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Flai Cgil Ragusa: “Il settore agricolo e la manodopera”

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La classe imprenditoriale agricola nostrana non ha ancora subìto lo shock della necessità che, se persisterà il modello sin qui prevalente, rischia di spegnere tutto. “Dobbiamo assumere la consapevolezza – dice Salvatore Terranova, Segretario Generale Flai Cgil Ragusa – che siamo situati in un promontorio della storia che ci impone una “nuova visione” e un “nuovo armamentario culturale”, necessari affinché il grande universo agricolo del territorio possa arrivare ad essere non più ciò che è stato, rendendosi capace di mettere in equilibrio intelligente i produttori, lavoratori e agenzie che commercializzano i prodotti”.
L’impressione che di questo territorio, almeno per chi vive lo quotidianamnete, si ha è quello di attardarsi su impostazioni produttive e lavoristiche che, se prolungate ancora nel tempo, potrebbbero determinare la sua implosione, nel senso che non potrà dare e realizzare neanche le finalità eslusivamente imprendotoriali che si propone.
“Da tempo e in questi anni il nostro modesto lavoro di organizzazione sindacale è stato imperniato sul presupposto che una dimensione produttiva è ricchezza per il territorio se essa incide positivamente sui fondamentali generali, se cioè riesce a suscitare e dare speranze di miglioramenti sociali ed economici a tutti, e non solo alla minuscola parte detentrice del capitale, e garantisce la sostenibilità ambientale dei processi produttivi”.
La produzione, anche eccellente, in questo territorio stenta a creare condizioni di crescita sociale, a partire innanzittutto dalla manodopera, e a maturare una nuova sensibilità sulla grande questione ambientale, di cui l’agricoltura è una delle diverse concause concorrenti. Oggi modernizzare la produzione deve significare ottimo prodotto, rispetto dell’ambiente e retribuzione adeguata.
Col modello vigente, che ha subito mutamenti per adeguarsi nel tempo alle diverse concezioni della produzione, la ricchezza -purtroppo- si ferma ad una soglia al di sotto della quale non fornisce niente. E anche laddove si assiste, oggi, ad nuove forme di organzzazione della feliera e della produzione, sia con accorgimenti di natura dimensionale che di economia di scala, di modelli organizzativi consortili interprovinciali e/o interregionali, il paradigmna non cambia: al centro di tutto permane il postulato che le dinamiche retributive vanno sempre contenute e mai fatte crescere. Anzi! E questo non è un bene, né un punto positivo. Nè può essere adesso un punto di partenza.
“Necessita un cambiamento – aggiunge Terranova -. Abbiamo e stiamo lavorando perché in agricoltura e nella sua filiera le aziende agricole più imortanti diano un segnale di apertura, grazie al quale rimodellare complessivamente un assetto produttivo che è vessato dalla questione “retributiva” e della “sostenibilità ambientale”. La questione retributiva, caratterizzata da salari troppo bassi in agricoltura, ha costituito e costituisce il vulnus sociale e culturale del mondo agricolo e debba rappresentare il punto di svolta, che passa da una armoniosa rappresentanza delle tantissime funzioni che attraversano le aziende agricole del nostro territorio.
Ci siamo sempre più convinti che l’imprenditore agricolo che imposti la sua attività produttiva partendo dal paradigma che debba contenere verso il basso il salario dei braccianti e che non abbia obblighi verso le esternalità negative prodotte dal suo operare anche sull’ambiente, oggi si situi su un piano di considerazione non pià degna della cultura e della civiltà.
Una nuova consapevolezza è ciò che questo territorio a forte vocazione agricola ha bisogno. E paradossalmente questa direzione lungo la quale giungere ad una nuova maturità produttiva può venire non da chi impronta la propria attività sul capitale, ma da chi quotidianamnete fa emergere un limite nella struttura dell’intrapresa, rappresentato da un salario molto al di sotto dei parametri contrattuali e dalle consegunze dannose per l’ambiente che da quel modello derivano.
La questione “retributiva” è il filo rosso che attraversa permanentemente il tessuto produttivo di questo territorio ed è anche lo “strumento” che, se ben gestito, apre possibilità di ridefinizione della cultura complessiva della imprenditorialità. La retribuzione, quella giusta, è indice di cambiamento di mentalità ed è anche agente di crescita della socialità e del miglioramento della società.
L’agricoltura a Ragusa e nel suo territorio dovrà ascendere a strumento produttivo in grado di contribuire alla realizzazione della sostenibilità ambientale da un lato e alla dimensione della cittadinanza dall’altro.
Se molti lavoratori agricoli oggi, come ieri, guadagnano poco, se a fine mese portano a casa un salario non sufficiente ad una vita dignitosa, pur lavorando intensamente e faticosamente, è certo che siamo davanti ad una organizzazione della produzione che non tiene tutti gli attori nel giusto rispetto. E questo determina, ne vediamo quotidianamente gli effetti, uno scenario sociale che non può essere racchiuso entro elementi di civiltà.
La crescita complessiva avutasi nelli anni 70-80 – continua il sindacalista – ebbe come elemento propulsivo e propulsore il fatto che la crescita della produttività prevedeva un incremento dei salari, creando condizoni di miglioramenti sociali e civili. Da che si è arrestata la crescita dei salari assistiamo ad una regressione del mondo del lavoro in generale, che a sua volta determina un rinculo della società.
Sta diventando sempre più impellente, e le coscienze più accorte lo stanno preavvertendo, che le aziende più grandi debbano aprirsi, in questo territorio, al confronto con le parti sindacali per ripensare nel suo insieme il rapporto che esse hanno con i loro dipendenti, cui debbono riconoscere non più procratinabile l’ipotesi di una ridefinizione in aumento del monte-salario mensile, percependo che da questo obbligato oramai passaggio passa anche una idea lungimirante di tenuta generale del sistema produttivo.
Noi stiamo tentando – conclude – di avvicinare attorno al tavolo del confronto i soggetti che, in maniera diretta o indiretta, potranno diventare gli agenti di una nuova alleanza tra produzione e lavoro, nel pieno rispetto della dinimiche ambientalii e sociali. La parte più aperta e più illuminata del mondo imprenditoriale dovrà intestarsi questa sfida di futuro, che dovrà far parte della storia. E’ un obbligo di natura morale e sociale cui questi non potranno più sottarsi. Se lo hanno fatto prima, non potranno più continuare a farlo. Anche loro si travano davanti ad uno sbocco, che si impone.
Va ripensato tutto il modello oggi in voga, dal ruolo dello Stato a quello dell’impresa, vanno riviste le regole che soprantendono alla commericializzazione e vendita dei prodotti nei mercati”.

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