
Il sorrisino di scherno che Merkel e Sarkozy si scambiarono alle spalle di Berlusconi, offrì agli habitué dello sputtanamento degli oppositori politici, il pretesto di fare da sponda ai due pur di colpire il nemico. Nessuna traccia di amor patrio, nessuna difesa dell’orgoglio nazionale se la vittima sta dall’altra parte politica. Questo succede nel paese che è incapace di vedere il valore nell’avversario, sempre dipinto a tinte fosche e nelle sembianze del nemico del popolo. Oggi, Sergio Marchionne se n’è andato con la discrezione e il riserbo che aveva riservato alla sua cultura non comune in un’era prodiga di finti colti come di esaltatori dell’ignoranza collettiva. Se n’è andato nel giorno in cui avrebbe dovuto annunciare l’azzeramento del debito industriale, traguardo importante e miraggio per altri ad che dopo aver causato il fallimento delle aziende se ne vanno con le tasche piene di soldi e stock options. Se n’è andato accompagnato dalle parole di circostanza che sempre si pronunciano quando qualcuno ci lascia, anche se non amato, ed erano in molti a non amarlo. Se n’è andato lasciando in eredità uno dei player internazionali dell’automotive, la Fca, la quasi piena occupazione di tutti gli stabilimenti, gli ammortizzatori sociali vicini al 7 per cento e, sopra tutto, un modello di organizzazione del lavoro, di scelte strategiche internazionali e organiche e un esempio di gestione delle diversità multidimensionali in un’economia globale. Marchionne è stato un gigante e un gigante solo, in parte incompreso, in parte avversato da chi preferisce le fabbriche chiuse all’assunzione di responsabilità. E’ riuscito a liberarsi dai vincoli imposti dalla società consociativa e dalle fumose politiche retoriche che hanno immobilizzato questo paese e fatto la fortuna di tanti curiali della Fiat, interessata più al consenso della Fiom che ad un piano industriale. Marchionne ha preso decisioni e agito in autonomia e solitudine: niente aiuti di Stato, niente sostegno politico, niente frequentazione dei salotti buoni dove si fanno le nomine importanti. Il maglioncino di cachemire più famoso al mondo è stato il simbolo della sua distanza dal mondo paludato dei conservatori in doppio petto, poco propensi a osare e con scarse competenze finanziarie. Marchionne è stato l’interprete di una vera rivoluzione che ha attuato anche grazie ad accordi sindacali fondati sul principio di reciprocità, cioè attraverso l’individuazione di obiettivi comuni da realizzare. E’ stato accusato di non aver mantenuto tutte le promesse, di aver preferito il fisco svizzero a quello italiano, di aver ridotto le paghe dei lavoratori. Insensate e disoneste accuse di chi ha costruito nel tempo il proprio successo mediatico, e avrebbe magari preferito il vecchio tavolo della concertazione che si chiude con la cassa integrazione dei lavoratori grazie ai soldi del popolo sovrano. Sbagliato poi averlo visto come un avversario politico. Marchionne è stato un manager, scelto e pagato da un’azienda privata per fare gli interessi di quell’azienda privata. Marco Bentivogli, segretario della Fim Cisl dice: “Quelli di Marchionne sono stati choc riformisti di cui l’Italia ha bisogno ma che puntualmente il nostro paese respinge pur di non cambiare.” E Renzi, che lo stimava e ne apprezzava l’apertura mentale: “Il lavoro lo creano coloro che rischiano, non coloro che stanno seduti sul divano.”
1 commento su “Sergio Marchionne: muore un manager geniale……..l’opinione di Rita Faletti”
Condivisibile riflessione. Marchionne è stato un grande. In Italia, spesso, queste persone sono incomprese, non si riesce a vedere oltre e comprendere ciò che di buono è stato fatto, a vedere l’interesse dello stato, solo polemiche e miseri commenti che vanno addirittura all’insulto. Poi assistiamo alla celebrazione di COMICI INCAZZATI e inconcludenti che hanno dato il via ad una epoca di miseria e cattiveria. Questa è l’Italia e non quella che il vostro egoismo vede.