Il Pm ha richiesto il rinvio a giudizio per l’indagato, ritenuto unico responsabile dell’incidente costato la vita alla 52enne dipendente comunale di Ragusa.
Procedeva tranquillamente per la sua strada, a una velocità moderata, ben al di sotto dei limiti, agganciata alla cintura di sicurezza, attenta e scrupolosa come sempre. Purtroppo non le è bastato: la sua unica “colpa” è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Al termine delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero della Procura di Ragusa, dott. Francesco Riccio, titolare del procedimento penale per il reato di omicidio stradale per la tragica morte, a soli 52 anni, della ragusana Stefania Di Maria, ha chiesto il rinvio a giudizio per il conducente del furgone che, invadendo la corsia opposta in corrispondenza di una curva, ha causato il terribile incidente: si tratta di A. D., 54 anni, di nazionalità albanese, residente a Santa Croce Camerina. Riscontrando la richiesta, il Gup del tribunale, dott.ssa Eleonora Schininà, ha dunque fissato per il 6 ottobre 2021, dalle 9, l’udienza preliminare di un processo dal quale i familiari della compianta dipendente comunale del Comune di Ragusa, che sono assistiti da Studio3A, si attendono giustizia.
Il Sostituto Procuratore, per fare piena luce su dinamica, cause e responsabilità del tremendo scontro frontale successo l’11 agosto 2021, alle 17.40, sulla Strada Provinciale 60 Ragusa-Malavita-Santa Croce, al Km 14+100, ha disposto anche una perizia cinematica incaricando come proprio consulente tecnico d’ufficio l’ing. Roberto Piccitto, le cui conclusioni non lasciano spazio a dubbi: il sinistro è stato determinato esclusivamente dalla condotta di guida del cinquantaquattrenne che, procedendo in direzione Ragusa, a causa dell’eccessiva velocità tenuta in prossimità di una curva, ha perso il controllo del suo Fiat Scudo e ha invaso la corsia opposta dove sopraggiungeva la Renault Modus della Di Maria, che nulla avrebbe potuto fare per evitare il fatale urto.
Sulla scorta di queste risultanze, il magistrato ha quindi chiesto il processo per A. D., a cui si imputa “colpa consistita in imprudenza e negligenza, nonché violazione delle norme che regolano la circolazione stradale” per citare l’atto del Pm. E’ infatti emerso che il conducente del furgone viaggiava a 84 km/h a fronte di un limite di 50, e che per di più non ha regolato la velocità del suo mezzo “in un tratto di strada in curva e con restringimento stradale, regolarmente segnalati”. Il risultato di queste violazioni è tristemente noto: giunto in prossimità di una curva sinistrorsa, l’indagato ha perso il controllo dello Scudo che ha sbandato verso sinistra, ha superato la linea di mezzeria e ha travolto la Renault condotta dalla vittima, che procedeva, puntualizza il Sostituto Procuratore, “con la cintura di sicurezza allacciata, nell’opposto senso di marcia alla velocità di 36 km/h”.
Un comportamento “immacolato” che non le è stato sufficiente per salvarsi: il Ctu ha evidenziato che, dall’istante in cui nel suo campo visivo è apparso il pericolo, costituito dall’autocarro che aveva invaso la sua corsia, Stefania “aveva a disposizione solo 1/2 secondi e non avrebbe potuto attuare alcuna manovra d’emergenza sterzando a sinistra”. E nonostante l’andatura moderata tenuta, l’impatto è stato devastante: il furgone ha fatto ruotare in senso orario la vettura trascinandola all’indietro per più di 11 metri. Estratta dalle lamiere contorte di quel che restava della sua macchina dai vigili del Fuoco, la donna è stata trasportata in condizioni disperate dall’ambulanza del 118 all’ospedale Giovanni Paolo II di Ragusa, dove è deceduta dopo 9 giorni di agonia, il 20 agosto 2020, a causa dei gravissimi politraumi riportati, “nonostante le cure adeguate ricevute dai sanitari” puntualizza infine il dott. Riccio.
La sorella e la mamma di Stefania Di Maria, per essere assistite, attraverso il consulente legale Salvatore Agosta si sono affidate a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nella tutela dei diritti dei cittadini, e confidano che la loro cara e la sua memoria ricevano una risposta adeguata dalla giustizia penale.