
Sette mesi di maltrattamenti e angherie con fratture, tumefazioni all’anca e al ginocchio e perfino «il taglio di una parte dell’orecchio», tre referti medici che certificano violenze indicibili e la madre che «per due volte porta il suo bimbo bisognoso di cure al pronto soccorso di Noto e poi si allontana dall’ospedale». Di fatto abbandonandolo.
Sono inquietanti le carte d’inchiesta sulla morte di Evan Giulio Lo Piccolo, il bambino di 21 mesi ucciso a botte dalla madre Letizia Spatola e dal compagno Salvatore Blanco.
Carte che, oltre a raccontare come il piccolo abbia vissuto un incubo lungo sette mesi, evidenziano come in molti (a cominciare dal personale sanitario che lo aveva avuto in cura) fossero a conoscenza di violenze e soprusi ma nulla abbiano fatto per impedire che i maltrattamenti continuassero. Il sostituto procuratore Donata Costa che coordina l’inchiesta nei capi d’imputazione, messi nero su bianco per eseguire l’autopsia, parla di «reiterate aggressioni fisiche» che madre e compagno avrebbero inferto al piccolo Evan.
Nel capo d’imputazione il pm evidenzia come queste violenze non fossero estemporanee come, invece, si era creduto in un primo momento. Ma siano state «reiterate nel tempo». Il magistrato che coordina l’inchiesta ipotizza un inizio «a febbraio 2020» e una fine «il 17 agosto» quando il piccolo Evan muore. È possibile che in sette mesi nessuno tra medici, carabinieri, polizia e servizi sociali si sia accorto delle angherie che subiva il piccolo nonostante le segnalazioni di nonni e papà da Genova?
«È incredibile – dice il padre Salvatore Lo Piccolo assistito dall’avvocato Federica Tartara – che mio figlio sia morto in questo modo. Vogliamo giustizia per quello che è successo».
la versione integrale dell’articolo si può leggere sull’edizione cartacea o nell’edicola digitale
Gli esiti dell’autopsia eseguita mercoledì dal medico legale Maria Francesca Belich, nominata dalla Procura di Siracusa, sul corpicino di Evan Giulio Lo Piccolo, il bambino di 21 mesi di Rosolini, deceduto dopo essere stato trasportato in gravi condizioni al Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore di Modica, hanno confermato la morte per un trauma cranico. Sul corpo erano presenti molti lividi, anche riferibili alle settimane scorse, compatibili con le percosse.
Il minore avrebbe subito sette mesi di maltrattamenti e angherie con fratture, tumefazioni all’anca e al ginocchio e, perfino, il taglio di una parte dell’orecchio. Ci sarebbero tre referti medici che attestano pesanti violenze. La madre per ben due volte ha portato il suo bimbo bisognoso di cure al pronto soccorso di Noto, poi allontanandosi.
Sono inquietanti le carte d’inchiesta sulla morte di Evan che sarebbe stato ucciso a botte dalla madre, Letizia Spatola e dal compagno di questa, Salvatore Blanco, entrambi ora richiusi nelle carceri di Siracusa e Messina.
Carte, come scrive Tommaso Fregatti in un articolo su “Il Secolo XIX”, che “oltre a raccontare come il piccolo abbia vissuto un incubo lungo sette mesi, evidenziano come in molti (a cominciare dal personale sanitario che lo aveva avuto in cura) fossero a conoscenza di violenze e soprusi ma nulla abbiano fatto per impedire che i maltrattamenti continuassero”. Il sostituto procuratore Donata Costa che coordina l’inchiesta nei capi d’imputazione, messi nero su bianco per eseguire l’autopsia, parla di «reiterate aggressioni fisiche» che madre e compagno avrebbero inferto al piccolo Evan.
Nel capo d’imputazione il pm evidenzia come queste violenze non fossero estemporanee come, invece, si era creduto in un primo momento. Ma siano state «reiterate nel tempo». Il magistrato che coordina l’inchiesta ipotizza un inizio «a febbraio 2020» e una fine «il 17 agosto» quando il piccolo Evan muore. È possibile che in sette mesi, nessuno tra medici, carabinieri, polizia e servizi sociali si sia accorto delle angherie che subiva il piccolo nonostante le segnalazioni di nonni e papà da Genova?
«È incredibile – dice il padre Salvatore Lo Piccolo assistito dall’avvocato Federica Tartara – che mio figlio sia morto in questo modo. Vogliamo giustizia per quello che è successo».