
Continua il batti e ribatti tra il primo ministro Narendra Modi e il social media californiano Twitter. Il gigante americano ha dato vita a una lite senza possibilità di vittoria con l’amministrazione Modi, che da tempo gli sta chiedendo di occuparsi di oltre 1.100 account e post, che il governo sostiene siano contro le riforme approvate dal governo indiano sull’agricoltura, diffondendo disinformazione, istigando alla rivolta gli agricoltori, scesi in massa a protestare nelle strade di Delhi. Modi è convinto che le poteste siano fomentate e gestite da gruppi anti-pakistani e dal movimento separatista Sikh. Il governo la scorsa settimana ha giocato duro, inviando un avviso di non conformità a Twitter, minacciando i suoi dirigenti che rischiano, se condannati dal tribunale, pene detentive fino a sette anni e multe salatissime se i contenuti non vengono bloccati. Twitter dal canto suo ha affermato di aver sospeso più di 500 account, coinvolti in apparenti casi di manipolazione della piattaforma, spam e di averne geo bloccati altre centinaia, per aver violato le regole relative all’incitamento alla violenza e agli abusi. L’india sostiene che il social media statunitense aveva un accesso limitato agli account, affermando che “la libertà di stampa non include la libertà di diffondere disinformazione”. Mentre Twitter si difende affermando di non aver agito nei confronti degli account gestiti da mezzi di informazione, giornalisti, attivisti ed esponenti politici. Come si ricorderà migliaia di contadini si erano accampati per mesi alla periferia di New Delhi chiedendo il ritiro delle nuove leggi sull’agricoltura che a loro avviso li vedrebbe fortemente penalizzati. Al contrario Narendra Modi sostiene che le riforme aprono nuove ampie opportunità per tutti gli agricoltori indiani. Novità, innovazione e sviluppo, evidentemente non sono visti di buon occhio nell’immenso e produttivo stato asiatico.













