
Il pensiero delle Europee toglie il sonno al mondo delle sinistre, in fibrillazione prima di ogni evento elettorale. Un petardo è scoppiato in casa Avs. L’ex grillina Eleonora Evi, passata in zona verde, ha sbattuto la porta in faccia a Bonelli. L’accusa? Partito patriarcale. La figura del pater familias è stata richiamata in vita come causa di tutte le umane sciagure. Nel XXI secolo un po’ di tradizione non stona e quando non si sa bene con chi prendersela, il patriarcato offre il primo soccorso. Sinonimo di fascismo e prevaricazione, va alla grande ora che il premier è Giorgia Meloni. Si vede però che questo male oscuro colpisce trasversalmente. E il Pd come sta? Inventore delle quote rosa, non ha ancora superato lo choc di un governo di destra guidato da una donna, non cooptata, non sostenuta dalle élite, non dalla stampa che conta. Non sarà anche lui un partito patriarcale? Viene da rispondere: no, peccato. Il Partito democratico ha Schlein, ma la segretaria non è abbastanza convincente. Gioca nel campo di Conte con cui va in piazza per contestare il governo, a questo servono le piazze, che non sono il paese, e con Landini, che sta facendo le prove generali per prendersi la guida dell’opposizione. E c’è un altro aspirante al trono: De Luca, il governatore della Campania, che potrebbe scendere nell’agone politico e federare tutte le sinistre. Un gran ribollire di idee, velleitarismi e un sostanziale distacco dalla realtà. Con la quale Giorgia Meloni si confronta e continua a mettere giù i tasselli di un programma non ideologico, che punta a superare l’immobilismo statalista per aprire al mercato, lasciando a qualche ministro la vocazione protezionista (guai alla carne sintetica, giù le mani da ambulanti, balneari e tassisti) una delle due facce del governo. I segnali di rottura con le scelte di governi precedenti indicano la nuova direzione dell’esecutivo, ben recepita dai mercati nell’ambito delle partite industriali che contano. Significativo il passo verso le privatizzazioni. Il governo ha venduto a Lufthansa una quota del 41% della ex compagnia di bandiera, Ita, generatrice di un rilevante debito pubblico, con la prospettiva di cedere, nel tempo, quote ulteriori alla compagnia tedesca; non si è intromesso nella vendita della rete Tim a un fondo di investimento americano, Kkr; ha privatizzato parzialmente Ferrovie dello stato, azienda che nessuno aveva osato toccare, e il 49% di Poste; ha venduto al fondo BlackRock il 25% di Mps, nazionalizzata dai governi precedenti. Privatizzazioni bilanciate con l’uso estensivo del golden power, che consente l’intervento del governo per salvaguardare asset importanti del paese. Meloni non trascura le relazioni internazionali che servono a promuovere l’immagine dell’Italia e rafforzare il suo ruolo nel mondo. Ieri la premier era a Dubai per parlare di clima, una settimana fa a Berlino da Scholz, i suoi rapporti con von der Leyen sono ottimi e negli Stati Uniti è guardata con simpatia e ammirazione per la posizione ferma sull’Ucraina e la guerra in Medio oriente. Sul piano economico Meloni ha sposato prudenza e concretezza, come si vede anche nella manovra di Bilancio, presa di mira dalle critiche populiste di Schlein e Conte che vorrebbero allungare la lista delle spese e dei bonus per 22 miliardi, senza però indicare le coperture. Attenta a rispettare i vincoli di bilancio e non dissipare risorse, la premier sta andando nella direzione opposta a quella che aveva promesso, aggiudicandosi il riconoscimento, nella classifica di Politico Europe, di leader europeo più pragmatico. Anche le modifiche al Pnrr hanno superato l’esame della Commissione europea, che ha erogato i soldi della terza rata grazie alla recente approvazione della riforma, inserita dal governo Draghi, sulla fine del mercato tutelato per elettricità e gas con la conseguente liberalizzazione del mercato. Viva la concorrenza, che favorisce i risparmi di consumatori e aziende. In generale, nulla da eccepire sul primo anno di governo Meloni.