. Non può essere banale sentimentalismo di superficie, un soddisfare qualche senso, piuttosto è l’arte di toccare in profondità certe corde dell’animo umano rimaste in sordina per un tempo, probabilmente a causa delle distrazioni quotidiane che, soprattutto oggi, sembrano aver preso posizione e piantato bandiera tra i campi dell’umanità. E il tutto eleva vertiginosamente verso l’alto.
Allora, come è accaduto a me voglio tentare di suscitare nel lettore uno scorcio di poesiapartendo da una esperienza personale.
C’era questa chiesetta di modeste dimensioni all’interno di una casa padronale, di quelle d’altri tempi; nell’architrave, incisa sulla pietra corrosa dal tempo vi era scritta una data, 1784. Ho avuto l’onore per un giorno di custodirne le chiavi, anzi, la chiave della porta d’ingresso, una di quelle chiavi in ferro massiccio di cui non si ha più traccia da tempo, non più consuete, scomode. E come ne sentivo il peso..! Le chiavi di una volta non erano riprodotte in serie ma erano pezzi unici, preziosi; non ne servivano troppe, come oggi, e la loro funzione era rigorosamente legata ad uno scopo, necessitava di una responsabilità maggiore e nessuna porta veniva aperta senza uno specifico motivo. Ho realizzato quanto sia agli antipodi la società attuale, che si apre precipitosa alle novità e alle mode del momento ma sforna individui sempre più chiusi, come prigionieri in ambienti atoni, diffidenti verso chiunque. Non c’è più molto spazio per le cose che impegnano in profondità, nell’era del click digitale, dove la dialettica della responsabilità e dei legami risulta ormai prolissa e strumentale. Baumann diceva che “…i legami umani sono stati sostituiti dalle connessioni.Mentre i legami richiedono impegno, connettere e disconnettere è un gioco da bambini.” Ecco, un legame col passato con il presente ed il futuro, che in quel momento quella chiave rappresentava appieno. Un vero e proprio Archetipo pregno di significato, come può esserlo una penna, un altare o una nota libera per l’etere. Un legame profondo che l’essere umano necessita di riscoprire con la natura divina, prima, e di conseguenza con tutti gli uomini. Quanto èimportante saper custodire, nel tempo, ogni lascito prezioso, ogni eredità sana e sobria imparando, perché no, a chiuder battenti davanti a ciò che è superfluo e che non appaga se non per effimeri istanti. Ricordarci il nostro ruolo di pellegrini passeggeri nel mondo.
Ed ancora, se avessi perso quella chiave? Come avrei potuto farne realizzare un’altra e da quale fabbro, ammesso che ce ne siano ancora. Forse sarebbe convenuto rifare l’intera serratura che una chiave nuova, perché in fondo è pratica diffusa l’usa e getta, risparmiare tempo per poi perderlo in futilità. E se perdessi una password? Magari del profilo social o del conto in banca o dei molteplici siti ai quali hai accesso? Cosa temeresti di più? Recita un proverbio:“Il timore del Signore è il principio della scienza”,ma non lo ricorda chi teme un fantasma a tal punto da indossare una mascherina in auto, da soli. Se ne scorda pure chi ferma il tempo e resta col fiato sospeso, neanche in chiesa, in religiosa e profana aspettativa mentre gratta ma senza poi vincere nulla di più di un momento di vanità, rintascando altresì la moneta che avrebbe potuto dare al vicino bisognoso che nel frattempo chiedeva aiuto. Qualcosa sta prendendo certamente una piega storta se la paura e il sospetto e il distacco ossessivi hanno il sopravvento nella vita di coloro che hanno fatto, di quel proverbio antico, un modo di dire antiquato, dai più dimenticato.
Ecco, infine, sono pronto a riconsegnare la chiave, che viaggio! Do un’ultima, anzi due fermate; ogni giro soddisfa il mio udito, e mentre chiudo la porta considero l’ambiente che sto lasciando, un luogo solcato per secoli e mi pare di udire i passi e il vociare dei pellegrini in visita e resto un attimo sospeso: è proprio in quel passato considerato obsoleto e retrogrado, è davvero nei sentieri antichi di cui parlava un profeta inascoltato d’altri tempi, che resiste la chiave per ri-comprendere il futuro e ri-orientare la vita nostra e di chi ci circonda. Credo che oggi piùche mai ci sia davvero più gioia nel dare che nel ricevere.
Danilo Maci
1 commento su “Custodi d’altri tempi”
Egregio Maci,
Chi leggerà il suo articolo sopra le righe, si renderà conto del viaggio che stiamo facendo tutti quanti.