Trovato il relitto della nave Endurance a poco più di un secolo dal suo inabissamento. Con esso riaffiora il ricordo di una delle più grandi avventure della storia.
E’ recente la notizia del ritrovamento della nave Endurance a circa tremila metri di profondità, nel mare di Weddell. Lo storico scafo era partito nell’Agosto 1914 alla volta dell’Antartide, per una missione senza precedenti guidata dall’esploratore britannico Ernest Shackleton.
Una missione estrema quella di Shackleton e del suo equipaggio di ventisette uomini che, a bordo della nave Endurance e col supporto di una seconda nave, l’Aurora, voleva esplorare il vasto ed enigmatico continente antartico. L’idea era quella di approdare alla baia di Vahsel, nel mare di Weddel(Oceano Atlantico), e da lì proseguire via terra per quasi tremila chilometri fino al mare di Ross(Oceano Pacifico), con il solo ausilio di alcune slitte trainate da cani ben addestrati. Tuttavia, lasciata la costa di Plymouth il 9 Agosto, l’Endurance affrontò ben presto le prime difficoltà dovute all’ispessimento della banchisa tanto che, a circa ottanta miglia dalla meta, il ghiaccio circondò del tutto l’imbarcazione, trascinandola alla deriva del pack per dieci mesi per poi, infine, stritolarla e inabissarla del tutto nel Novembre 1915. L’equipaggio si salvò, ma fu costretto a vivere per mesi accampato tra i ghiacci, con pochi viveri e con temperature che oscillavano tra i -22 e -45 gradi. Il 9 Aprile 1916, in condizioni meno ostili, tutti riuscirono a salpare per l’isola di Elephant, nelle Shetland Meridionali, a bordo di tre scialuppe recuperate in precedenza dalla nave. Giunti sull’isola, Shackleton lasciò l’equipaggio e con altri quattro uomini ripartì su una scialuppa di sette metri, riparata di fretta e alla meno peggio con grasso e sangue di foca, percorrendo altri milleseicento chilometri attraverso uno dei mari più inospitali al mondo per raggiungere una stazione di balenieri nella Georgia del Sud. Da qui, dopo essersi rifocillato ed aver recuperato le forze, Shackleton organizzò presto le operazioni di soccorso, impegnandosi in prima persona nella ricerca dei fondi necessari al viaggio. L’Inghilterra si era infatti espressa negativamente sulla possibilità di concedere aiuti nel breve tempo, a causa della guerra mondiale in corso; ma non si poteva aspettare e, trovati dei sostenitori privati, dopo ulteriori mesi di navigazione impervia riuscì a raggiungere il resto del suo equipaggio rimasto ad aspettare sull’isola di Elephant, quasi allo stremo delle forze: nessuno di loro morì. E la storia non termina, perché di lì a breve, in un altro capitolo della sua vita(che invito i lettori ad approfondire), Shackleton ripartirà per un altro salvataggio, recuperando in estremo gran parte dell’equipaggio della nave Aurora, anch’esso rimasto intrappolato tra i ghiacci per quasi due anni.
Alla luce del tempo storico che stiamo vivendo, riscoprire la biografia e la vita di persone come Shackleton reca con sé qualcosa di poetico: in qualunque momento il famoso pioniere avrebbe potuto mollare, rinunciare alla missione di salvataggio; chi lo avrebbe biasimato, in fondo, dopo le atroci difficoltà e le peripezie affrontate. Eppure, il recente ritrovamento dell’Endurance ai limiti del mondo, sembra voglia far riemergere dagli abissi della nostra anima verità importanti e quasi sopite, quali il valore del sacrificio e dell’abnegazione, virtù indiscusse di chi è ancora capace di rinunciare a sé ed al proprio egoismo per il bene e per la vita altrui.
Danilo Maci
1 commento su “L’epoca dei pionieri: l’eroismo di Shackleton..di Danilo Maci”
Articolo bellissimo, che inquadra perfettamente lo spirito e la tempra di Shackleton. Con tutta probabilità, la notizia più completa che esalta le qualità del “boss” oltre che lo straordinario ritrovamento. Complimenti!