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Ordine Geologi Sicilia sulla tragedia di Favara. “Prioritaria la sicurezza del territorio”

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Palermo, 03 ottobre 2025 – L’Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia si stringe al dolore della famiglia di Marianna Bello, giovane madre travolta dal nubifragio che ha colpito Favara, ed alla comunità tutta, ancora in apprensione per l’esito delle ricerche.
L’ennesima tragedia avvenuta nel nostro territorio a seguito di una violenta alluvione, ci ricorda con forza come il tema del dissesto idrogeologico rimanga drammaticamente irrisolto. Da decenni, infatti, dopo ogni disastro, assistiamo a dichiarazioni e promesse che, puntualmente, si spengono nell’oblio fino al successivo evento calamitoso. Si continua a intervenire solo a posteriori, mentre la prevenzione – pur dimostratasi molto meno onerosa rispetto alla riparazione dei danni – resta colpevolmente trascurata.
Questo dramma, invero, non è purtroppo un evento isolato: fa parte di un quadro nazionale allarmante. Secondo la quarta edizione del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia, il 94,5 % dei comuni italiani è esposto al rischio di frane, alluvioni, erosione o valanghe.
In questi ultimi anni, la superficie colpita dal rischio frane è aumentata del 15 %, passando da 55.400 a 69.500 km², ovvero circa il 23 % del territorio nazionale.
Le aree classificate a pericolosità elevata o molto elevata (P3-P4) sono cresciute, passando dall’ 8,7 % al 9,5 %.
Nel complesso, sono censite oltre 636.000 frane sul territorio italiano, di cui circa il 28 % caratterizzate da dinamiche rapide e potenziale distruttivo rilevante.
Questi numeri raccontano una verità scomoda: il dissesto idrogeologico non è un’emergenza futura, ma una condizione attuale e diffusa.
La Commissione De Marchi — cinquant’anni fa — formulò un programma dettagliato di interventi strutturali per la difesa del suolo: mappe, priorità, risorse, tempistiche. La sua latenza è il motivo per cui continuiamo ad assistere, anno dopo anno, a vite spezzate, case distrutte, paesi feriti.
Oggi, come geologi e come cittadini, rinnoviamo la richiesta alla classe dirigente: basta parole; serve coraggio, visione e strategie di lungo termine. Occorre approccio integrato che contemperi più efficacemente reti di monitoraggio, sistemi di allertamento e tecnologia aperta (mappe, open data), una cultura della prevenzione nelle comunità, con trasparenza e impegno costante, pianificazione sostenibile del territorio, interventi strutturali mirati, manutenzione diffusa e continua.
Solo così potremo sperare che non si debba più piangere un’altra vita travolta dall’acqua, ma che il territorio possa finalmente essere difeso davvero.

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