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Premio del Centro Lunigianese Studi Danteschi a Domenico Pisana

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Premio alla carriera al Presidente del Caffè Letterario Quasimodo di Modica, Domenico Pisana. Ad assegnarlo è stato il Centro Lunigianese di Studi Danteschi nell’ambito della XIV Edizione del “Premio Internazionale di Letteratura per la Pace Universale “Frate Ilaro del Corvo”.
La commissione, composta da Giuseppe Benelli, Presidente dell’Accademia Lunigianese di Scienze ‘G. Capellini’, da Hafez Haidar, Direttore del Premio e docente dell’Università di Pavia, Francesco Corsi della Casa Editrice ‘Artingenio’, Alessia Curadini, Direttore del Museo ‘Casa di Dante in Lunigiana’, Bruna Gambini del Circolo Culturale ‘Il Porticciolo’ e Mirco Manuguerra, Presidente del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, aveva già deliberato la decisione il 15 dicembre del 2021, e in questi giorni ha inviato il Premio all’interessato.
Il bando prevedeva un Primo Premio in denaro per silloge poetica edita, un Primo premio in denaro per poesia singola edita o inedita, un Premio alla carriera con Medaglia d’oro e un Premio speciale alla cultura con Medaglia d’oro. Domenico Pisana è stato insignito della Medaglia d’oro con pergamena dove è scritta la motivazione del Premio:
“Per l’impegno di professore di Religione, sempre condotto nell’affermazione dei Valori Universali della cultura cristiana, e per l’opera poetica, ugualmente tesa a fissare nelle menti disorientate di oggi i principi etici del vivere comune”.

1.Domenico Pisana, lei in diverse occasioni è stato insignito di riconoscimenti come scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, docente. Quali di questi ruoli gli è più congeniale?

Mi permetta, intanto, di ringraziare il Presidente del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, Mirco Manuguerra, e il Direttore Hafez Haidar , già candidato al Premio Nobel per la Pace, per questo Premio di cui mi sento onorato. In oltre un trentennio ho sicuramente, come lei dice, svolto un’attività in vari campi della cultura, ma ciò che maggiormente mi affascina e mi è più congeniale è la poesia. Mentre, infatti, sul piano saggistico, critico, teologico, giornalistico si può agire se si hanno delle competenze specifiche nonché degli strumenti per poter ricercare, studiare, interpretare testi, senza tuttavia essere un artista, con la poesia il discorso è diverso, perché la poesia è arte, è un portare una cosa dal non essere all’essere direbbe Quasimodo; l’arte, l’artistico è atto di genialità, è produrre, “creare il bello” , e la poesia, che deriva da poiein, è proprio una nuova creazione, è un attingere alla radici dell’autocoscienza, è un farsi pensiero rivoluzionario e dissidente , soggettività critica e creatrice rispetto alla “cosificazione” dell’uomo e all’imperante processo di “de-umanesimo” della società tecnocratica.
E’ la poesia. dunque , che mi fa avvertire maggiormente dentro il senso del “creare”, proprio perché essa si esprime in una data terra e in un dato contesto sociale con una parola che è efficace non semplicemente perché suscita emozioni, ma perché si situa nel contesto in cui si esprime come “dabar”, parola ebraica che indica una “creazione”, un disegno che si deve realizzare, indica non una ripetizione, una “imitazione”, ma una “nuova esistenza”, una “nuova umanità”. Con la poesia, insomma, tu apri uno “spazio di domanda”, uno spazio aperto, dove il lettore, come in un’agorà, può entrare e uscire, lasciarsi contaminare o rimanere indifferente.

2. Nella motivazione del Premio si parla del suo “impegno di professore di Religione, sempre condotto nell’affermazione dei Valori Universali della cultura cristiana”. Come si decide di diventare docente di religione? Un ruolo che ritengo fondamentale e particolarmente difficile in questi nostri travagliati giorni.

La scelta di diventare docente di religione è maturata all’interno di un progetto di vita nel quale la fede cristiana cattolica ha avuto un’ incidenza culturale, formativa ed esperienziale molto incisiva nella mia esistenza di uomo e di credente, tant’è che i miei studi teologici, conclusisi con il Dottorato presso l’Accademia Alfonsiana di Roma, mi hanno aperto la strada all’insegnamento della Teologia negli Istituti di Scienze Religiose e della religione nella scuola, ove ho svolto la mia professione docente puntando molto alla funzione educativa. L’insegnamento della religione nella scuola italiana non è infatti catechesi, ma un insegnamento culturale che tende a formare lo studente in tutta le componenti della sua personalità: culturali, sociali, morali e religiose nel quadro delle finalità della scuola. Ho creduto molto nell’insegnamento di questa disciplina, spesso osteggiata in modo pregiudiziale, ed è stato proprio questo che mi ha indotto all’inizio della mia attività di docente ad essere socio fondatore dello Snadir e dell’Adierre, un sindacato e un ‘associazione di formazione di carattere nazionale dove tutt’oggi do un mio contributo; si tratta di due realtà guidate dal prof. Orazio Ruscica, cresciute notevolmente negli anni e che hanno profuso un costante impegno per tutelare la dignità della disciplina e di coloro che la insegnano, raggiungendo risultati di cui si può essere soddisfatti, ma che necessitano ancora di essere implementati.

3. Quali sono le domande che i giovani si portano dentro e quale è stata la domanda più emozionante fatta da un giovane studente?

Il mondo dei giovani è molto complesso e articolato. Ho insegnato quarant’anni , e posso dirle che in tutte le generazioni che si sono succedute le domande sono state tantissime, e riguardanti aspetti etici, filosofici, antropologici; in particolare le domande più insistenti hanno riguardato l’esistenza di Dio e il male nel mondo, e la morale sessuale nell’età dell’adolescenza. Nel mio lavoro con i giovani ho sempre tenuto conto di una bella immagine che prendo dal grande Giacomo Leopardi, il quale nello Zibaldone,1817/32 (postumo 1898/1900) affermava: “Il gran torto degli educatori è il volere che ai giovani piaccia quello che piace alla vecchiezza o alla maturità, che la vita giovanile non differisca dalla matura, di voler sopprimere la differenza dei gusti e dei desideri; di volere che gli ammaestramenti, i comandi e la forza della necessità suppliscano all’esperienza”.
C’è qui una grande lezione sull’educazione! Leopardi ci dice quale è l’errore che può compiere un adulto nella relazione educativa: volere gli altri, gli educandi a propria immagine e somiglianza. Se oggi un docente, tanto per fare un esempio, è, a differenza dei giovani, distante dai social, da Facebook, dalla tecnologia e pensa che nel suo processo educativo tutto questo sia inutile, se un educatore vuole, come dice Leopardi, che “la vita giovanile non differisca dalla matura” , minimizzando o addirittura disprezzando “la differenza dei gusti e desideri”, questo è un adulto che deve – diremmo noi oggi – mettersi in discussione, che deve fare una ponderata riflessione per una “ri-comprensione” della propria azione educativa. In fondo quel che io ho messo in campo nel dialogo educativo con i giovani è stato sempre il “mettermi in discussione” sul piano del metodo dialogico, cercando di far loro comprendere il valore della vita e il suo rapporto con la Trascendenza, la fede religiosa e il senso della cittadinanza attiva.

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