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“A proposito di regime retributivo e sfruttamento in agricoltura”

Tempo di lettura: 2 minuti

“Ciò che viene, con cadenza quasi regolare, alla ribalta della cronaca, cioè gli interventi delle forze dell’ordine che operano arresti contro imprenditori agricoli che sfruttano i propri braccianti, non solo stranieri, dovrebbe darci, ancora una volta, l’occasione per riflettere, tutti”. E’ quanto fanno rilevare Salvatore Terranova, Segretario generale della Flai Cgil Ragusa, e  Tonino Russo,  Segretario Generale della Flai Cgil Sicilia, a  proposito di regime retributivo e sfruttamento in agricoltura.

“In molteplici momenti –  aggiungono i due sindacalisti – abbiamo posto all’attenzione pubblica il modello retributivo che vige, da troppo tempo, nel nostro territorio, che ha fatto strame di norme e contratti. Oggi è l’imprenditore agricolo ad imporre l’entità del salario dei braccianti, sia italiani che stranieri.

Un modello che si basa sul salario di piazza, lontano ed esterno a quello che dovrebbe essere, in ragione dell’ordinamento salariale vigente, previsto dalla contrattazione. Questo grave fatto emerge inequivocabilmente dal nostro tessuto produttivo agricolo, dove il bracciante, proprio per la retribuzione oltremodo bassa che riceve, si confronta con una condizione che è di “sfruttamento lavorativo”, diventata una sorta di ineliminabile ed inveterata infrastruttura del mercato del lavoro agricolo.

Tale fatto ci pone davanti ad una scelta: ciò che accade in agricoltura è una condizione secondaria e fisiologicamente accettabile o invece è un fatto che richiama, per la sua gravità, alla responsabilità tutti? Essere pagato a 4,5 euro l’ora nelle serre o nei magazzini o nelle aziende di trasformazione dei prodotti agricoli, impiegati per almeno 10/12 ore al giorno, configura si o no una cesura dei diritti e della dignità dei lavoratori, stranieri e non? Questo fatto non estende le responsabilità, oltre che alle aziende, a tutti noi? Per noi, si!

Sembra quasi di essere di fronte ad un intollerabile regime organizzativo, riscontrabile in gran parte delle aziende, sulla cui base sia stata costruita una cinica e lucida operazione di compressione del costo del lavoro, che si sostanzia, ovviamente, quale profitto per le aziende.

Di questo inespugnabile moloch di sotto-salario ne hanno consapevolezza tutti, ma non si riesce ad esorcizzarlo né a smontarlo. Basterebbe analizzare le buste- paga dei braccianti per capire quanto non sia veritiero che un operaio agricolo lavori solo 10/12 giorni al mese.

La soluzione –  incalzano –  questo sistema indecente e disumanizzante non può essere solo la forza della repressione che serve ed è indispensabile nei casi più gravi; va introdotto, a nostro avviso – un meccanismo pubblico-istituzionale che, con la sinergia delle rappresentanze sindacali, riesca a fare emergere la sotterranea montagna di sotto-paga e di sfruttamento che alimenta illecitamente il mondo agricolo, con il coinvolgimento attivo delle aziende, le quali dovranno assumersi l’impegno pubblico di riconoscersi fuori contratto, sostenendo la necessitante operazione di ripristino collettivo di una ossatura produttiva, che in questa fase viene identificata come un problema e non come punto di forza.

Qui un ruolo principale non può che essere svolto da una o più istituzioni pubbliche (Prefettura, enti locali o altro ente), le quali, in sinergia, possano operare una sorta di pubblica convocazione delle aziende (delle quali è facile individuare la non rispondenza salariale alle norme), aprendo un momento pubblico di confronto teso a riportare nella piena liceità la struttura salariale. Ciò rende imprescindibile l’attivazione di un percorso pubblico che operi civilmente il risanamento di una ferita che non tocca soltanto la dignità del lavoratore, ma anche la storia, l’ethos e la civiltà di un territorio. Che merita di più: una rinascita civile e culturale, oltre che produttiva, è l’approdo di cui ha più necessità.

Insisteremo – concludono Terranova e Russo – nei prossimi giorni su questa vicenda affinché questa nostra modesta idea possa essere meglio rappresentata nei luoghi appositamente deputati, perché ci siamo persuasi sempre di più che un approccio di natura civile possa condurre a buoni risultati”.

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3 commenti su ““A proposito di regime retributivo e sfruttamento in agricoltura””

  1. Fiumi di parole che finiranno in alto mare. D’altra parte le aziende si difendono dicendo che sono oppressi dai costi alti delle tassazioni e dalla concorrenza estera, e che si rischia di mandare a casa centinaia di persone. Una forma velata di ricatto che porterà a cambiare un bel nulla.Poveri siamo e poveri resteremo

  2. I sindacati dicono un sacco di cose per giustificare lo stipendio che si pappano .
    Sono loro i primi responsabili, hanno nel tempo preteso e ottenuto tante regole, tanti benefit, tanti privilegi,tante garanzie, tanta disoccupazione ben pagata , licenze per ogni occasione ecc ecc , dimenticandosi completamente che in una azienda serve il lavoro prestato dai cosiddetti lavoratori,
    Si cercano solo diritti i doveri li deve far rispettare l’azienda, che deve assumere capi squadra per controllare e far lavorare i cosiddetti lavoratori
    E allora che volete ???
    Le aziende per sopravvivere si devono difendere , da certificati medici, da 104 , da licenze, ecc ,
    Diversamente le aziende possono sopravvivere riducendo tutto e tenendosi solo i lavoratori, onesti ,bravi, coscienziosi di dov rendere all’azienda lo stipendio percepito,
    E questi lavoratori si possono pagare bene perché rendono e ci puoi contare sempre.
    Come si dice una mano lava l’altra !
    Privilegi calati dall’alto per tutti non è corretto.

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