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La silloge “Namasté” di Juljana Mehmeti, poetessa albanese

Poesia di solida consistenza quella di Juljana Mehmeti, e poggiata su un corpus lirico intenso e fortemente ancorato ad un pensiero filosofico dal quale emergono domande sulla vita, il problema della conoscenza e, in particolare, la meraviglia circa il senso delle cose e del nostro proiettarci verso l’Infinito.
L’itinerario poetico di Juljana Mehmeti, nata nella città di Durazzo, in Albania, si snoda con rilevante forza espressiva già a partire dalla sua prima raccolta, “Soft – Poesie”, pubblicata in lingua italiana, e alla quale hanno fatto seguito la raccolta di poesie “Oltrepassare” pubblicata a Tirana – Albania dalla casa editrice Ada, e la silloge poetica in lingua inglese “ In his light”, pubblicata in Olanda dalla casa editrice Demmer Pres a luglio 2019.
Con questa nuovo libro di poesie, dal titolo Namasté, la poetessa affina ulteriormente il suo linguaggio lirico ricorrendo ad una versificazione connotata dal quel “senso dell’intus-ire”, cioè dell’entrare dentro la realtà e la vita nella sue articolazioni più variegate, rimandando ad una inquietudine, ad uno sgomento che nasce dall’angoscia nei confronti del dolore, del male, della vita e della morte, della materia e dello spirito, dell’anima e del corpo, nonché da quel “ divenire incessante di ogni cosa, – direbbe Emanuele Severino – e dell’annientarsi di tutto ciò che appare”.
Già il titolo della silloge è in sé una dichiarazione di poetica che rivela come l’autrice consideri la propria finitudine umana non un limite ma l‘apertura ad un Altro che diventa essenza di completezza; namasté è, infatti, un termine che affonda le sue radici nella cultura indù e che evoca atteggiamenti di reciprocità e relazionalità fondamentali per una società civile, quali il rispetto, la riverenza, il saluto, il riconoscimento della diversità. Del resto, la stessa copertina del volume né è una espressione semantica, atteso che l’immagine ci offre un messaggio nel quale la figura sta ad indicare proprio il “namas”, ossia quell’essenza di spiritualità che si esprime in quel gesto delle mani in preghiera, le quali sono interpretabili come riduzione dell’egocen-trismo e manifestazione di un atteggiamento di umiltà rispetto ad una presenza divina che è in noi e che è negli altri. Il “namas” – in questa raccolta – sembra esprimere quel “niente di mio”, che relativizza l’ego per “inchinarsi” in preghiera, riconoscendo umilmente il Divino. ”
Juljana Mehmeti annoda i suoi sentimenti interiori dentro un linguaggio “epistemico” originale, e i suoi versi tendono non ad elaborare concetti o descrizioni, ma a dire e non dire; nelle sue poesie le parole, le cose, il pensiero, gli oggetti e le figure sono e non sono nel contempo; sono quel che appaiono ma rimandano ad altro; sono analogiche, connotativi e denotativi, allusivi e “ri-creativi”; sono simbolici e rimandano anche a qualcos’altro d’indeterminato, ad un “oltre”, ad un “inaccessibile”, ad un “indecifrabile”, al mistero, come, del resto, è già evidente nella lirica di apertura e che dà il titolo a questa raccolta:

Sono,
parte dell’universo infinito,
una particella lanciata tra i paralleli piegati,
di quel mondo vestito di sfumature di luce
affondato di nuovo tra ricordi oscuri,
al senso dell’esistenza tra i confini della vita
e il subconscio giunto tra le parole non dette,
immersa
in quella visione che mi riveste di blu,
l’eternità
del creatore che unì corpo e anima
con la benedizione degli angeli,
in tracce di sangue e dolori crocifissi. …
(Namasté)

La poesia di Juljana Mehmeti non è certo filosofia, ma la contiene come “ domanda sull’esistenza”, come stupefazione per ciò che esiste, muta, diviene, si trasforma, si abbellisce e si distrugge, e come “meraviglia” per ciò che ci circonda; l’autrice riesce a trasfigurare la realtà e i sentimenti della vita con una versificazione che, evitando la narrazione, indirizza lo sguardo su un “più in là” di montaliana memoria che gli altri non intuiscono, offrendo così ai suoi lettori creazioni poetiche come realtà universale.
La Mehmeti è, insomma, “un’anima migratoria” che si dibatte nell’“inevitabile confronto tra il Se e il pensiero”; che vive “l’estasi del rinnovamento” attivando circuiti comunicativi interiori ove l’inconscio si perde dentro spazi vuoti e nella lettura del Mistero all’interno di “riflessi stellari” e prospettive memoriali:

Girovaghiamo,
tra il nulla e l’infinito,
scie di impronte passate,
particelle nell’eternità. …
Sempre più lontani per capire il confine…
(Oltrepassare)

Le poesie di questa raccolta si dispiegano come una sorta di dialogo della poetessa con se stessa e con un “Tu” che si fa parola, sentimento, azione, incanto, emozione: “Noi due, / due archi di un ponte…, / due colori dell’arcobaleno, / una poesia.”, in Noi due ; e così, monologo e dialogo disegnano l’orizzonte di una “noità” che rifulge di silenzi, di sguardi, di espressioni d’anima che parlano d’amore, di nostalgia, di desideri “inebriati dal fascino del tramonto infuocato”:

… Tra i riflessi della luna
nell’oceano della nostalgia, ci incontriamo,
dove …tu, come una stella scendi,
disseti le labbra
e io, l’onda innalzata…
Sorseggiamo il mare in coppe di desideri,
inebriati dal fascino del tramonto infuocato.
Sulla battigia dell’anima, c’è la nostra impronta.
…torneremo ancora.
(Noi due)

Voce di donna, quella di Juljana Mehmeti, dalla cifra stilistica complessa e dall’eloquio lirico a tratti ermetico a tratti simbolico, che offre la rappresentazione “vera” di sentimenti autentici e non immaginari o retorici; tutto il suo percorso lirico è una trasfigurazione del reale con il ricorso ad un linguaggio che scava dentro la sua coscienza per farsi poi coscienza universale; e, così, quella “malinconia strisciante del tempo che passa” – come dice la poetessa in un verso de I giorni della clessidra – non è il “male di vivere” montaliano, né la “morte” di Ungaretti, bensì la presa d’atto di una fragilità dell’ontologia dell’uomo, ossia quella del vivere il tempo come un inganno e con la consapevolezza di una costante scissione della propria soggettualità: “…La Clessidra di vetro, ho capovolto in giù, / come un calice di vino senza nessun gusto, / rimasta reliquia dell’attesa sospesa, / che riempie il deflusso dello svuotamento , nel silenzio delle labbra…./ un sorso di tempo, da bere”, in I giorni della clessidra.
La forza di questo libro è tutta nella sua allusività, nella sua concentrazione metonimica e nella decifrazione della “totalità umana infranta” che connota il cammino dell’esistenza, ove tutti si agitano in cerca di sensazioni senza sapere cosa li angoscia, percepiscono la schiavitù dei sentimenti “che si accendono e si spengono tra gli spazi deserti della delusione”, e si trascinano nell’inganno come “un viaggatore in un’isola abbandonata / dove solo il mare tuona l’eco delle onde…”, in Crocifisso al perdono.
C’è , senza dubbio, in questa raccolta una circolarità di pensiero e di sentimenti che si fa messaggio di un’esistenza attraversata da distonie e sguardi di stanchezza, momenti di solitudine e vuoti d’anima, “parole… mute” che si congelano “sulla dura soglia della delusione” e “False illusioni di chiarore / tra il buio della stanza / e la nebbia dei pensieri…”, in Ombre; ed ancora, un’esistenza caratterizzata da “Grigie sensazioni d’inquietudine”, “affanni notturni” e “infiniti desideri incolmabili” che scorrono nelle pieghe di un dialogo-monologo interiore:

Noi parlammo a lungo …
tra gli sguardi dispersi nella nebbia
dietro a quel velo misterioso
nascosto tra le ciglia bagnate,
con lo sguardo lontano.

Noi tacemmo a lungo,
tra i respiri ostacolati del tempo sfortunato,
sotto il cielo tormentato
e gli occhi lacrimanti della luna
in questo universo notturno …!
(L’universo della notte)

Di qui il costante tono alto, di palpito meditabondo, di tutta la raccolta di Juljana Mehmeti, che sa conferire alla sua poesia anche accenti autobiografici dove il “tu” si fa legame con un Infinito e dove brilla una visione dell’amore (Si legga la poesia Come Salambo) che “fluisce tra i cieli / in strisce blu che oltrepassano l’estremo / un fuoco acceso nelle vene”; di un “ amore / radicato nel dolore / come Salambo / sulla soglia della Sfinge…”; di un amore che sa tendere le mani al destino e alzare le braccia “nelle oscurità galattiche”, e che si fa implorazione mentre vaga “nel tempo dell’infinito” superando il mero desiderio.
Dentro questo quadro di lirica meditazione s’inserisce la lucida consapevolezza della poetessa circa la fragilità umana, la finitudine dell’esistenza, la continua dialettica tra spirito e materia, corpo e anima, mente e cuore, nullità e aspirazione all’eternità, tant’è che così si esprime nella poesia Lo so…:

che nulla ci appartiene …,
niente è nostro lo so …
che siamo un groviglio rimasto
dallo scioglimento dell’ultima meteora
sangue che scorre nella linfa vitale
ossa che sollevano le colonne del corpo
un cuore che batte l’elisir dell’anima
mente che assorbe in silenzio qualsiasi dolore
e passi che avanzano negli incroci della vita.

La poesia di Juliana Mehmeti è, dunque, una sottile interpretazione della vita dentro costanti dialoghi dell’anima, un viaggiare – con l’occhio vigile nell’evoluzione di questo “mistero senza ali” che è il nostro tempo, – “tra l’immaginazione e la realtà / sul confine invisibile …, della morte,/ nella vita incatenata nel dolore, / nel riaffiorare / delle realtà nascoste …”, in Sfumature di sentimenti. Si tratta di un viaggiare denso di pathos, di emozioni che si fanno messaggio, con una versificazione dettata da ispirazioni immediate che scaturiscono da un “colloquio attento con il presente” direbbe Franco Fortini, e che vanno oltre pagine poetiche usuali e di maniera; si tratta, altresì, di un viaggiare “in attesa di un raggio di speranza” che faccia assaporare la vita, aprire ai sogni e respirare il profumo dell’eternità:

Ti ritrovi centro dell’universo,
luce
che forme fluide dell’esistenza, in galassie di sensazioni
accendi…
La vita assapori
nel lungo viaggio interno
sulle rive inesplorate dei sogni
dove la luna, ai misteri dell’alba
corone di stelle strappa.
Profumo di eternità diffonde
con le ali del vento…
Scende
come una meteora illuminata
tra i crateri dormienti dell’anima
e sale luce degli angeli nei cieli …
(Il profumo dell’eternità)

In conclusione, riteniamo che questa raccolta di Juliana Mehmeti sia dotata di una fascinazione spirituale, filosofica, etica ed estetica capace di coinvolgere il lettore, inducendolo a sostare dentro gli spazi di silenzio del cuore, spazi ai quali la poetessa conferisce significato e valore specifici, toni di religiosità e pregnanza comunicativa.
Una comunicazione che si esprime come canto dell’anima essenzializzato in ritmi e metriche non omogenee, e in versi allusivi che ora sembrano canti d’amore ora canti religiosi, ora rivolti ad un uomo, ora alla “scintilla divina“ che è in noi. E tutto questo rende originale e meraviglioso il fluire poetico della raccolta, ove la poetessa si svela con sfumature e modulazioni nuove, con motivi che sono in fondo comuni a tutti gli uomini e che evidenziano la sua tensione verso una verità segreta e inafferabile, nonché il suo tentativo di svelamento dell’essenza trascendente del mondo attraverso simboli, immagini sfumate e affacci metafisici sul rapporto tra il nulla e il tutto, il flusso del tempo e la sua sospensione dentro le contraddizioni della nostra contemporaneità.

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