
Un libro dove la storia della Sicilia non scorre come mera ricostruzione di fatti e avvenimenti collocati nella loro temporalità attraverso una connessione di cause ed effetti, ma come “spazio di approfondimento, narrazione e lettura critica” del cammino del popolo di una delle regioni italiane con la storia più antica, complessa e affascinante.
E’ questa l’impressione che si ricava dalla lettura del libro “L’isola mondo. Breve storia della Sicilia”, di Giuseppe Barone, Edizioni Laterza, 2025, ove l’autore, noto professore emerito di Storia contemporanea nell’Università di Catania, offre alcune dimensioni vettoriali che consentono di rafforzare nei siciliani il senso di identità e appartenenza alla loro terra, nonché di riscoprire le radici profonde della cultura isolana e rileggere criticamente gli accadimenti storici, politici, sociali, culturali ed economici che nell’isola si sono succeduti nel tempo.
Il corpus storiografico del volume si snoda in 25 capitoli, che partono dalle prime notizie che lo storico greco Tucidide, vissuto nel V secolo a.C., ci dà della Sicilia più antica, passando poi per Roma e Bisanzio fino alla conquista sveva, allorquando “la Sicilia cessò di essere uno Stato indipendente e per quasi un secolo la sua storia finì per intrecciarsi con quella dell’Impero” (p.42).
La narrazione storica di Giuseppe Barone si sviluppa, poi, lungo il periodo che va Dagli Angioini agli Aragonesi puntando lo sguardo “sull’incontenibile rivolta popolare a Palermo, passata alla storia come la guerra del Vespro, che si propagò subito ad altre città e nell’arco di pochi mesi provocò la fine traumatica del dominio francese” (p.49), facendo rilevare come, a quasi un millennio da essa, “gli storici dissentono ancora se sia stata una rivoluzione spontanea di popolo o se si sia trattato di una congiura internazionale ordita fuori dalla Sicilia per scopi di espansionismo politico” (p.51), e affermando, altresì, che “L’epopea del Vespro ebbe anche una protagonista femminile, Macalda di Scaletta, nobile sposa di Alaimo da Lentini, che assunse la carica di governatrice di Catania mentre il marito si recava a Messina per dare manforte agli insorti”(p.52).
Interessante il capitolo settimo, Cultura umanistica e Rinascimento artistico, che punta i riflettori sul Quattrocento e il Cinquecento, periodo che vide, secondo studi più recenti, la piena partecipazione degli intellettuali siciliani al rinnovamento culturale dell’Umanesimo grazie alla collaborazione di giuristi, medici, scienziati, filosofi, letterati, artisti e scultori, tra i quali Guglielmo Perno, Giovan Battista Palatamone, Adamo Asmundo, il ragusano Teodoro Belleo, Giovanni Picciunieri, Francesco Maurolico, Francesco Laurana e tanti altri.
Scorrendo i vari capitoli, il lettore prova la sensazione di sentirsi come accompagnato in un tragitto nel quale Giuseppe Barone approfondisce “Rivolte, catastrofi, città nuove”, “Baroni e vicere”, Mercati globali”, “Riforme borboniche” , Tempi di rivoluzioni”, “Ferrovie”, “ Crisi agraria e movimenti collettivi”, “Modernizzazione” , “Terremoto e gerarchie urbane”, “Le guerre e il fascismo”, e altro ancora.
Particolarmente significativo ed attuale risulta il capitolo 23 dove Barone parla dell’Autonomia speciale goduta dalla Sicilia dal 1946 ad oggi. L’autore pone diverse domande: “perché 80 anni di autonomia speciale non sono riusciti a colmare (o almeno a contenere) il divario tra Nord e Sud? Quali ostacoli politici, economici e istituzionali hanno impedito quel successo riconosciuto ad altre regioni virtuose d’Europa? E quali prospettive si aprono per l’ordinamento siciliano nel panorama delle ‘sfide globali’ del XXI secolo?”
Si tratta di domande che evidenziano come l’Autonomia siciliana sia stata ed è ancora oggi una questione aperta e complessa, senza però una risposta univoca. Negli anni si è lamentata infatti, da un lato, la mancata attuazione di disposizioni dello Statuto, soprattutto quelle relative alle competenze finanziarie e alla gestione delle risorse naturali, che ha limitato la capacità della Regione di esercitare le proprie prerogative e di promuovere lo sviluppo economico e sociale; dall’altro, si è stigmatizzato il centralismo dello Stato che ha spesso interferito nelle competenze regionali erodendo di fatto l’autonomia siciliana ed ostacolando in tal modo la capacità della Regione di prendere decisioni autonome e di rispondere alle esigenze del territorio, e contribuendo, in tal modo, al persistere di una situazione di divario economico tra la Sicilia e le altre regioni italiane causando problemi come la corruzione e l’inefficienza amministrativa. Sul tema Giuseppe Barone delinea una sua visione storica:
“I propositi della Regione si sono praticamente capovolti, e invece di sperimentare un modello virtuoso di efficienza e di programmazione democratica, nel corso degli anni un ipertrofico neocentrismo regionale si è sostituito e/o sovrapposto al vecchio centralismo dello Stato nazionale, sacrificando le autonomie locali all’altare di un ceto politico autoreferenziale , consociativo e trasversale ai partiti , che ha impedito la formazione di classi dirigenti motivate e responsabili… Infine è mancata nell’esperienza del regionalismo siciliano la presenza di una forza politica autonomistica, radicata nel territorio e realmente rappresentativa degli interessi e bisogni dell’isola” (p. 245).
Con questo volume Giuseppe Barone fa osservare che la Sicilia è oggi alla ricerca del futuro, di un avvenire che Giorgio La Pira indicava, già tra il 1951 e il 1965, nella pace e nella cooperazione, e che, invece, in questo nostro tempo, caratterizzato da tragici scenari di guerra e di profughi, sembra sfumare, atteso che “L’idea del pacifico ‘lago di Tiberiade’ – scrive Barone – appare piuttosto capovolgersi in una plumbea frontiera assassina, in una tomba liquida di nuove schiavitù(…) La Sicilia può rappresentare – prosegue l’autore – il baricentro geo politico per questa ‘sfida di civiltà’, se le sue classi dirigenti sapranno interpretare i nuovi scenari internazionali e riposizionare l’isola come cerniera interculturale e cabina di regia di una crescita inclusiva”(p.246).
La novità di questo libro, nel suo insieme, sta tutta nella sua Weltanschauung, ossia nella visione di una Sicilia che va oltre stereotipi, aspetti monolitici e luoghi comuni, per mostrarsi terra dall’identità plurale e aperta, crocevia di culture e tradizioni diverse, dal Paleolitico all’arrivo dei Greci e dei Cartaginesi, dai Romani agli Arabi, dai Normanni agli Spagnoli. E’, infatti, proprio questa convivenza di popoli che ha contribuito a creare un’isola con varie anime, da quella urbana a quella rurale a quella economica, una terra di scambi culturali e mercantili, di città popolose e socialmente complesse, di sapere scientifico e di bellezza artistica.
E’ ben noto , del resto, come fin dall’ottavo secolo a.C. la Sicilia sia stata crocevia di popoli , di lingue e culture: Greci, Fenici, Cartaginesi, Unni, Vandali germanici, Goti di Svezia, Arabi, Bizantini, Normanni. E ancora: Romani, Angioini, Aragonesi, Spagnoli , Austriaci, Borboni, Francesi. È facile, quindi, capire, e mi soffermo a riguardo su un aspetto non secondario, almeno per me, come in questa isola-mondo la lingua siciliana, mediante questi influssi, abbia avuto un considerevole sviluppo arrivando ad essere considerata di “fama superiore”.
Basta solo qualche esemplificazione per rendersi conto come questo “crocevia” sia stato rilevante e amplificato sul piano della lingua. E’ sufficiente, ad esempio, riferirsi alle tante espressioni della parlata siciliana: “antura”(poco fa) non è altro che il latino “ante horam” e il termine “allippatu”(scivoloso”) corrisponde al “lipos” greco; la nostra “giuggiulena”(semi di sesamo) non è altro che l’arabo “giulgilan” e il nostro “sciarriarisi”(litigare) equivale all’arabo “Sciarr; la nostra “seggia”(sedia) corrisponde al franco-provenzale “seige”; il nostro “Tanfu”(puzza) non è altro che il tedesco “Tampf”; il nostro “travagghiari”(lavarorare) corrisponde al francese “travailler” e la nostra “pignata”(pentola) non è altro che lo spagnolo “pinada”, come pure la nostra “scupetta”(fucile) e il nostro “sgarrari”(sbagliare) corrispondono ai lemmi spagnoli “escopeta”ed “Esgarrar”.
Tutto questo è sintomatico di come la lingua siciliana si sia dotata di uno statuto speciale rispetto agli altri dialetti, vista la sua lunghissima storia che l’ha arricchita e portata al rango di lingua e non più di dialetto, e considerato che il Sommo Poeta Dante nel De vulgari eloquentia diceva: “Indagheremo per primo la natura del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri: che tutto quanto gli Italici producono in fatto di poesia si chiama siciliano…”
Con questa sua opera , Giuseppe Barone offre agli appassionati e cultori di storia un quadro della Sicilia che va oltre l’ immagine di “terra chiusa dal mare , quasi sequestrata dalla civiltà europea”, o di “Sicilia – nazione”, rivendicata da separatisti di ieri e di oggi”, o di una “Sicilia contadina, arcaica, e centrata su vincoli familistici ancestrali…”, o di una “Sicilia terra di mafia come carattere fondativo…”; l’autore ha il merito di arricchire il quadro della vasta letteratura storica con una sua originale ricostruzione critica dell’isola, che, come suggerisce il titolo, richiama il mondo, sfatando luoghi comuni, offrendo altre fonti e confrontandosi con diverse interpretazioni capaci di rafforzare il senso di identità e appartenenza all’isola, nonché di far riscoprire le radici profonde della cultura e delle tradizioni che si sono tramandate nel tempo, suscitando così un senso di orgoglio per il ricco patrimonio storico e culturale dell’isola.
In sintesi, questo libro di breve storia della Sicilia lascia un segno profondo nel lettore e lo invita a guardare con occhi nuovi questa “isola – mondo” , che viene disegnata dall’autore attraverso una stratificazione scientifica di elementi storici, culturali, sociali e geografici inabissati in una serie di tratti distintivi: tradizioni e costumi, patrimonio culturale, memoria collettiva, crocevia di civiltà, legame con il mare, tradizioni agricole, patrimonio artistico e architettonico, letteratura e folklore. Si tratta di elementi, insieme ad altri, che hanno contribuito e ancora oggi contribuiscono a definire l’identità unica e plurale della Sicilia, un’isola che ha saputo conservare la sua anima pur aprendosi al mondo.
Ciò che piace del libro di Giuseppe Barone, è poi il suo offrire questa breve storia della Sicilia utilizzando, secondo me, l’accezione della parola tedesca geschichte, cioè di storia intesa come “trasformazione” degli elementi oggetto di studi e ricerche, in un piacevole “racconto” con il quale il lettore entra in rapporto traendone un insegnamento non soltanto cognitivo ma anche educativo; l’autore, infatti , non si è limitato, a mio avviso, alla raccolta di fonti, documenti, tracce, testimonianze, relativi agli argomenti oggetto di ricerca dello storico, né ad una fredda analisi scientifica dei dati ottenuti nel quadro di rispettive interazioni e connessioni tra le varie fonti, ma ha saputo trasformare in “racconto esistenziale” fatti e avvenimenti dell’ “isola – mondo” oggetto del suo approfondimento, offrendo orizzonti di riflessione incastonati nella direzione di un contributo alla contemporaneità.
Con questo libro l’autore si augura infatti una ricostruzione aggiornata dell’ “isola -mondo”, che parta dalle domande urgenti del presente e che possa accompagnare i percorsi formativi delle giovani generazioni proiettate verso le sfide globali del XXI secolo.
E’ un auspicio condivisibile e che si può realizzare se emergerà una nuova narrazione della storia siciliana centrata su alcuni elementi chiave (alcuni dei quali configurati già in questo volume): le interconnessioni con il mondo mediterraneo e globale, l’evidenziazione di flussi di persone, merci e idee che hanno attraversato l’isola nel corso dei secoli rimarcandone il suo ruolo di crocevia culturale e commerciale.
Si tratta di un obiettivo possibile se si affronteranno questioni contemporanee urgenti del presente, come la crisi ambientale, le migrazioni, le disuguaglianze sociali e la lotta contro la criminalità organizzata; se si saprà dare spazio alle voci di tutti i gruppi sociali che hanno contribuito a plasmare la storia della Sicilia, comprese le donne, le minoranze e le classi subalterne; se si supereranno le narrazioni egemoniche e si ricostruirà una storia più inclusiva e rappresentativa; se si sapranno, altresì, utilizzare strumenti digitali, come archivi online, mappe interattive e ricostruzioni virtuali, per rendere la storia più accessibile e coinvolgente, e se si promuoveranno metodologie didattiche innovative, come la didattica laboratoriale e la didattica digitale, per stimolare il pensiero critico e la partecipazione attiva degli studenti.
Significative le riflessioni dell’autore nell’ultimo capitolo del volume:
Nella società globalizzata del XXI secolo la Sicilia è chiamata a cercare “altri percorsi di identità collettiva” e a riscoprire “la sua più autentica vocazione nella sua originaria ‘mondialità’. Per la sua posizione baricentrica nel Mediterraneo, ponte geografico fra l’Europa e Africa, l’isola non è mai stata periferia politica ed economica, ma molto spesso ‘centro’ nodale di traffici e di potere , di guerre e di contaminazioni culturali, come al tempo della colonizzazione greca o come polo irradiatore dell’impero federiciano. Un’isola – mondo, dunque, a cui gli eventi nella geopolitica euromediterranea hanno assegnato ruoli molteplici ora di ‘cerniera’ come melting pot demografico, ora come ‘frontiera’ nei conflitti di leadership tra potenze rivali. Una regione aperta ai flussi di uomini e merci, la Sicilia , con un ‘paesaggio costruito’ di città antiche, di centri di nuova fondazione in età moderna, di metropoli contemporanee pieni di contrasti sociali ma pure ricche di opportunità”.
Per raggiungere questo obiettivo è sicuramente auspicabile che siano sostenute tutte quelle realtà capaci di contribuire a rinnovare la narrazione della storia siciliana da offrire alle nuove generazioni: la “ricerca accademica” con nuove fonti e metodologie; gli “studia” dei grandi ordini religiosi; “Musei, archivi e biblioteche” che stanno digitalizzando i loro materiali e organizzando mostre e iniziative divulgative per il grande pubblico; “associazioni e movimenti civici” in grado di realizzare progetti di memoria collettiva e di educazione alla cittadinanza, utilizzando la storia come strumento di consapevolezza e di partecipazione; e sicuramente anche le case editrici, e questo volume di Barone ne è una testimonianza, quando pubblicano libri e riviste che offrono una visione aggiornata e critica della storia siciliana.