
L’art. 53 Cost. prevede, anche per i non cittadini, a conferma del principio dell’universalità, il dovere di adempimento a contribuire alle spese pubbliche. Dal gettito fiscale dipende il funzionamento dei servizi essenziali dello Stato: la sanità, la sicurezza, le scuole, ecc.
Tale articolo è composto da due commi. Il primo statuisce che: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Nell’ordinamento vigente il principio di capacità contributiva assicura che ogni prelievo sia giustificato da indici rivelatori di ricchezza, ai fini di una giusta ripartizione del carico fiscale. In altri termini, per capacità contributiva s’intende la capacità economica di un soggetto, cioè la produzione di reddito di ogni individuo. Sulla base di ciò, pertanto, non è possibile imporre tributi in relazione all’appartenenza ad una religione, razza o stato civile. Il requisito della effettività della capacità contributiva, indica la necessità che questa si configuri come concreta e reale, verificabile nella sua dimensione fattuale e non meramente presunta. Inoltre, è necessario sottolineare che lo Stato deve essere in grado di verificare che i contribuenti siano veramente titolari di reddito, perché solo in questo caso possono essere chiamati a concorrere alla spesa pubblica. Sulla base di ciò, il riferimento a questo tipo di capacità non esclude che determinati soggetti possano essere esonerati dal versamento oppure contribuiscano in forma meno gravosa, al ricorrere di determinati presupposti (es. nuclei familiari numerosi).
In relazione al secondo comma, dell’art. 53 Cost., questo stabilisce che: “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Non si richiede che ogni singolo tributo rispetti il principio di progressività, ma che ad esso sia ispirato l’intero sistema tributario nel suo complesso. La progressività tributaria è un criterio in base al quale l’aliquota di imposta aumenta all’aumentare dell’imponibile. In pratica, chi ha un reddito più alto paga una percentuale maggiore di tasse rispetto a chi ha un reddito più basso. L’imposta progressiva si applica suddividendo la base imponibile in scaglioni, e applicando un’aliquota crescente a ciascuno scaglione (es. se l’aliquota per i redditi fino a 20.000 euro è del 20%, e quella per i redditi da 20.001 a 30.000 euro è del 25%, un reddito di 25.000 euro pagherà il 20% su 20.000 e il 25% sui successivi 5.000 euro).
Se tutto ciò vale per le imposte dirette, cioè quelle che colpiscono direttamente il reddito (IRPEF), per le imposte indirette sorgono dei problemi di equità, proprio in relazione alla progressività del sistema, visto che colpiscono non il reddito, bensì i consumi, come nel caso dell’IVA. Per questo, è necessario garantire un equilibrio tra imposte dirette e indirette e per evitare che queste ultime diventino un escamotage per superare l’articolo in questione, eludendo i principi da esso previsti.
In conclusione, la progressività e la capacità contributiva su cui si fonda il nostro ordinamento mirano a renderlo più equo, cercando di redistribuire la ricchezza, alleggerendo il carico fiscale su chi ha meno ed aumentando il gettito su chi possiede di più.