
Movimenti di mezzi militari e truppe lungo i confini russi con l’Ucraina, le cosiddette esercitazioni, erano un chiaro segnale. Il preavviso di un attacco imminente, di cui l’intelligence americana aveva avvertito Zelensky. Preparatevi ad accoglierci in modo acconcio, sembrava suggerire quell’insolito ammassarsi di uomini e veicoli bellici. Poi il ritiro. Fumo negli occhi? L’Europa, che dalla fine della Guerra fredda faceva affari con Mosca, preferì credere alla versione soft del Cremlino: innocue esercitazioni militari. La convenienza al primo posto. Il maggiore produttore tedesco di armi, proprio nel 2014 , intanto che Putin annetteva la Crimea e dava inizio alla guerra in Donbas, costruì il più avanzato centro di addestramento dell’esercito russo, che consentiva alle unità specnaz del Gru (l’intelligence militare russa) di aggiornare tecniche e attrezzature di comunicazione, munizioni e protezioni da sfoggiare nelle aree contese. La sicurezza dell’Europa non era un problema tedesco. Ingenuità di un pollo o intelligenza con il nemico? Trump avrebbe criticato l’apertura tedesca alla Russia e rinfacciato agli europei il fatto che gli investimenti del Vecchio continente per la Difesa erano ben al di sotto delle necessità. Ma l’ovest europeo dava la precedenza al business e preferì credere alla versione soft di Putin: innocue esercitazioni militari. Il 24 febbraio l’armata russa iniziava l’invasione. Niente appalusi, niente fiori, nessun “welcome friends”. Se non saranno le buone a convincervi, vi arrenderete con le cattive. Panico ad ovest, nessuna sorpresa al centro e ad est. L’esperienza è grande maestra di vita. Riguardo ai russi e ai loro metodi, chi ne sapeva qualcosa, avendoci avuto a che fare per troppo tempo e a costo di profonde sofferenze, non aveva avuto dubbi. Meno di tutti la Polonia. Era il 23 agosto 1939, l’Armata Rossa invase la Polonia, in ottemperanza al patto scellerato Molotov-Ribbentrop tra Hitler e Stalin. L’intera Europa centrale e orientale fu divisa in due zone di influenza, tedesca e sovietica. Mosca si prese gli Stati baltici e parte della Polonia e dichiarò guerra alla Finlandia. Il fronte orientale non si spostò mai dalla regione e fece milioni di morti tra gli abitanti, inclusa quasi tutta la popolazione ebraica. Si può dimenticare una tragedia simile? Il tempo rimargina le ferite ma non spazza via il ricordo del male ricevuto. Del vicino russo, i polacchi conoscevano le purghe, gli arresti, la rete dei campi di concentramento. Il carattere distruttivo del totalitarismo sovietico era noto e la Polonia, da paese occupato, sapeva che un certo trattamento le sarebbe presto toccato. La polizia politica iniziò gli arresti nei territori assegnati all’Urss, a tappeto e con quella spietatezza che nonostante la diversità culturale tra russi e tedeschi, associava, fino quasi a sovrapporle, le due dittature, nel pianificare la demolizione di una nazione o di un gruppo etnico attraverso l’annichilimento della sua cultura, della sua lingua, della sua coscienza nazionale e religiosa, delle basi economiche dell’esistenza e la conseguente privazione di sicurezza, libertà, salute, dignità e vita delle persone. Questo avviene in Ucraina da oltre un anno. Durante la Seconda guerra mondiale, lo sperimentarono, sulla propria pelle, gli ebrei e gli abitanti dell’Europa centrale, Polonia in particolare, che subì più perdite umane e materiali di ogni altro paese europeo. Vittima dei tedeschi convinti della propria superiorità razziale, e dei russi che intendevano russificarli, i polacchi subirono da questi e da quelli, e impararono a distinguere tra i due occupanti: tetragoni e superorganizzati i tedeschi, endemicamente corrotti e insensatamente oppressori i sovietici. Caratteristiche trasmesse da generazione a generazione e arrivate pressoché inalterate ai giorni nostri. Nei pressi delle città ucraine occupate dai russi, prima che le colate di cemento le coprissero, sono state scoperte diverse fosse comuni; nel 1943, nella foresta di Katyn, la Wermacht scoprì sotto un metro di terra e sabbia ventiduemila cadaveri: militari polacchi in maggioranza ufficiali e esponenti dell’élite intellettuale del paese, la resistenza più tenace al comunismo, la più difficile da “colonizzare”. Stalin incolpò del massacro il Terzo Reich, gli alleati accettarono la versione di Mosca per convenienza: intelligenza con il futuro nemico. Il governo polacco, esule a Londra, pretese un’indagine. La perizia conclusiva stabilì che il crimine era avvenuto tra marzo e aprile del 1940, quindi per mano dei russi che rigettarono l’accusa parlando di russofobia polacca. In 80 anni nulla è cambiato: per il Cremlino chi sostiene l’Ucraina è russofobo. C’è da dire che in questi lunghi anni la memoria che è dirimente per formare le simpatie e le antipatie dell’opinione pubblica, si è affievolita nei paesi europei che non sono stati toccati dal terrore dello stalinismo. Non poteva essere e non è stato così nell’est Europa. La Polonia non ha dimenticato e mai ha smesso di essere diffidente nei confronti della Russia, del suo revisionismo storico, del rinnovato espansionismo emerso con l’invasione della Georgia. Scettici sulle possibilità di una distensione con il Cremlino, i governi polacchi hanno messo in guardia i partner dell’ovest sull’eccessiva dipendenza energetica dalla Russia e l’esposizione al ricatto. Dal suo ingresso nella Nato, Varsavia è diventata la roccaforte dell’alleanza atlantica sul fianco orientale e grazie alla crescita economica ha ampliato e modernizzato le sue Forze armate. Il suo esercito è il ventesimo più potente al mondo avendo anche rimpiazzato gli esemplari sovietici con i più avanzati sistemi statunitensi. Nel tempo, la consonanza di visione tra Varsavia e Washington sulla pericolosità dell’intento russo di sovvertire la sicurezza europea ha consolidato il rapporto strategico e la fiducia reciproca tra Polonia e Stati Uniti, spostando verso est il centro dell’asse atlantico. Per i polacchi, la Russia è sinonimo di schiavitù e tirannia e concretizzazione della “maskirovka”, la dottrina sovietica della mimetizzazione e dell’inganno. E se tra le cause che forgiano il Dna di un popolo includiamo la cultura in senso lato, si comprende come la componente fortemente idealista del romanticismo polacco sia radicata nella storia di quel popolo, paladino della libertà propria e altrui.