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Cgil: “Sotto-salario e sfruttamento lavorativo in agricoltura”

Tempo di lettura: 2 minuti

“Pensiamo sia necessario dirci qual è la realtà del mondo agricolo nel nostro territorio ragusano e che vada fatto perché oramai è diventato indispensabile farlo. Soltanto da un sollecitante e sollecitato bagno di verità pensiamo possa provenire la possibilità di un vero e serio rilancio di un comparto che è sì importante, ma che spesso ne esce con l’immagine e la reputazione macchiate, perché si trova interessato da interventi repressivi che mettono in luce fatti che, se confermati, daranno una idea greve e oltremodo perniciosa di una parte rilevantissima del nostro tessuto produttivo”. Salvatore Terranova, Segretario generale Flai Cgil Ragusa, e    Tonino Russo, Segretario generale Flai Cgil Sicilia, si occupano, ancora un a volta, del sotto-salario e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura  e degli interventi occorrenti. “In agricoltura – spiegano   – la retribuzione della quasi totalità dei braccianti è molto bassa, molto al di sotto dei parametri del contratto collettivo. È da decenni che è così: l’agricoltura è un’isola a sé, dove vigono comportamenti e rapporti che sono al di fuori dei regolamenti e delle norme. Tutto viene costruito e stabilito dentro i recinti delle aziende, in particolare il salario che il bracciante riceverà. Un salario da fame, che è spesso il portato di un ben congegnato sistema di sfruttamento lavorativo in atto molto diffuso. Ebbene, tale problema va risolto una volta per tutte, prima che sia troppo tardi, o meglio prima che interventi di altra natura, più invasivi e massicci, mettano a soqquadro quella che nel nostro territorio viene ancora considerata una impalcatura produttiva eccellente.  Il rischio, infatti, è proprio questo – aggiungono i due sindacalisti – . Se la realtà che abbiamo davanti non verrà modificata e migliorata con la volontà e le risananti prassi delle aziende medesime non sarà difficile prevedere, nei prossimi anni, l’indebolimento del tessuto produttivo per azioni repressive e di sequestro che verranno dall’esterno, dalle istituzioni, per colpire e debellare fenomeni gravi legati allo sfruttamento e la sicurezza dei lavoratori, fenomeni che – purtroppo- tenderanno ad aggravarsi e possibilmente ad incancrenirsi man mano che aumenterà la manodopera agricola proveniente da paesi-terzi. Nel nostro territorio ragusano si è ormai arrivati ad un bivio: o le aziende si pongono in un piano di aperto e trasparente confronto ammettendo di essere esse causa e parte di un problema serio e, per alcuni versi, devastante, che va risolto, o pensiamo che ciò potrebbe offuscare indelebilmente la storia socio-economica locale di questo scorcio di Sicilia.

Appare, pertanto, inevitabile il fatto che devono essere le aziende stesse (quelle medio-grandi) a fare la propria inevitabile ed imprescindibile parte, quella di parte attiva all’interno di un processo collettivo di rinascita di un settore, che non può continuare ad essere oggetto di stigmate sociali e che, invece, deve iniziare con una operazione di consapevolezza pubblica degli imprenditori, ammettendo le aspre criticità che si annidano nelle loro aziende e aprendosi al raggiungimento di obiettivi di sano, vero e civile rispetto della manodopera agricola.

È chiaro ed inevitabile un fatto: per avviare e realizzare, oltre all’auto-ruolo delle aziende, pensiamo debbano essere le istituzioni a dover creare il necessario contesto per esperire e appoggiare questo processo molto delicato e difficile, ma che – invero – rappresenta l’unica strada per raddrizzare modalità di rapporti di lavoro che vengono determinati più dal volere imprenditoriale che dai contratti. Beninteso, un contesto che viene messo su non per punire, ma per determinare un “mood” retributivo e di utilizzazione del bracciante che abbia nella legge e nei regolamenti l’unico fondamento. Lo sforzo deve essere incentrato su questo e la nostra speranza è quella che le istituzioni su questo aprano veramente un solco di innovativo aiuto per rinnovare veramente la produzione agricola e la filiera ad essa collegata”.

In questo quadro Terranova e Russo si fanno  artefici di una proposta di merito che ritengono indispensabile iniziare con gli attori pubblici in indirizzo un primo momento di confronto per tentare di creare un modello di intervento sul territorio ragusano che sappia via via affrontare la grave problematica.

 

 

 

 

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6 commenti su “Cgil: “Sotto-salario e sfruttamento lavorativo in agricoltura””

  1. Questi parassiti sindacalisti stanno cercando di distruggere il lavoro in agricoltura.
    Perché le aziende a chiudere se non hanno guadagno ci stanno un minuto .
    Non mettono a coltura terreni e serre e tutto finisce .
    Dopo poi ci penseranno questi comunisti a procurare il lavoro a tutti i braccianti disoccupati.
    Lo stato sul lavoro è un mangiatore di soldi .
    Su ogni cosa che riguarda il lavoro ci sono tasse .
    Hanno inventato la tredicesima per avere un’altra busta paga da tassare e così la quattordicesima e così il tfr , non sono conquiste , sono opportunità per lo stato .che tassa a più non posso .
    Se devi essere a regola di tutto , non conviene a nessuno assumere braccianti .
    Non assumi e se vuoi fare azienda fai tutto quello che puoi con le tue forze .
    Campi più tranquillo e non fai debiti .
    E i sindacalisti comunisti non avranno niente su cui venire a romperti la serenità.

  2. AMO MODICA parli perché non sai o perché sei stato punto sul vivo. Invece di insultare, cerca prima di informarti. La disoccupazione agricola ai braccianti la paga lo stato cioè i contribuenti, i contributi previdenziali per 2/3 gravano sullo stato, quindi sui contribuenti , le aziende mettono in busta 10, massimo 12 giorni di lavoro mentre i braccianti ne fanno 24 al mese. Le altre giornate, spesso rese in nero, permettono all’azienda di risparmiare e di non pagare i contributi. Non è che l’agricoltura si regge grazie ai contribuenti?
    Se poi vi può essere un parassito, probabilmente quello sei tu.

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  3. Uno stato spendaccione che paga tutto con i soldi dei pochi che paghiamo le tasse, e chi paga le tasse? Nella maggior misura i dipendenti, ed invece i lavoratori autonomi posso scegliere quanto dichiarare e se dichiarare.
    Un sistema sbilanciato che pochi riescono a comprendere veramente, forse Amo Modica non conosce bene i meccanismi, ma guardi che le cose non sono come lei crede, non siamo nei paesi anglosassoni dove la gente rispetta regole e leggi e non esistono tanti imbroglioni, aiutati dalla mala politica come in Italia.
    Non parli di sindacati o di politica di destra o sinistra se neppure comprende il significato, se lei ha avuto esperienze personali negative, se magari qualche politico di sinistra non l’ha favorito come lei pensa e spera che il politico di destra lo faccia, è lei che è nel torto marcio Amo Modica, rifletta un attimino prima di sparare su argomenti che non conosce.
    Lasci stare il clientelismo ed i compari, sono la nostra rovina e quella dei nostri figli, creda a me!

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  4. I dipendenti non pagano un bel nulla ricevono il netto.
    Poi il datore deve trovare i soldi per pagare le tasse .
    E questo datore che deve reggere il peso di tutto .
    Il dipendente per farlo lavorare invece lo devi controllare . Se no , non ti fa niente passa il tempo al telefono .
    Per la cronaca non mi ha deluso nessuno .
    I sindacati purtroppo sono una vera disgrazia nelle democrazie . Un vero corpo estraneo parassittario , e dannoso , per i lavoratori e per le imprese.

  5. C’è ne sono in tanti che ci fanno sfruttare gli lavoratori e operai sai come ti rispondono se vuoi lavorare ok sei tu che hai bisogno x i soldi se no te ne torni all tuo paese se non ti piace il lavoro io una volta lo denunciato una persona che mi ha risposto esattamente cosi una persona che lavorava nella casa di riposo

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