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Flai Cgil Ragusa chiede incontro col Prefetto sull’agricoltura

Tempo di lettura: 2 minuti

La Cgil coinvolge il Prefetto di Ragusa su una problematica su cui da tempo si discute nel territorio, ma che alla fine non trova mai un approdo positivo. Il riferimento è al salario invalso nell’agricoltura e nella filiera ad essa connessa, dove ha cittadinanza un modello salariale completamente esterno o meglio parallelo quanto previsto dai parametri salariali del CCNL vigente. Nel senso che qui la quasi totalità delle aziende agricole non rispetta quanto statuito dal contratto vigente, per la connotazione altamente flessibile di quest’ultimo, che consente ai datori di lavoro di inserire ogni mese nelle buste-paga dei loro dipendenti meno della metà delle giornate effettivamente lavorate. Nelle buste-paga si registrano in media non più di 12 giorni di lavoro a fronte di quelle effettivamente rese che si aggirano tra le 24/ 25 giornate al mese. Ciò è reso possibile appunto da un contratto che offre all’imprenditore la discrezionalità di presentare cedolini con meno giornate. Sembra quasi che in questo territorio, per pura casualità, si sia configurato una sorta di convergenza tra le aziende, in base alla quale attribuiscono, per la grandissima parte, non più di un certo numero di giornate lavorate al mese ai braccianti, sia italiani che stranieri.

“Questo – dicono Carmelo Garaffa,  Segretario Flai Cgil Ragusa, e Salvatore Terranova, Segretario Generale Flai Cgil Ragusa – determina un salario non veritiero. Le giornate di lavoro inserite in busta vengono pagate secondo i parametri salariali vigenti, mentre le altre giornate lavorate, rese in nero, ma in numero maggiore rispetto a quelle pagate, non vengono retribuite. La conseguenza di tutto ciò è che le aziende risparmiano sul costo del lavoro, pagano mensilmente meno contributi previdenziali (un giorno di lavoro in agricoltura dal punto di vista previdenziale costa da 12 a 15 euro, niente rispetto al costo previdenziale per altri settori produttivi), e se aggiungiamo che la disoccupazione riconosciuta al bracciante è a carico della fiscalità generale, in realtà sono i contribuenti italiani che mantengono in vita i salari dei braccianti, con le aziende che risparmiano su tutto.

È chiaro che questo modello in voga da tempo in agricoltura produce notevoli danni alle condizioni dei braccianti, le cui retribuzioni sono bassissime, pur svolgendo lavori pesantissimi sia nelle serre che nei magazzini. Da tempo è stato messo in piedi un mercato del lavoro agricolo illegittimo che produce povertà diffuse, al punto che i redditi annui dei braccianti, salvo qualche sparuto caso, non vanno quasi mai oltre i 14 mila euro l’anno”.

E’ il classico esempio di lavoratore, che pur essendo occupato, non ricava da questo lavoro il necessario per una vita normale e dignitosa. Ci troviamo davanti i cosiddetti lavori poveri.

“Ci cimentiamo ogni con un sistema fortemente cristallizzato, da essere da tempo al centro di riflessioni da parte di chi, in particolar modo, difende l’anello più debole del processo lavorativo; riflessioni che, purtroppo, non trovano addentellati e ponti in chi rappresenta le imprese, che in moltissimi casi sembra disconoscere anche i fatti più evidenti di un modello produttivo distorsivo e distorcente, di cui sono vittime i lavoratori – dicono i due sindacalisti – . Va da sé che andrebbe concentrata l’attenzione sulla elaborazione, a livello nazionale, di una contrattualistica più adeguata alla configurazione intensamente industriale che l’agricoltura ha assunto, ma anche in grado, al contempo, di sferrare un decisivo colpo alle tante forme di sfruttamento lavorativo e, in alcuni casi, di capolarato, cui soggiacciono migliaia di braccianti in questo nostro territorio. Quello dei contratti a tempo indeterminato in agricoltura sarebbe il primo importante e imprescindibile accorgimento che si dovrebbe adottare per sconfiggere una buona dose di criticità che avvelenano questo settore. Se la programmazione delle colture nelle serre ormai impegna l’intero anno e dove i braccianti vi lavorano per almeno 11 mesi, non vi è più alcuna ragione sufficiente per consentire che quasi il 100% della manodopera agricola venga assunta con contratti a tempo determinato.

Ma al di là delle superiori considerazioni, è indispensabile trovare gli strumenti e i modi per arginare la deriva salariale, che attraversa tutto il mondo bracciantile, che sta portando sempre più a forti contrazioni delle retribuzioni agricole, non solo nelle piccole aziende ma soprattutto in quelle medie-grandi.

Noi pensiamo che questa seria problematica non può più essere lasciata alle dinamiche né del mercato né della nostrana squilibrata dialettica tra il datore di lavoro e il lavoratore, perché in tal caso a determinare il tutto, retribuzione e altro, non è mai quest’ultimo, ma l’imprenditore che si sostituisce alla legge e ai contratti nel delineare un mercato del lavoro agricolo a sua immagine e somiglianza.

E poiché questo è ciò che si verifica quotidianamente, pensiamo che le Istituzioni pubbliche debbano poter svolgere un ruolo di indirizzo e di impostazione per correggere un sistema, produttore di diseguaglianze, che si è costruito sulle spalle di chi offre le proprie prestazioni lavorative di dipendenza per portare a casa un salario”.

Garaffa e Terranova chiedono audizione al Prefetto per rappresentare alcune  proposte di intervento che vanno nella direzione di porre le premesse per la creazione di un mercato del lavoro agricolo in linea con le attribuzioni ordinamentali.

 

 

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1 commento su “Flai Cgil Ragusa chiede incontro col Prefetto sull’agricoltura”

  1. Torquato Canto di Roccapulera

    Forse in questi casi si dovrebbe interloquire con la magistratura, per accelerare i tempi.

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