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Roma. La Poesia di Emilio Lastrucci… di Domenico Pisana

Il poeta Lastrucci è uno studioso e accademico di chiara fama in campo psico-pedagogico-didattico e filosofico
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Poesia di efficace trasfigurazione dell’amore, che rinuncia alle approssimazioni e alla tentazione di riecheggiamenti letterari, è quella che Emilio Lastrucci intesse nella silloge poetica “Rapsodia dell’effimero”, Pensa MultiMedia Editore, 2021.
Il corpus poetico della raccolta si muove all’interno di una struttura poematica ove il travaso degli spunti figurativi si dispiega con attenti e misurati sviluppi ritmici, elaborando un codice lirico che evidenzia il superamento dei limiti spazio-temporali dell’esistenza umana grazie all’anelito del poeta al recupero di lembi di felicità mai estinti.
Il poeta Emilio Lastrucci è uno studioso e accademico di chiara fama in campo psico-pedagogico-didattico e filosofico, professore universitario di ruolo presso l’Università della Basilicata, dove insegna Pedagogia Generale e Sociale, Didattica Generale e Pedagogia Sperimentale; ha anche insegnato presso l’Università “La Sapienza”, presso l’Università di Firenze, l’Università di Siena e l’Università della Tuscia. E’ membro dello Steering Committee del Network di Eccellenza europeo DICE (Development of Identity and Citizenship in Europe), che abbraccia i centri di ricerca di eccellenza di 25 istituzioni universitarie europee, nonché autore di numerose pubblicazioni scientifiche di carattere educativo e pedagogico, letterario e critico, tra i quali spicca La formazione del pensiero storico, 1a ediz. Paravia, 2000, 2a ediz. Mondadori, 2003.
Il titolo che Lastrucci dà alla sua opera contiene già in sé una dichiarazione di poetica: il lemma “rapsodia” ci riporta al greco rhapsodikós, derivato di rhapsoidós, “colui che cuce il canto”, composto da rhàptein “cucire” e oidé “canto”, mentre “effimero” indica la brevità delle cose, di uno stato d’animo, l’illusione , il perituro, la liquidità dell’esperienza. Il poeta Lastrucci sembra essere proprio un rapsodo che cuce, attraverso il canto della poesia, la diegesi transitoria di sensazioni d’amore fuggevoli, la metafisica della memoria, l’incontro di suoni, sogni, incanti, delusioni, speranze maturate all’interno di una reciprocità amorosa:

“Sorseggiavi pensierosa il tuo mojito
a quel tavolo all’aperto che affacciava
sul ventre spalancato della baia.
L’errabondo vagare della sorte
oltreoceano
quella notte mi portava
all’incrocio di sguardi che già univa
le trame silenziose di settembre
nell’ordito d’una torbida passione,
all’incontro di due anime in tormento…”
(I. Fuga tropicale, p. 7);

“…Erano quelli i giorni della vita,
quando il beccheggio lieve ci cullava
avvolti nel mantello della luna
scintillante,
corpo e spirito mai paghi d’amore.
Spargevamo nel soffio di maestrale
sospiri vaporosi e mormorii …” (IV, p.15).

Emilio Lastrucci, in questi versi immediatezza estasi ed esperienze come inveramento d’una circolarità esistenziale, sillabata di iterazioni distinzionali e caratteri tonici sfavillanti dell’occhio delle vicende fermate con i colori sfumati della definibilità.
La tenera “rapsodia dell’effimero” di Lastrucci ricorda “incroci di sguardi”, “corpo e spirito mai paghi d’amore”, “il soffio di maestrale”, “l’Amore perduto nelle alcove gelide, / ebbrezza svanita in tenebra di tormento, / afflato evanescente come bruma delle Fiandre; / amore assorbito dalla terra arida / come pioggia leggera nell’autunno, / evaporato in tiepidi aliti salini; amore disciolto nella tenerezza, / disperso dal soffio d’un ansimare tetro, / atterrito, umiliato, dissanguato…(p.19).
I versi giungono da una voglia di musica che è nella sua anima, inseguendo l’ebrezza delle note sui tasti del cuore; egli riprende il tempo della vita nella sua antologia di bontà e gioia, amore e tormento; si stringe attorno alle perplesse stagioni del vento con un itinerario poetico che si muove dentro una circolarità ermeneutica connotata di rassegnazione e speranza e di quella “condizione di felicità svanita nell’abbandono – come egli stesso afferma – e quella ritrovata e rinnovata che seguirebbe al rigenerarsi di quella fiamma mai estintasi nell’animo dei due innamorati”.
Nelle pagine di Emilio Lastrucci risuona una parola che rileva gli stati interiori del cuore e che disegna la coloritura amorosa di tutto il repertorio delle immagini, in cui si misura la diversa osservabilità del poeta:

“…Tu insegnami a volare accanto a te,
dovrò imparare a battere le ali
nell’alito di vento che ti eleva,
a segnare il tuo passo, lento o lesto,
e quando nel cammino inciamperò,
terrò il tuo braccio e mi solleverai…”(VII., p. 21);

“…Io ho distillato ogni mia parola
in alambicchi ribollenti di passione,
per inebriarmi dell’esultanza del donare,
per offrire entusiasmo e commozione,
per sorprendere, scuotere, stupire…”(XI., p.29).

Il poeta romano dissemina nei suoi versi un “logos dichiarativo” che si fa emblema di poesia, della poesia che parla, che scava fra le zolle, “che evoca, / nell’abbaglio del tramonto, / il miraggio vibrante / d’un ritorno”; che cerca “i profumi dispersi nel vento contrario, / i palpiti interrotti, / i silenzi infranti dal clamore, / il vapore dei sospiri raggelato dai dubbi, / i cristalli dei pensieri inespressi, / il volo del pettirosso impallinato”; che si consegna, insomma, “pregna di vita” e di essa profuma, come le rose.
Tutta la poesia di Emilio Lastrucci risplende dunque di sentimento e d’anima nei periodi lirici. È poesia che si costruisce, verso per verso, da ciò che sbalordisce il poeta: felicità o infelicità, gioia o dolore, stanchezza o malinconia, luce o ombra. Il percorso poematico della silloge è, del resto, legato alle inquietudini del cuore consumate in anfratti di rimpianti e di lacerante nostalgia:

“…Faccio ancora ritorno
alle spiagge remote
a ogni fuga dal fragore terreno,
per ricongiungere i rami
divaricati dal diuturno operare
infissi nella radice unitaria
d’un solido fusto maestoso.
E rammemoro nitida e pura
l’incredibile quiete incantata
di quell’atmosfera sospesa
fra la sabbia portata dal vento
e le nubi addensate sul mare …” ( XVIII. , p. 43).

C’è, di certo, un “continum lirico” in questo canto dell’amore del poeta; canto che si muove fra immaginario e reale, tra rinuncia e utopia, abbandono e aspettativa, sfiducia e auspicio, facendosi ermeneutica di un sentimento universale tanto grande quanto effimero, fonte di felicità ma anche di inganno, fiamma ardente che si spegne, ma anche capace di rigenerarsi.
La poesia di Lastrucci procede a blocchi di intensità lirica di immagini, senza mai scadere in facili sentimentalismi, ma rivelandosi proiezione piena della coscienza dell’“essere poetico”, aperta all’avventura della parola innestata alla geografia dell’anima ed alla fisicità delle cose, ed avvalendosi di un lessico e di nessi verbali che rispecchiano la misura della reale tensione ideale dell’autore.
Dice il poeta: “La vita è un brevissimo canto, / meraviglioso e soave, / che si sperde inghiottito / nell’eterno silenzio siderale (XXI. ,p.49). Si tratta proprio di quel canto che Lastrucci offre al lettore con un delicato codice espressivo, con un linguaggio vergato di continui riflessi interiori e immagini: “aride terre”, “cortili ardenti”, “lava scivolosa”, “gorgo di paure”, “sciami di farfalle”, ”riso incantato”, “mantello di luna”, “effluvi melensi”, “struggenti addii”, “immemori spazi dell’amore”, “collo d’airone”, “braccia vuote”, “abisso verdazzuro”, “dolci praterie”, “femmineo ardore”, “aspre schiume”, “notti avventuriere di spasimi”, “sussurri soffocati”, “lavacro di dolori ancestrali”, “figure coreutiche”. E’ dentro questo mondo immaginifico che il poeta costruisce la sua “rapsodia dell’effimero” con una ricerca linguistica che supera stereotipi e psicologismi intimistici, utilizzando espressioni efficaci per esternare il proprio stato d’animo e ricorrendo alla trasfigurazione della realtà con eleganza ed efficacia semantica.
Scriveva Romain Rollad nella sua “Vita di Toltoj”: “Il cerchio di idee entro il quale si muove l’arte è uno dei più limitati: la forza dell’arte non è in esse, ma nella espressione che quella dà loro, nell’accento personale, nell’impronta dell’artista, nel senso della sua vita”( Vita di Tolstoj, traduzione di Alfredo Polledro, B.U.R, Milano, 1951, p.12); ebbene ritengo che le parole del Rolland ben si addicano alla dimensione poetica di Emilio Lastrucci, perché se “il cerchio di idee entro il quale si muove” è circoscritto, forte è il magma dell’amore che rifulge nei suoi versi, sicuro l’impianto tecnico e linguistico della versificazione, sincera l’ “espressione” , gradevole e delicatamente musicale il tono dei sui testi, intrisi di stupore e disorientamenti, di ansie e memorie, di viaggi irrequieti e di sincere commozioni:

“…Sono caduto anch’io
dentro una rete
e mi dibatto
impigliato tra le maglie,
fra ossi di seppia, alghe
e secche scaglie,
frammenti di scogliera
e una conchiglia…”(XXII., p.51);

“…lascerò i miei compagni
e salirò nel bosco
ancora,
dove soltanto
l’uomo solitario
può comprendere l’eloquio
della notte.( XXV., p.58);

“…Attendo
il vento
che deterge
gli essudati urbani
e ricongiunge
il mio alito
a un cosmico respiro.( XXVI., p. 59).

Come si può notare l’autore disegna nell’orizzonte del suo paesaggio affettivo le palindromi inafferabilità del tempo, della effimera condizione umana, nonché la caducità delle illusioni e la fugacità delle cose; il suo poetare viaggia “fra rinvenimenti nei territori più desolati della memoria ed oblio”, tra il vissuto e l’espropriazione del presente, tra il sapore acro dei contrasti e la lacerazione persistente del mistero. E così, sul piano formale anche il “nous poetico” offre un plesso semantico ricco di significati simbolici e metalinguistici, di filigrane e sapori e di segreti intensamente partecipati in una rottura specifica.
Da quanto fin qui detto, è ormai evidente che la silloge “Rapsodia dell’effimero” travalica il mero dato estetico, facendo ricorso all’uso di una lingua “altra”, una lingua che si snoda sul versante dell’espressività piuttosto che su quello della comunicazione, e che vela e disvela “il contrasto fra la percezione e la consapevolezza tragica del valore effimero dell’ordinaria esperienza”, il tempo della cifra umana del poeta, la sua scrittura fatta di sogno e dei colori della vita, il taglio dell’intelligenza laboriosa, degli affetti appassionati, dei legami profondi e durevoli, che “dall’insopprimibile energia dell’afflato amoroso – come si afferma nella quarta di copertina – traggono la forza riaggregante che permette di riconquistare l’integrità della personalità e lo stato solido dell’autentica natura umana”.

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