Cerca
Close this search box.

40°esimo della morte di Mons. Giuseppe Rizza…di Domenico Pisana

Padre Rizza “Non è stato una canna battuta dal vento, ma è rimasto come ‘torre ferma’, che non crolla al soffiare dei venti. E’ stato un sacerdote fedele fondato sulla roccia della fede.
Tempo di lettura: 2 minuti

Ricorre l’8 gennaio il 40°anniversario della morte del sacerdote modicano Giuseppe Rizza, avvenuta nel 1984, figura che ha segnato la vita di tanti fedeli modicani che hanno vissuto nella zona Sorda della città di Modica; un sacerdote umile, servitore della Chiesa universale, un sacerdote che, nell’arco di esistenza terrena concessagli da Dio, ebbe una solo aspirazione: vivere pienamente il suo sacerdozio dando tutto se stesso ai fratelli ed essere un vero alter Christus.
E difatti, tutte le testimonianze su Padre Rizza, che nel lontano 1985 lo scrivente ebbe modo di raccogliere nel volume “Mons. Giuseppe Rizza, Il Padre, l’amico, il fratello”, convergono in maniera singolare nel delineare una figura di sacerdote che mai fu sfiorato dalla tentazione della disobbedienza, che mai offrì il fianco alle mode e che sempre interpretò il suo servizio come donazione completa, senza misura, al prossimo, esclusivamente impegnato a testimoniare con coerenza e costanza il Cristo Risorto, colui che è via verità e vita. Il vento della contestazione, anzi delle contestazioni, delle ideologie, pur facendolo soffrire nella misura in cui vedeva altri sacerdoti che si lasciavano trasportare vero altri lidi, mai lo coinvolsero. C’è, a riguardo, un passaggio fortemente rivelatore della figura del parroco Rizza, nell’omelia di Mons. Gambuzza, parroco pro-tempore della Chiesa di S. Pietro, pronunciata durante la cerimonia funebre: Padre Rizza “Non è stato una canna battuta dal vento, ma è rimasto come ‘torre ferma’, che non crolla al soffiare dei venti. E’ stato un sacerdote fedele fondato sulla roccia della fede.

La famiglia e le origini

Per i più giovani, vale la pena ricordare che Padre Rizza nacque il 28 ottobre 1922 in una casa di campagna di contrada Pirato all’interno di una famiglia di umili origini contadine. Dodicesimo di tredici figli, si formò alla scuola del Professore Parroco Palazzolo, e nella sua formazione fu decisiva l’opera svolta dalla madre, la quale, gli diede il suo appoggio incondizionato nel favorire la vocazione sacerdotale. Si parla oggi tanto di forte calo delle vocazioni sacerdotali; ma a parte tutte le considerazioni riguardanti il trionfo di una pedagogia edonista e materialista nonché la scomparsa della famiglia tradizionale in favore di quella nucleare, viene da chiedersi: quante madri cristiane si adoperano oggi per curare il possibile “seme sacerdotale” presente nella vita del proprio figlio? Quante madri, al contrario, non dichiarano di considerare perduto un figlio che eventualmente manifesti segni di vocazione sacerdotale? Quante madri non sognano per i loro figli una ben diversa carriera fatta, spesso, di obiettivi principalmente di ordine materiale?
Per fortuna, la mamma di Padre Rizza, senza bisogno di leggere Erich Fromm, sapeva già, mezzo secolo prima, che l’essere vale infinitamente più dell’avere, per cui seguì amorevolmente, a costo di duri sacrifici, la vocazione del figlio, tant’è che quanto il piccolo Giuseppe ricevette il sacramento della Cresima, ella si rivolse al Vescovo di Noto esclamando: “iu vulissi, cu l’aiutu ra Maronna, c’avissi a trasiri o Siminariu”.(Io vorrei, con l’aiuto della Madonna, che potesse entrare in Seminario).

La formazione sacerdotale

Il piccolo Giuseppe Rizza nel 1934, a 12 anni, entrò in seminario, dove condusse una intensa vita spirituale e di preghiera, seguendo ritiri e esercizi spirituali, appuntando nei suoi quaderni personali meditazioni, pensieri e riflessioni. Particolarmente intensi sono i quaderni nei quali egli racchiude un periodo di vita in seminario, dal 1943 al 1947, periodo nel quale egli si preparava al diaconato e al sacerdozio.
In un ritiro spirituale, svoltosi dal 15 al 18 Dicembre del 1943, il giovane Rizza appuntava delle meditazioni , una delle quali guardava a quello che è il fine dell’uomo, mentre in un altro ritiro spirituale del 1944, scriveva con convinzione il suo desiderio di essere un vero prete:

“E questo l’ideale di tutta la mia vita. Così mi pare che vuole da me il Signore. A me questo appare oltreché dal mio desiderio,dalla risposta del Padre spirituale, dal Vescovo. Ciò posto, quello che per me importa è di essere un buon prete, tipo S.Giovanni Bosco. Buon prete vuol dire prima santificare me stesso con lo spirito di preghieraa, con la vita interiore; se non volessi essere un tal prete, sarei un ingannatore di me e degli altri, sarei un falsario”.

Ma una delle pagine più belle del giovane Rizza durante la vita in seminario, è la meditazione scritta durante gli esercizi spirituali tenutisi dal 23 e al 29 giugno del 1946, un anno prima dell’ordinazione sacerdotale. E’ una pagina dove si toccano con mano i sentimenti, le sensazioni interiori dell’anima, dove si ha l’impressione di un fiore che sta per sbocciare, di una vita che sta confermando la sua scelta sacerdotale. E’ una pagina sofferta, ricca di intensità emotiva, dove “cuore e ragione” sono a confronto, dove aspirazioni e desideri si uniscono in un cammino che aspira ad approdare nell’orizzonte della Trinità divina, quella Trinità che il giovane seminarista sognava già di arrivare a vedere nella visione beatifica. Così scrive il giovane seminarista Giuseppe Rizza:

“…Li ho concepiti questi esercizi come qualcosa da cui bisogna uscire trasformati, rinnovati. E mi pare di sentirlo sincero, vivo, ardente questo desiderio di trasformazione in Gesù: per quanto dipende da me devo fare tutto quello che è in mio potere. Con questo ardore io mi metto definitivamente, irrevocabilmente nel sacerdozio.”

E in questa rievocazione del periodo seminariale, non si può certamente tralasciare il vademecum spirituale che il giovane Rizza scrisse prima dell’ordinazione sacerdotale, che avvenne il 29 giugno del 1947 per le mani del Vescovo Angelo Calabretta. I suoi quaderni ci hanno lasciato scritti nei quali egli sintetizza i punti di vita sacerdotale da incarnare in tre direzioni: a) le relazioni con Dio: “Mio primo pensiero è amare Dio: gli dimostrerò il mio amore col fargli piacere in tutto. Ecco l’ideale supremo della mia vita”; b) le relazioni con me stesso: “Non posso da me fare nulla senza Gesù. Debbo quindi avere non fiducia in me stesso ma in Dio, vivendo quel sentimento di abbandono a Dio e attribuzione dei successi a Lui”; c) le relazioni con gli altri: “scopo della mia vita è il bene delle anime. La visione dell’apostolato, il giovare ai miei fratelli mi ha condotto al sacerdozio.”

Queste citazioni attestano la totale disponibilità del seminarista Rizza all’azione dello Spirito su di lui assieme al desiderio di perfezionare il suo itinerario di fede. Si notano, altresì, un timore e un tormento, tipici del vero cristiano che non si sente all’altezza del compito affidatogli da Cristo.

Il ministero pastorale nella Parrocchia del Sacro Cuore di Modica

Dopo l’ordinazione sacerdotale Padre Rizza venne assegnato al piccolo seminario di Modica, nella qualità di Direttore: una non piccola responsabilità se si pensa che allora Modica era un vivaio di vocazioni e il Piccolo Seminario era il primo vaglio dei candidati al sacerdozio, la prima esperienza di vita seminaristica. Vi rimase sette anni, anni di dedizione esemplare, che diedero alla Diocesi netina frutti consolanti.
Nel 1954 gli venne affidata la Parrocchia del S. Cuore. Questa, all’origine, era una piccola Chiesa di campagna e nel periodo estivo ospitava molti villeggianti provenienti dal centro storico di Modica.
La parrocchia prima di essere affidata a padre Rizza era retta da padre Celestino, alla cui morte venne sostituito da Padre Moncada, che vi rimase parroco fino a quando nel 1954 la parrocchia viene affidata da Mons. Calabretta al novello sacerdote Giuseppe Rizza.
Il suo insediamento fu accolto con grande festa dai parrocchiani, ai quali si rivolse con grande affetto e con parole che esprimevano la sua gioia interiore per aver realizzato il sogno della sua vita, cioè quello di diventare sacerdote:

“…Il sacerdozio è stato il sogno della mia vita e ancora oggi mi sembra un sogno: mi sembra che non dovrei credere a me stesso; mi sembra impossibile che una così grandiosa realtà sia potuta operarsi in me.
Il Sacerdozio è l’infinito: io il niente. Ma la mia debolezza non mi scoraggia, la miseria non mi avvilisce, perché so di poter dire “Omnia possum in eo qui me confortat”. So bene che il mio Sacerdozio mi impegna in vera lotta, alle volte dura, affligente, mortificante contro i nemici; tuttavia ripeto a me “haec est victoria quae vincit mundum fides, nostra”, e cioè questa è la vittoria che vince mondo, la nostra fede!”

Padre Giuseppe Rizza si mostrò sin dal suo insediamento un sacerdote affabile e di paterna semplicità, ben lontana dalla semplicioneria e dal dilettantismo pastorale; la sua semplicità nasceva in lui dalla preoccupazione di porre tutti i suoi parrocchiani, qualunque fosse il loro grado di cultura, nella condizione di capire ed accogliere il senso del messaggio cristiano. Proprio per questo si serviva di un linguaggio scarno, essenziale e correlato alla enucleazione dei concetti fondamentali della fede: egli non era un predicatore forbito; l’oratore forbito, retorico, immaginifico può a volte incantare, ma anche non convincere, può toccare la mente non il cuore.
Mons. Rizza, invece, non poneva mediazioni tra il suo essere, il suo dire e il suo fare: ambiva a mettere in azione la sua paternità spirituale, umile e sincera; entrava nel cuore dei fedeli, trascinati dall’esempio di una fede calda, profonda e sicura, senza ambiguità.
Nel pieno della sua attività pastorale, Padre Rizza era lontano anche da forme di intellettualismo, abituato come era a vivere nel nascondimento; non amava atteggiamenti di presenzialismo, ma affrontava i problemi con un taglio pastorale comprensibile a tutti ed amava esprimersi per immagini e similitudini. Il suo radicamento nella realtà ecclesiale era testimoniato dalla sua valorizzazione dei carismi dei laici, dalla cura che poneva nella formazione dei catechisti, che desiderava fossero strumenti idonei dell’amore di Dio e annunciatori e testimoni credibili del vangelo. Il suo ragionamento era semplice: nessuno può dare agli altri quello che non ha; per questo desiderava cristiani “accesi” dalla luce della fede e non “spenti”, cristiani capaci di vivere una vita spirituale in profondità al di sopra delle facili seduzioni del materialismo, dell’ideologia del piacere, del permissivismo e del fanatismo. I catechisti erano per lui una risorsa alla quale teneva particolarmente.
Il sacerdote Rizza non era un accentratore, non era colui che “sapeva e faceva tutto”, anzi era consapevole dei suoi limiti e fiducioso in Cristo; in lui operava certamente quella convinzione che era di papa Luciani: “se Cristo mi ha posto in questa situazione, mi darà la forza e mi guiderà a prescindere dalla mia mediocrità”.
La sua ansia pastorale fu protesa in una incessante cura delle famiglie della parrocchia, che andava a trovare in casa attraverso la tradizionale “benedizione della case”: un momento nel quale egli, come buon pastore, testimoniava la semplicità della fede e ai genitori sollecitava l’educazione alla fede dei figli. Mons. Giuseppe Rizza non restò poi muto dinanzi agli interrogativi esistenziali dell’esistenza. Erano di alto interesse, infatti, le sue riflessioni sull’ateismo contemporaneo, sul senso della giustizia, sulla accoglienza dei più poveri, e sulla speranza. Diceva infatti:

“L’umanità soffre per l’egoismo. I popoli sono in difficoltà per la bramosi di ricchezze e di potere o per principi sbagliati contro i diritti dell’uomo. Solo il cristianesimo, quello vero e vissuto, può addolcire e cambiare gli uomini”.

“Grande nemica della vita spirituale è la tiepidezza…, cioè l’atteggiamento di chi vuol servire due padroni e si barcamena per non scontentare l’uomo e l’altro, ma scontenta terribilmente Dio”.

“Mi pare che il Signore mi voglia povero, rinunciando al superfluo, e umile di cuore. Umiliarsi sempre dinanzi a Dio dopo il difetto commesso, perdonare e subito ritornare in pace”.

Il suo segreto, come ebbe a dire in una assemblea parrocchiale del giugno del 1983, era la preghiera: “Chi sa pregare, sa ben vivere”. Significative risultano, a riguardo, queste sue parole:

“…Essere tuoi apostoli, o Gesù, è un vivissimo nostro desiderio. Poterti far conoscere ed amare da tutti è un ideale che ci riempie di gioia. Ma la meta è così alta e lontana che presentiamo già le molte difficoltà che dovremo superare…”

A dare prova dello spessore spirituale, umano e cristiano di Padre Giuseppe Rizza, sono sicuramente le testimonianze rilasciate da alcuni persone dopo la sua morte:

“Vita spesa per Dio”; “Mons. Rizza si è spento per la sua parrocchia per la quale ha dato tutta la sua vita”; “Padre Rizza è stato il sacerdote della mia vita”; “Ha costruito al Signore un tempio vivo, spirituale”; “Era un sacerdote completo: dolce, umano, di una linea pastorale unica”; “Addio, padre caro e santo, ci lasci un pane di vita”; “Ci ha guidati a saper leggere la nostra vita in chiave cristiana”; “Formatore dei futuri sacerdoti, pastore operoso”; “Il fratello di tutti”; “Sacerdote di profonda vita spirituale e di eccezionale equilibrio”; “Ci metteva in rapporto di amicizia con Dio”; “Servo fedele, amava il sacerdozio”; “Padre Rizza, il sacerdote che ha amato”.
Ecco, in questa ultima espressione la chiave di lettura della vita del parroco Rizza, un parroco della gente e per la gente, un parroco del popolo e per il popolo, un sacerdote che ha conquistato il cuore dei più semplici, degli anziani, dei bambini, delle famiglie, della mamme, dei giovani, degli operai.
A Mons. Giuseppe Rizza è stato intitolato dall’ Amministrazione pro-tempore Torchi, l’Auditorium che si trova nell’ex asilo antoniano adiacente alla Parrocchia del Sacro Cuore; è altresì operante nella quartiere Sacro Cuore una Associazione per le famiglie che porta il suo nome e che si riunisce in un appartamento di via Risorgimento 49, dove abitava lo stesso Mons. Rizza, e che egli ha lasciato, con testamento, per finalità sociali, culturali e pastorali.

525886
© Riproduzione riservata

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articoli correlati

RTM per il cittadino

Hai qualcosa da segnalare? Invia una segnalazione in maniera completamente anonima alla redazione di RTM

SEGUICI
IL METEO
UTENTI IN LINEA
Scroll to Top